Hypnos, somnium, visio: sognare nel Medioevo, un’attività contesa tra passioni terrene e rivelazione divina

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Giuseppe Catterin, Venezia –

Sognare rappresenta un’azione saldamente presente nel quotidiano di ciascuno di noi. Alcuni modi di dire, come il classico “sognare ad occhi aperti”, rappresentano frasi idiomatiche dal valore talmente icastico da rendere inutile qualsiasi genere di spiegazione: un tentativo, anche solo parziale, di delucidarne il significato risulterebbe, con ogni probabilità, genuinamente lapalissiano.

Il sogno si prefigura, dunque, come momento intimamente codificato presso il genere umano fin dalla notte dei tempi, forse ancor prima della completa evoluzione della nostra specie nel genere “Sapiens Sapiens”.

Senza volermi addentrare ulteriormente nei reconditi meandri di un’analisi introspettiva sulla genesi di tale azione – a tal proposito, tuttavia, nel mio piccolo reputo sufficiente limitarsi ad osservare le innumerevoli veglie travagliate passate dai nostri amici a quattro zampe che la rendono, in fin dei conti, un vero e proprio ponte tra specie senzienti -, l’attività di sognare ha veicolato, lungo i secoli, una indubbia pluralità di messaggi, imbrigliati, di volta in volta, all’interno dei più disparati orizzonti culturali. In questo articolo si analizzerà, pertanto, il significato attribuito al sonno durante l’Età di Mezzo.

Hypnos e Sacre Scritture: il sogno come rivelazione divina

Presso la cultura giudaica, terreno da cui scaturì la successiva tradizione cristiana, il sogno, soprattutto se premonitore, veniva recepito mediante una duplice chiave di lettura.

Se interpretati dal Profeta Daniele o dal Patriarca Giuseppe, i casi più emblematici contenuti nell’Antico Testamento, questo genere di sogni risultava lo strumento necessario per comprendere la rivelazione divina – i sogni di Daniele lo testimoniano espressamente – e, soprattutto, per tentare di padroneggiare il più antico desiderio umano: la conoscenza del futuro, e delle innumerevoli vicissitudini che esso può serbare.

Le celeberrime sette vacche magre, e la loro controparte scheletrica, sognate dal Faraone segnalavano altrettanti anni d’abbondanza e di carestia che, di lì a poco, avrebbero funestato l’Egitto.

 

Giuseppe interpreta i sogni del Faraone in una miniatura medievale (Bibbia di “Maciejowski”)

 

Seppur distanziati sullo spazio temporale, pur nei limiti di un ragionamento in ottica cronologica al rapportato all’Antico Testamento, esiste un aspetto interessante ad accomunare le vicende di Daniele a quelle di Giuseppe: entrambi, infatti, riescono in un’azione fallita da astrologi e maghi rispettivamente al servizio presso Nabucodonosor e il poc’anzi citato Regnante d’Egitto.

La scarsa considerazione nutrita per i pilastri della scienza di questi due popoli si può riscontrare anche presso il Deuteronomio (13, 1-4). A tal proposito, l’ultimo libro del Pentateuco è molto chiaro: se l’azione interpretativa del sogno proveniva dal responso di oniromanti della divinazione pagana, allora la spiegazione doveva considerarsi sempre fallace, spoglia di ogni valenza positiva perché priva di quel genere di Verità che poteva provenire esclusivamente dalla rivelazione divina.

In altre parole, nel ricorrere a questo genere di esperti, ci si macchiava indelebilmente di hybris.

Il regno di Morfeo, tuttavia, diviene anche lo spazio prediletto per rivelazioni: così accadde a Daniele, che ricevette una visione apocalittica – la prima dell’Antico Testamento – proprio “mentre era a letto” (Daniele 7:1). Analogamente, una prassi simile si può riscontrare presso il libro di Enoch: anche in questo caso, il Patriarca antidiluviano narra a Matusalemme le visioni avvenute durante il sonno.

Questi exempla, tuttavia, rappresentano degli unicum abbastanza isolati all’interno del panorama veterotestamentale. L’analisi del sogno finalizzata alla ricerca di una teofania o, più semplicemente, di una qualche forma di rivelazione, generalmente veniva duramente stigmatizzate: l’eco di acredine nei confronti degli specialisti nella divinazione dei sogni si può percepire anche presso i profeti Geremia e Zaccaria, prodighi nel mettere in guardia il popolo eletto dal non cadere nella tentazione di prestare fede a questo genere di “superstizioni”.

 

L’interpretazione del sogno di Nabucodonosor operata dal Profeta Daniele (MS M.791 fol. 261r)

 

Il sogno tra cultura classica e medievale  

Se è vero che nella tradizione omerica si possono riscontrare diverse analogie, come l’esempio dell’esperienza onirica vissuta e narrata da Penelope, l’età classica si differenzia per la feconda attività di catalogazione operata.

Nel commento al Somnium Scipionis, Macrobio, autore romano di V secolo, ci tramanda una interessante classificazione dei sogni tipica dell’età classica, redatta secondo uno spirito analitico che, desideroso di discernere le cause sovrannaturali da quelle più schiettamente antropiche, teneva in considerazione le circostanze e le cause che agivano alla base del sogno.

