Donne, violenze e diritti: uno studio storico-antropologico su “La violenza contro le donne nella storia”

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Vanessa Genova, Catania –

In un’epoca, come quella presente, in cui la coscienza sociale ha preso maggior consapevolezza dell’esistenza di una grave forma di violenza verso il genere femminile, è scaturito il bisogno di approfondire questo importante tema anche attraverso un richiamo alla contestualizzazione storica e all’analisi socio-antropologica del fenomeno.

Numerosi studi, come quelli avviati negli anni Settanta da attiviste quali Kate Millett e Susan Brownmiller, hanno legato, inizialmente, la violenza di genere solo a quelle società che hanno conosciuto, nel tempo, forme di diseguaglianza discriminatoria tra uomini e donne.

La concettualizzazione della violenza contro le donne, però, non è rimasta immutata nei secoli, ma è variata nelle manifestazioni e nelle interpretazioni, espandendosi in altre aree geografiche e assumendo nuove forme.

È qui che entra in gioco l’uso del discorso storico: fino ad oggi, infatti, non era stato concepito un appropriato inquadramento storico-antropologico della violenza di genere in una prospettiva di lungo periodo, tale da poter avere uno strumento capace di ricostruire il quadro storico della “cultura della maschilità” e dare voce a nuove interpretazioni.

Una tale mancanza ha spinto un gruppo di studiosi italiani, membri della Società Italiane delle Storiche, a compiere dal 2015 un’indagine collettiva sul fenomeno, i cui risultati sono stati raccolti nel settembre 2017 nel saggio collettaneo La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (secoli XV-XXI) pubblicato da Viella e curato dalle professoresse Simona Feci, docente di Storia del diritto medievale e moderno all’Università di Palermo, e Laura Schettini, ricercatrice di Storia contemporanea all’Orientale di Napoli.

 

 

Il volume si pone, quindi, non come sapere specialistico, ma come un utile strumento di rivisitazione dei fenomeni passati in grado di contribuire alla rilettura delle violenze di oggi e ideare politiche di contrasto, liberando il tema da ogni generalizzazione e semplificazione errata.

 

«La violenza maschile contro le donne non conosce confini geografici, né barriere culturali, di classe o religione, è riscontrabile in tutte le epoche; allo stesso tempo assume molteplici forme, e i modi in cui è stata percepita socialmente, recepita nella cultura giuridica, trattata dalla politica e raccontata sono cambiati molte volte nel tempo e variano a seconda delle aree geografiche.»
(S. Feci, L. Schettini, Storia e uso pubblico della violenza contro le donne, in La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (secoli XV-XXI), a cura di S. Feci, L. Schettini, Roma, Viella, 2017, p. 10)

 

Nel libro sono riscontrabili due grandi filoni di analisi: il primo si concentra sui contesti storico-sociali in cui si svilupparono tali forme di violenza; il secondo, invece, si occupa delle politiche del diritto, adottate dalle società odierne per regolare i casi di violenza contro le donne.

 

 

 

I tredici casi studio, raccolti all’interno del libro, analizzano il fenomeno della violenza di genere attraverso il supporto di specifici modelli e casi, di origini e forme diverse: dall’oblio della soggettività femminile nei fatti di parricidio della Roma di fine Cinquecento, come il caso della famiglia Santacroce (i figli Paolo e Onofrio furono accusati di aver ucciso la madre Costanza nel settembre 1599); alle prime e difficili separazioni coniugali per maltrattamenti domestici nella Torino ottocentesca; ai casi di violenza sessuale contro le bambine e all’uso promiscuo della cognizione di innocenza infantile nei tribunali fiorentini del lungo Ottocento; fino all’analisi dell’ambiguità della posizione femminile nei contesti mafiosi della Sicilia di metà Novecento e alla ricostruzione della nascita dei primi “Centri contro la violenza sulle donne” del Mld (Movimento di liberazione della donna) nell’Italia degli anni Settanta.

 

«Con questo volume ci auguriamo di muovere qualche passo in una direzione nuova. I tanti saggi che lo compongono contribuiscono a una più corretta consapevolezza della violenza e delle sue radici, delle diseguaglianze di cui è espressione, ma aiutano anche a contrastarla, decostruendo e depotenziando sul piano culturale e politico i simboli e i discorsi pubblici di cui si nutre.»

 

Nonostante le difficoltà ad analizzare dati storici generalmente frammentati e differenziati, i punti affrontati all’interno del volume sono numerosi e offrono interessanti spunti di riflessione sulla violenza di genere, tali da suggerire nuove forme di indagine da applicare anche nelle scienze sociali e nella storiografia.

