“An American nightmare”: Mumia Abu-Jamal e il Partito delle Pantere Nere, una vita contro la discriminazione razziale

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Valentina Bortolussi, Venezia –

 

The American Dream was an American nightmare
You kept my people down and refused to fight fair
The Ku Klux Klan tried to keep us out
Besides drew they know no blacks allowed
With intimidation and segregation was a way for our freedom
But now were impatient
Blacks the other skin: dead or sell outs
Freedom, equality, then I’ll yell out
«Don’t you ever be ashamed of what you are
It’s ya panther power that makes you a star»

 

L’11 novembre 2003 usciva negli Stati Uniti, prodotto in gran parte da Eminem, l’album «Tupac: Resurrection», contenente alcune canzoni inedite del rapper americano Tupac Shakur, tra le quali risultava degna di nota la traccia Panther Power, scritta probabilmente all’inizio della sua carriera musicale, tra il 1988 e il 1991.

Il testo della canzone è una denuncia delle condizioni di vita della popolazione afroamericana, costretta a vivere, ancora negli anni Novanta, segregata in ghetti e minacciata dai nazionalisti bianchi, in primis quelli riuniti nel Ku Klux Klan, e rappresenta, inoltre, l’ennesimo tentativo di richiedere un cambiamento radicale nella gestione delle minoranze etniche, in nome della libertà e dell’eguaglianza.

 

 

Panther Power è, però, anche il tributo di un figlio all’amata madre, Afeni Shakur, una delle prime donne a ricoprire un ruolo di responsabilità all’interno del Black Panther Party, il Partito delle Pantere Nere. Ma cos’era il Black Panther Party?

A questa domanda risponde Mumia Abu-Jamal nel volume Vogliamo la libertà. Una vita nel Partito delle Pantere Nere (Mimesis, Milano-Udine, 2018). Il giornalista e attivista, iscrittosi al Partito delle Pantere Nere a soli 15 anni e asceso al ruolo di responsabile dell’Informazione della sede di Philadelphia, racconta la storia del Black Panther Party dalle sue origini al suo declino da un punto di vista, quindi, privilegiato. Come scritto da Giacomo Marchetti, autore dell’introduzione al volume,

 

L’intero arco della sua vita, nell’intreccio tra la sua condizione particolare e quella universale riguardante la sua comunità, ne fanno un testimone prezioso dei cambiamenti della comunità afro-americana e della società statunitense nel suo insieme avvenuti nel corso di mezzo secolo. Non si tratta solo di ripercorrere la storia e il presente dei Neri d’America attraverso la sua esistenza individuale, quanto di comprendere quanto tutto questo abbia riflessi che vanno oltre i perimetri di una particolare comunità e di un determinato Paese, poiché gli Stati Uniti determinano di fatto le dinamiche politico-sociali che si riproducono in tutto l’Occidente e oltre.

 

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Mumia Abu-Jamal

 

Arrestato in seguito all’omicidio dell’agente di polizia Daniel Faulkner, avvenuto il 9 dicembre 1981 in circostanze tuttora non del tutto chiarite, Mumia fu condannato alla pena di morte il 4 luglio 1982. La grande mobilitazione nei suoi confronti, poiché dichiaratosi negli anni sempre innocente, fu guidata da Amnesty International, che definì il procedimento penale «viziato da elementi inerenti alla politica e alla razza e non ha raggiunto i criteri internazionali di un giusto processo», e portò alla commutazione della pena in ergastolo nel 2008.

In questo volume, scritto dal carcere in cui è detenuto, Mumia ripercorre, sì, la storia del Black Panther Party, ma dedica un interessante approfondimento iniziale anche alle vicende degli afroamericani dalla schiavitù alle lotte sociali degli anni Sessanta e Settanta, passando per la guerra civile americana.

Secondo l’autore, infatti, non è possibile comprendere la storia del Partito senza conoscere quella della lotta per l’emancipazione della popolazione di colore: era in questa battaglia, caratterizzata da fenomeni di resistenza e ribellione, che le Pantere trovarono ispirazione e un esempio da seguire.

 

 

Il nazionalismo nero e il ricorso alla violenza, diverso a quello non-violento predicato da Malcolm X e Martin Luther King, trovano giustificazione proprio nella lotta contro la schiavitù condotta da figure leggendarie tramandate di generazione in generazione e che, puntualmente, Mumia presenta al lettore con notevoli approfondimenti.

Non solo: anche le lotte di liberazione nazionale, in primo luogo quelle algerina (e il Black Panther Party aprì una sede distaccata proprio ad Algeri) e vietnamita, sono esempi significativi cui attingere, affiancando alla cronaca quotidiana lo studio dei classici del pensiero rivoluzionario, come Mao-Tse Tung, Che Guevara e Frantz Fanon.

Una parte notevole del volume di Mumia, tuttavia, è dedicata agli attacchi condotti dal Federal Bureau of Investigation contro il Black Panther Party, considerati, in ultima analisi, la causa dello scioglimento del Partito. Si trattava di una «guerra» di lunga data: già alla fine della Seconda guerra mondiale, infatti, l’FBI controllata da John Edgar Hoover teneva sotto strettissimo controllo qualsiasi manifestazione che puntasse a cambiare lo status quo, con particolare attenzione nei confronti dei gruppi militanti afro-americani, spingendo i mezzi di informazione a insistere sulla loro minacciosità in modo da incrementare la paura nei cittadini americani che, di conseguenza, avrebbero dovuto approvare qualsiasi iniziativa delle forze dell’ordine, compreso il ricorso alla violenza.

Lo strumento per eccellenza in questa lotta, fu il Counter Intelligence Program (COINTELPRO) dell’FBI – attivo formalmente tra il 1956 e il 1971 –, una sorta di «polizia politica razziale» diretta e autorizzata da Hoover in persona che faceva largo ricorso alle tecniche del «dividi et impera», come sorveglianza, infiltrazione, spionaggio e, addirittura, destabilizzazione e neutralizzazione (ricorrendo, dunque, all’omicidio politico).

 

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Manifestazione davanti al tribunale di New York nel 1969

 

Mumia si politicizzò non solo per aiutare il Black Panther Party nelle sue iniziative sociali (la più significativa delle quali era il programma di colazioni gratuite per i bambini) ma anche, e soprattutto, per porre un freno alla violenza della polizia, sfociata nell’incendio doloso del ghetto di Watts del 1965 e nell’assalto militare alle case dell’organizzazione comunitaria MOVE del 1985, costati la vita rispettivamente a 35 e 11 cittadini afroamericani.

Il volume di Mumia è, quindi, un testo degno di essere letto e conosciuto per scoprire una realtà, quella del Black Panther Party, spesso lasciata cadere in secondo piano rispetto ad altri movimenti statunitensi degli anni Sessanta e per conoscere un «prigioniero politico» che afferma con sicurezza l’importanza dello studio della Storia:

 

La Storia offre una fonte inesauribile di esperienza umana che le persone, le comunità e i movimenti possono trarre per avanzare nel futuro. La Storia, poiché è ricca di esempi di amore per la libertà delle persone, è una potente fonte per il presente e per il futuro! […] La Storia non è ciò che è successo anni fa, o ieri. Spiega perché il presente è così com’è; e fornisce delle idee su come trasformare i giorni che verranno.

 

Mumia Abu-Jamal
Vogliamo la libertà. Una vita nel Partito delle Pantere Nere
Mimesis, Milano-Udine, 2018
pp. 231