Uno, nessuno, 1.6 milioni: il cambiamento inizia adesso

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Giulia Barison, Siena –

Venerdì 15 marzo 1.6 milioni di persone si sono riversati nelle piazze di più di 120 paesi in tutto il mondo per protestare contro la cattiva gestione da parte dei governi di una delle urgenze più gravi allo stato attuale: il cambiamento climatico.

Il Global Climate Strike for Future (“Sciopero climatico globale per il futuro”), come è stato chiamato, rientra in un movimento più ampio avviato ormai sette mesi fa dalla giovanissima attivista svedese Greta Thunberg: il Fridays For Future (“Venerdì per il futuro”).

Greta, a fronte delle eccezionali ondate di calore che avevano colpito la Svezia durante la scorsa estate, decise di dare inizio a una manifestazione silenziosa e individuale con cadenza settimanale: ogni venerdì, durante l’orario scolastico, si sarebbe appostata davanti alla sede del parlamento svedese, tenendo in mano un cartello con su scritto: Skolstrejk för klimatet (“Sciopero della scuola per il clima”). L’idea di Greta voleva essere quella di sensibilizzare alla protesta e ai motivi che vi stavano alla base in particolar modo i più giovani e i bambini, ovvero coloro che per primi rappresentavano il futuro del pianeta: che senso aveva studiare per il proprio futuro, quando ciò che si studiava non veniva applicato alla realtà e quando, di quel passo, non veniva nemmeno garantito un futuro?

Il movimento fondato da Greta ebbe un ampio successo in tempi brevissimi: nel giro di pochi mesi tenne un brillante intervento a Katowice (Polonia) in occasione della COP24 (la ventiquattresima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), dopo il quale venne presa ad esempio da milioni di persone in tutto il mondo. A Katowice Greta non fece alcun tipo di richiesta alla Convenzione delle Nazioni Unite, ma preferì sbatterle in faccia un fatto compiuto:

 

“Non siamo venuti qui per pregare i leader di occuparsene. Tanto ci avete ignorato in passato e continuerete a ignorarci. Voi non avete più scuse e noi abbiamo poco tempo. Noi siamo qui per farvi sapere che il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia o no. Il vero potere appartiene al popolo”.

 

Da quel momento, a partire da coloro che più erano sensibili alla tematica ambientale, in tutto il mondo iniziarono a costituirsi gruppi di giovani riunitisi a rappresentare sia a livello nazionale, sia a livello locale il Fridays For Future: grazie alle piattaforme di social networking e al potere mediatico che presto acquisì il movimento, il FFF poté sin da subito vantare una diffusione in più di 120 paesi, garantendo così una notevole partecipazione allo sciopero di venerdì 15 marzo.

Al Global Climate Strike io c’ero. Mi trovavo a Siena, città in cui mi sono trasferita da pochi mesi. È vero, non ho avuto modo di conoscere approfonditamente la città, ma non contavo molto sull’adesione allo sciopero, data la scarsa sensibilità ecologica con cui gli abitanti affrontano, in genere, tematiche di cui non si dovrebbe nemmeno più parlare, come ad esempio quella della raccolta differenziata.

Eppure, eravamo in duemila. Alle 11:00 Piazza del Campo era gremita di persone di tutte le età, ma soprattutto era gremita di giovani e giovanissimi pronti per protestare per il proprio futuro. Si sono tenuti interventi di ogni tipo: professori, studenti e dottorandi appartenenti a vari ambiti (dalla medicina, all’economia, alla filosofia morale), bambini delle scuole elementari, attivisti per l’ambiente e per gli animali, poeti e musicisti si sono riuniti per contribuire con il loro apporto personale a una causa comune: salvare il futuro del nostro pianeta.

Non posso nascondere il fatto che per me è stato molto emozionante. Io seguo questa battaglia, con sempre maggiore consapevolezza e coscienza (ma certamente non con la grinta e l’impegno dimostrati da Greta), da ormai una decina d’anni: chi, come me, credeva nell’urgenza di un cambiamento già dieci anni fa, sa bene che le uniche risposte che si potevano ricevere all’epoca erano accuse di complottismo e fanatismo. Oggi non è più così: non può più esserlo. È davvero un peccato che, dieci anni fa, quando tutto sommato la situazione, pur nella sua gravità, era sicuramente molto più facilmente recuperabile rispetto ad ora, i pochi veri ambientalisti non siano stati ascoltati, come invece è stata ascoltata Greta: avremmo potuto fare molto di più, avremmo potuto salvare realtà che oggi sono estinte o destinate irrimediabilmente all’estinzione.

