La spia che cadde sulla terra. La storia di Ashraf Marwan, l’agente segreto che salvò Israele: le memorie di Ahron Bregman

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Veronica Bortolussi, Venezia

Londra, 27 giugno 2007: un uomo perde la vita dopo essere precipitato dalla terrazza dell’appartamento in cui abitava. Si tratta dell’egiziano Ashraf Marwan, genero dell’ex presidente Gamal Abdel Nasser e ricco uomo d’affari.

Dietro questa facciata rispettabile, però, secondo lo storico Ahron Bregman, autore del breve saggio La spia che cadde sulla terra. I miei rapporti con l’agente segreto che fece tremare il Medio Oriente (Einaudi, Torino, 2018), si celava una «spia egiziana al servizio di Israele», forse il «più importante agente segreto del XX secolo».

 

 

Bregman, già autore di alcuni saggi sul conflitto israelo-palestinese (fra cui ricordiamo l’unico uscito in Italia: La vittoria maledetta. Storia di Israele e dei Territori occupati, Einaudi, Torino 2017), si imbatté in questo doppio agente durante le ricerche per la realizzazione di un documentario commissionatogli dalla Bbc, The Fifty Years War. Israele and the Arabs. L’esistenza di una «prodigiosa» spia araba al servizio di Israele non era, ormai da tempo, un segreto, così come non lo era il fatto che avesse fornito un importante avvertimento al Mossad alla vigilia dello scoppio della Guerra del Kippur (6 ottobre 1973). La sua identità, però, era rimasta sconosciuta.

 

Il suo nome era rimasto top secret finché non lo avevo smascherato nel dicembre 2002. All’inizio mi era sembrato un momento di gloria, l’apice della mia carriera: ero il primo storico ad aver scoperto l’identità della più grande spia di Israele, forse la figura più importante nella storia dello spionaggio moderno, e avevo intenzione di scriverne con dovizia di particolari. Ma alcuni anni dopo, quando Marwan morì in circostanze misteriose, l’intera vicenda si trasformò in un incubo.

 

Un incubo che Bregman ha provato a esorcizzare pubblicandone la storia, rivelatasi non una «stupida storia di agenti segreti», come la definiva Marwan, ma la ricostruzione di una vicenda rilevante sul piano storico che dalla nascita dell’egiziano nel 1944 passa per il 1970, anno del primo contatto tra l’agente e il Mossad, per arrivare fino ai giorni nostri, dove si trasforma nella storia di un’amicizia, quella tra lo storico e l’agente segreto: «Perché, fra tutti, Marwan avesse deciso di fare amicizia proprio con me – colui che per primo aveva svelato la sua identità di spia – è tuttora un mistero anche per me», racconta l’autore.

 

 

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Marwan tra Sadat e Gheddafi

 

Una vicenda rilevante anche per noi italiani. Nel volume, infatti, è narrata anche la vicenda che vide protagonista il colonnello Muammar Gheddafi, deciso a vendicarsi per l’abbattimento da parte dell’aviazione israeliana di un Boeing 727 libico, avvenuto il 21 febbraio 1973.

Per evitare un impegno diretto da parte dell’Egitto, chiamato in causa dal leader libico, il presidente egiziano Anwar al-Sadat incaricò proprio Marwan di organizzare insieme alle forze di Gheddafi un attentato ai danni della compagnia israeliana El Al.

L’operazione avrebbe dovuto svolgersi a Roma e a Marwan spettò la consegna di due missili a cinque palestinesi che, a loro volta, li trasportarono in metropolitana fino a Ostia, nascondendoli in alcuni tappeti. L’iniziativa, tuttavia, fallì: una misteriosa spia israeliana, presumibilmente Marwan stesso, fece una soffiata al Mossad e i cinque palestinesi furono arrestati il 5 ottobre 1973.

Sulla genuinità dell’agente segreto, tuttavia, nutrì sempre dei dubbi il generale israeliano Eli Zeira, intervistato da Bregman in occasione del documentario per la Bbc, a capo della Direzione di Intelligence Militare durante il conflitto del Kippur con il preciso compito di «fornire pareri al primo ministro e al governo in generale sulla probabilità che scoppiasse una guerra con gli arabi».

 

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Marwan (l’ultimo a destra) con Nasser e la sua famiglia

 

Silurato in seguito all’attacco a sorpresa da parte dell’Egitto, di cui dubitava, Zeira colse nell’intervista dello storico l’occasione per accusare di doppiogiochismo un agente segreto israeliano – pur senza farne il nome –  che a suo parere fornì volontariamente un’informazione errata all’allora Primo ministro Golda Meir per permettere la riuscita dell’attacco nemico.

Fu questa circostanza a insinuare nello storico il dubbio che Marwan potesse essere un doppio agente al servizio dell’Egitto, tesi che lo porterà a incrociare il suo cammino con quello di Marwan, del quale divenne – una volta superate le diffidenze iniziali – amico, e che lo convinse, alla sua morte, a ricostruirne la storia, dove lo definirà con sicurezza un «eroe egiziano».

 

Spesso la gente mi chiede: «Ma secondo lei cos’è successo ad Ashraf Marwan?» A essere sincero, me lo chiedo spesso anch’io. Quando la moglie e i figli mi pregarono, tramite il loro avvocato, di comparire davanti al coroner per sostenere l’ipotesi dell’omicidio anziché quella del suicidio, che molti musulmani considerano un peccato grave, accettai senza remore. Onorai il mio impegno, sentendomi in pace con me stesso, e ancora oggi una parte di me è convinta che Marwan non si sia suicidato, ma sia stato ucciso. Forse dagli egiziani, che non credettero alla mia storia del doppio agente e giunsero alla conclusione che Marwan li aveva traditi. O forse c’entravano qualcosa i suoi affari loschi: dopotutto, era pur sempre un trafficante di armi. Quando in un’intervista gli chiesero un parere sulla morte di Marwan, l’ex capo dell’intelligence militare egiziana Fuad Nasser disse: «Penso che l’abbiano assassinato […] chi sia stato […] non lo so, ma in generale […] non c’è dubbio che si tratti di un omicidio».

 

La morte di Ashraf Marwani resta, a oggi, un mistero, degno dei gialli di John Le Carré, ma ad Ahron Bregman va senza alcun dubbio il merito di aver tentato di ricostruire la storia di uno degli agenti segreti meno noti al mondo.

A. Bregman
La spia che cadde sulla terra. I miei rapporti con l’agente segreto che fece tremare il Medio Oriente
Einaudi, Torino, 2018
pp.