Una tematica significativa – tanto da essere ripresa più volte nel corso del volume – è, ad esempio, la pratica dello ius corrigendi nei casi di violenza coniugale e famigliare d’età medievale e moderna.

Per ius corrigendi si intende, infatti, quel diritto consuetudinario del pater familias di esercitare l’uso della forza per attuare forme di correzione verso la donna, al fine di imporle un’educazione all’obbedienza e al rispetto verso l’uomo; è interessante ciò che emerge dall’analisi dei documenti riguardanti tale pratica, ossia l’esistenza di “limiti” all’atto dello ius corrigendi – riconosciuti anche in ambito giuridico – superati i quali si sconfinava nella “violenza”.

 

 

Ma quale significato era attribuito alla “violenza” contro le donne in epoche passate? Lo studio dedicato allo ius corrigendi ha permesso di far luce sul significato di tale  termine nell’età moderna, il quale non coincide affatto con quello di uso contemporaneo: la subalternità della donna e la pratica dello ius corrigendi non erano considerate offese di genere, quanto piuttosto misure necessarie, se praticate entro i limiti della moderazione e della “giusta causa”, ossia nei casi in cui le donne presentavano forme di esuberanza e disobbedienza (eccessiva loquacità, frequentazione degli spazi pubblici senza accompagnamento maschile, e così via).

Se la correzione diveniva immotivata ed eccessiva, solo in quel caso si trasformava da diritto a “violenza” e la donna poteva denunciare, presso le istituzioni giudiziarie, gli abusi ricevuti in famiglia.

Un altro punto interessante affrontato nel volume La violenza contro le donne nella storia riguarda la novità novecentesca del discorso pubblico sulla violenza contro le donne, che prende avvio con la prima guerra mondiale e sfrutta i casi di stupro di massa come strumento di lotta politica.

È storicamente noto, infatti, che gli stupri accompagnano da secoli le guerre delle società di stampo patriarcale; ma il discorso sociale e politico sul fenomeno non era mai stato affrontato apertamente fino al primo Novecento.

La ricostruzione delle prime riflessioni sul tema – che indubbiamente contribuirono a rivalutare lo stupro di massa non più come effetto collaterale dei conflitti ma come arma offensiva contro il nemico – diventa un punto chiave nella seconda parte del volume. A partire da queste riflessioni, infatti, gli autori offrono un percorso di analisi critica dei discorsi pubblici sul tema della violenza di genere e sulle politiche di contrasto al fenomeno, affrontati in ambito nazionale e internazionale dall’inizio del XX secolo fino ad oggi.

In tale percorso, risulta particolarmente originale l’indagine valutativa delle campagne d’opinione e dei progetti educativi messi in atto negli ultimi anni contro la violenza maschile.

 

 

La recente rappresentazione del fenomeno a livello mediatico e iconografico sembra celare, però, elementi significativi che contribuirebbero alla continuità del fenomeno nella società odierna: da anni, infatti, le immagini prodotte per contrastare la violenza maschile contro le donne sembrano generare, in realtà, l’effetto opposto, assecondando l’idea stereotipata di “donna oggetto”, il cui corpo può essere sfruttato a piacimento, e focalizzando l’attenzione interamente sulla vittima attraverso l’irrappresentabilità e la deresponsabilizzazione dell’uomo violento nelle immagini.

La violenza maschile contro le donne è un tema particolarmente tortuoso; la sua complessità storiografica e valutativa emerge in modo chiaro da questo volume. Ma La violenza contro le donne nella storia vuole essere uno strumento di comprensione e consapevolezza del significato storico e contemporaneo di “violenza di genere”, della sua evoluzione e delle odierne “missioni” educative adatte al suo contrasto.

Nonostante la complessità della situazione femminile in epoca contemporanea, è giusto ricordare che la società ha compiuto grandi progressi nella battaglia per la decostruzione dei meccanismi culturali di stampo patriarcale alla base della violenza contro le donne: il libro curato da Schettini e Feci ne è un esempio.

 

«È forse giunto il momento di passare dalla fase “di rappresaglia” a una piena assunzione di responsabilità rispetto ai temi urgenti del nostro tempo, per ri-fondare il nostro pactum unionis su una vera democrazia di genere. Istruzione, inclusione, cultura sono le armi più potenti per vincere questa battaglia.»
(S. Mantioni, Homo mulieri lupus, in La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (secoli XV-XXI), a cura di S. Feci, L. Schettini, Roma, Viella, 2017, p. 152).

 

A cura di S. Feci, L. Schettini
La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (secoli XV-XXI)
Roma, Viella, 2017
pp. 287