L’attività onirica causata da esperienze vissute nel quotidiano, siano esse positive o connotate da aspetti negativi – come, ad esempio, sofferenza di tipo fisico o frustrazioni di natura psicologica – veniva ricondotta nell’alveo dell’insomnium e del visumcon, quest’ultimo, ad indicare visioni tipiche della fase del dormiveglia.

A questo livello, scaturito da esperienze terrene, si andava ad innestare un livello successivo, connotato da manifestazioni oniriche di ben altro spessore.

La prima di esse, l’oraculum, avveniva al cospetto di una manifestazione, il più delle volte della divinità stessa, che informa colui che sogna.

Oracula sono, pertanto, i sogni degli eroi omerici che, come nel caso di Achille, riescono addirittura ad entrare in contatto con le anime dei defunti, grazie alla natura di “limbo” tra il mondo dei vivi e i dei morti assunto proprio dall’universo onirico.

Se la visio, invece, rappresentava il classico sogno premonitore, il somnium propriamente detto nascondeva una pluralità di messaggi, il più delle fortemente connotati da tratti allegorici, che per venir pienamente compresi dovevano venir opportunatamente studiati.

Queste categorie, tuttavia, non riusciranno ad imporsi presso gli orizzonti culturali altomedievali – verranno, infatti, riscoperti da Alchiero di Chiaravalle, nel suo Liber de spiritu e anima, solamente durante il XII secolo – se non limitatamente al campo lessicale.

 

Atena assiste Giasone durante la spedizione per recuperare il vello d’oro. La dea dagli occhi cerulei, prodiga nell’aiutare gli eroi dell’età classica, compare anche in sogno a Penelope, sotto le sembianze della sorella Iftime, preannunciando alla donna l’imminente ritorno del figlio Telemaco

 

Sognare durante il Medioevo

Alle tipologie di cernita in voga durante l’età classica, il pensiero cristiano medievale preferì fondare l’opera di catalogazione onirica sul concetto di verità.

L’indubbio snellimento nel raggruppamento delle attività oniriche, in favore di una classificazione a doppio titolo tra “sogni leciti” e “sogni illeciti”, continuava comunque a concepire un’origine più umana del sogno. Si tratta, comunque di esperienze scaturite da passioni terrene e, pertanto, viste quasi sempre con sospetto.

Il vero tratto caratterizzante il sogno, soprattutto nella sua accezione positiva, durante il Medioevo è dunque da ricercarsi nella prerogativa vantata dalle “classi alte”: sognare, canale diretto per rapportarsi direttamente a Dio, diventa il topos letterario delle agiografie dei santi, dei monaci e dei Re buoni.

I sogni di Carlo Magno, descritti nella Chanson de Roland, sono animati da angeli recanti messaggi dettati dalla divina Provvidenza. Nel sogno, Costantino, l’imperatore cristiano per antonomasia, intravide addirittura la vittoria. Analogamente, a partire dal pontificato di Gregorio Magno, l’avvertimento dell’imminenza della morte di un prelato mediante un sogno ad hoc, pervenuto con un congruo anticipo di tempo necessario ad espiare le penitenze del caso, era un aspetto che veniva dato per assodato. In altre parole, l’appartenenza alle classi elevate della società forniva la giusta garanzia per la liceità del sogno.

 

L’apostolo Giovanni compare in sogno a Carlo Magno, chiedendogli di liberare la sua tomba in Galizia – formella della Karlsschrein, Cattedrale di Aachen, Germania 1215

 

Il contenzioso, tutt’al più, insorgeva quando una sua interpretazione non veniva filtrata da un chierico. In tali circostanze, infatti, la mancata mediazione ecclesiastica poteva dare adito a influenze nefaste. Questo genere di moniti, tuttavia, non riuscì ad estirpare la diffusione dei così detti coniectores somniorum, figure popolari specializzate nell’interpretazione dell’attività onirica.

Martino di Braga, santo che resse la cattedra dell’omonima località lusitana, già sul finire del VI secolo condannava duramente tutti coloro che si rivolgevano ai somnialia scripta, scritti onirici che, sotto varie forme e innumerevoli nomi, in Francia perdurarono la loro tradizione fino al XV secolo inoltrato.

In sostanza, si trattava di liste, composte normalmente da un centinaio di versetti, ordinate vuoi per temi, vuoi seguendo un ordine alfabetico. Ogni versetto forniva telegraficamente le pillole necessarie per comprendere il significato delle più disparate immagini oniriche: parlare con dei morti simboleggiava l’imminenza di buone notizie; vedere e, successivamente, parlare con un defunto invece rappresentava la fonte di felicità.

In fin dei conti, si trattava di una tradizione che, mutatis mutandis, si può riscontrare nella valenza assunta da alcune figure all’interno della smorfia napoletana. Circa l’interpretazione dei sogni, posso assicurare d’aver ricercato, più di una volta, il loro significato, soprattutto in manifestazioni abbastanza ricorrenti: sono sicuro di non essere l’unico ad aver impostato una ricerca sul web avente questo genere di coordinate!

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