L’oplita romano: la falange di Roma antica

storia romana, oplita, storia militare, età repubblicana, età monarcica

Lorenzo Domenis, Verona –

Quando si sente nominare l’esercito romano, il pensiero corre subito alle potenti ed organizzate legioni dell’età tardo-repubblicana e imperiale con il relativo ed emblematico equipaggiamento: scudo quadrato, corazza metallica, gladio, pilum ed elmo con protezione per le guance e per la nuca.
Nella lunga storia di Roma, l’esercito, tuttavia, cambiò diverse volte la sua forma, sia a livello tattico che di armamento; in questo articolo prenderemo in esame le caratteristiche delle forze capitoline nell’arco temporale che va dalla fine della monarchia all’inizio della lunga fase repubblicana.

Gli storici romani, in particolare Tito Livio ma anche Polibio, sostengono che il penultimo re di Roma, Servio Tullio, abbia effettuato una serie di riforme in ambito militare, raddoppiando in primis i componenti e incrementando il numero dei cavalieri, mentre la fanteria sarebbe arrivata a contare circa ottomilacinquecento uomini. Ma come combattevano questi fanti romani?

La riforma di Servio Tullio comportò un’importante modifica a livello tattico, suggerita dalle necessità del campo di battaglia: la lotta in formazione serrata, ovvero la falange oplitica di stampo greco. La falange oplitica basava la sua forza sulla resistenza e sulla capacità di opporre al nemico un insieme compatto di uomini difficile da scardinare se ingaggiato frontalmente.
I romani appresero l’arte della falange sia dai greci ma, soprattutto, dai vicini etruschi, a loro volta eredi della tradizione bellica ellenica imparata, spesso a caro prezzo, nei conflitti contro le colonie greche in Italia.
Un’anonima fonte repubblicana scrisse:

 

[gli Etruschi] non combattevano divisi in manipoli, bensì attaccavano armati di scudi di bronzo disponendosi in falange; dopo esserci riequipaggiati e aver adottato l’armamento del nemico, ci allineammo contro di loro, e in tal modo riuscimmo a sconfiggerli, anche se erano più abituati di noi al combattimento in ordine chiuso.

 

La comparsa della falange romana si può datare verso la fine del VI secolo a.C. e l’inizio del V; tale esercito fu protagonista della complessa e per certi versi poco chiara fase delle guerre laziali, conflitti di carattere regionale che videro Roma contrapporsi a popoli come gli Equi e i Volsci.
L’esercito romano di questo periodo tuttavia,  non schierava solo opliti come forza di fanteria, bensì anche truppe leggere dotate di varie armi da lancio: giavellotti, fionde e archi che scagliavano frecce di bronzo dotate di un impennaggio regolare ed estremità taglienti.

Come era equipaggiato un oplita romano del V secolo?
Con la riforma dell’età severiana, vennero logicamente introdotte le armi e le corazze tipiche dell’oplita greco-etrusco. L’utilizzo dell’hasta con il corpo in legno di corniolo o frassino e la punta in ferro, arma già in uso prima della riforma, si consolidò per esigenze tattiche ma anche simboliche. L’asta infatti, almeno dai tempi di Tullio Ostilio, veniva impiegata nel rituale di dichiarazione di guerra: un sacerdote, detto fetialis, impugnava la punta di ferro di una lancia bagnata nel sangue e avvicinandosi ai confini del territorio nemico, la scagliava al di là degli stessi, pronunciando contemporaneamente alcuni invettive. Questa usanza testimonia la dimensione regionale dei conflitti di Roma nella fase monarchica e degli inizi della repubblica, la guerra era ancora una realtà davvero ristretta e mossa da obbiettivi modesti (controllo di zone adatte alla coltura e al pascolo, possesso di snodi fluviali etc).

Tornando all’equipaggiamento dell’oplita romano del V secolo, oltre all’hasta, come armi offensive si diffusero alcune tipologie di spade tipiche dell’armamento dell’oplita: la machaira e lo xhipos.
La prima era una lama ricurva, la seconda invece dritta; la comparsa e l’utilizzo di queste spade è testimoniato da ritrovamenti archeologici di Palestrina e di Lanuvium.

L’armamento difensivo comprendeva uno scudo di bronzo di tipo argivo (aspis), chiamato clipeus ampiamente usato a partite dall’età severiana in sostituzione della scutum ligneo, essendo lo scudo principale della formazione oplitica. Dionisio di Alicarnasso, storico di origini greche vissuto nel periodo augusteo, afferma che il clipeus romano fosse una copia dell’apsis argivo, fatto di pelle di bue, di cuoio e ricoperto di bronzo, con dimensione che variavano da un metro a ottanta centimetri di diametro. Anche la falange romana, così come quella greca, presentava scudi dipinti in maniera vistosa. I soggetti rappresentati, probabilmente, erano gli animali totemici delle tribù che costituivano i signa ossia gli stendardi dell’esercito. Il clipeus era dipinto anche internamente, come testimonia una figura in terracotta dell’Esquilino.

Per proteggere il cranio, l’oplita romano usava elmi di tipo corinzio, che coprivano interamente il viso, o più spesso di tipo etrusco-corinzio o apulo corinzio, ampiamente diffusi tra i ranghi dei guerrieri greci italioti, italici ed etruschi. L’elmo corinzio veniva usato soprattutto per una questione di prestigio personale, essendo il tipico elmo della Grecia classica, seppur rendesse difficile usare il senso dell’udito una volta indossato.
La calotta era spesso decorata con figure incise o dipinte; la cresta invece era composta da piume o da una coda di cavallo. Gli opliti rappresentati nel fregio di Praeneste sfoggiano creste di colore biondo, dipinte di rosso nella parte superiore. L’elmo, inoltre, era fornito di un sottogola e di un pilleus, ossia un berretto conico di feltro, lana o cuoio pensato per ridurre il peso e lo sfregamento sulla pelle del portatore.

Il torace veniva protetto da una corazza bronzea di tipo argivo (thorax), spesso dipinta e decorata secondo la tradizione greca- attestata nell’area etrusca e laziale da vari ritrovamenti archeologici-, composta da due metà legate tra loro da fibbie e anelli. Sulla parte anteriore erano incisi dei muscoli stilizzati, mentre il collo veniva coperto da un collarino corazzato.
Di solito, la protezione dell’oplita romano era completata dagli schinieri (ocreae), in bronzo o lega di stagno.
Tutte le armature erano foderate con cuoio e spugna (spongia) per evitare lo sfregamento del metallo, ma anche le scottature per il surriscaldamento del bronzo sotto i raggi del sole.

L’introduzione del modello oplitico denota una tendenza costante in tutta la lunga storia militare romana, ossia la pratica dell’imitatio. Mano a mano che le forze capitoline si espansero nella penisola italica, entrarono in contatto con altre popolazioni, spesso più evolute dal punto di vista militare, da cui trassero importanti insegnamenti, imitandone addirittura il modo di combattere. Il caso che abbiamo esaminato in questo articolo ne è un chiaro esempio: l’incontro-scontro con gli Etruschi deve aver impressionato i Romani, la falange apparve ai loro occhi come una formazione prodigiosa e quasi invulnerabile, ragion per cui era necessario imitarla. La flessibile e pragmatica mentalità romana non esitò a copiare lo stile nemico, traendone vantaggio durante le guerre laziali.
Decenni dopo, anche l’introduzione del pilum, arma da lancio basata sul giavellotto sannita, oppure del celebra gladius, ispirato da spade di origine ispanica, furono frutto dell’imitatio, una delle chiavi del grande successo militare degli eserciti romani.

LE LETTURE CONSIGLIATE