Ma non ha senso parlarne: ormai il danno è fatto. Come dicevo, è stato molto emozionante. Per la prima volta, non ero sola: intorno a me urlavano e sventolavano i propri cartelloni duemila persone che protestavano esattamente per ciò per cui io stessa stavo protestando. Mentre i musicisti suonavano Imagine di John Lennon e Heroes di David Bowie, mentre i bambini sedevano in prima fila portando sul busto una lettera che andava a formare la frase: “Noi stiamo con Greta”, mi sono davvero sentita parte di una collettività.

 

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Foto Vincenzo Livieri – LaPresse 15-03-2019 – Roma

 

Il giorno dopo, come spesso accade, i social network erano oberati di post sullo sciopero: erano post per lo più positivi, ma non potevamo mancare quelli negativi. Tra le accuse più diffuse rivolte agli scioperanti c’era quella di inazione a livello quotidiano e individuale e, di conseguenza, dell’aver inteso lo sciopero come nulla di più di un giorno di ferie. A queste, si aggiungevano accuse complottiste nei confronti di Greta, delle quali ritengo non valga nemmeno la pena discutere. Chi ha mosso queste accuse rappresenta spesso quell’inetta parte della popolazione che, oltre a limitare la propria azione quotidiana alla creazione di danni ecologici, vuoi per pigrizia, vuoi per ignoranza, ha anche il coraggio di criticare chi dimostra un impegno concreto, anche se solo per un giorno. Fatta questa premessa, ricordiamoci che a volte non conta quali siano i motivi che portano le persone a scioperare, ciò che conta è il numero. E 1.6 milioni di persone è un numero che può intimorire i governi. Sarà forse superfluo aggiungere che, se qualcuno avesse voluto approfittare dell’occasione per prendersi un giorno di pausa, avrebbe “scioperato” a casa sua, non in piazza.

Ciò non toglie che queste accuse mi hanno fatta riflettere: cosa facciamo concretamente e quotidianamente nel nostro piccolo? Non mi permetterei mai di affermare con tanta boria che i manifestanti non agiscono individualmente, perché non posso saperlo. Tuttavia, sorge spontaneo il timore che il Fridays For Future si possa estinguere con la manifestazione del 15 marzo, la quale doveva essere un punto di partenza, non un punto di arrivo. Questo è il motivo per cui ho deciso di entrare a fare parte del Fridays For Future – Siena e di cercare di fare il possibile per contribuire al sostentamento del movimento, quantomeno a livello locale. Entrare in contatto con i ragazzi del collettivo senese mi ha fatto capire che siamo tutti diversi, ma che la nostra diversità non inficia la bontà dei nostri ideali. Si dà per ovvio che, da chi proclama un qualsivoglia ideale, ci si aspetta un comportamento coerente con esso, ma non è sempre facile e, in alcuni casi, non è nemmeno possibile. Le variabili, poi sono infinite: c’è chi ha più senso del sacrificio e del dovere e farà meno fatica a cambiare alcune delle proprie abitudini, ad esempio, ma questo non mette in dubbio la coscienza ambientale del singolo, laddove c’è, e in ogni caso, poco è sempre meglio di nulla.

A chi ha messo in dubbio l’impegno dei manifestanti, tengo a dire che i direttivi del Fridays For Future, sia a livello locale, sia a livello nazionale, si impegneranno in attività di informazione, divulgazione e sensibilizzazione volte a stimolare la coscienza ecologica del singolo: starà alle persone, poi, impegnarsi per fare qualcosa di concreto. Si tratterà di un impegno che potrà svilupparsi su vari piani: da azioni basilari, come fare la raccolta differenziata come si deve e non gettare per terra i mozziconi delle sigarette; a cambiamenti alla portata di tutti, come comprare una borraccia riutilizzabile al posto delle bottigliette in platica e lo spazzolino in bambù al posto di quello in plastica; fino a cambiamenti per alcuni più difficili, come avvicinarsi a una dieta vegetariana, evitare l’uso di aereo e automobile e l’autoproduzione di cosmetici e detersivi.

Non importa in che termini, l’importante è fare qualcosa. Non lasciamo che questo movimento si estingua, portiamolo avanti senza farci vincere dalla pigrizia e dal menefreghismo. Facciamo in modo che nessuno preferisca impegnare il proprio tempo in critiche sterili, invece di impiegarlo in azioni concrete. Una bambina è riuscita a muovere il mondo: ora sta a noi, gli 1.6 milioni, cambiare le cose.