Una prospettiva economica nell’antichità: il ruolo della donna e la dimensione famigliare in Senofonte

Martina Tapinassi, Firenze –

L’economico di Senofonte

 

“Un’opera trascurata di un autore trascurato.”
Prof. D. Lanza – Università di Pavia

 

La letteratura greca non ha tramandato nessuna opera direttamente incentrata sull’economia, almeno non nell’accezione moderna del termine. L’oikonomia, traducibile in amministrazione dell’oikos una volta riconosciuta come techne, ha dato luogo ad un nuovo genere letterario: il logos oikonomikos.

Bisogna soffermarsi a riflettere sul significato che gli antichi attribuivano al termine oikos, ovvero l’organismo che costituisce la cellula base delle società greche. Questo termine deriva da oikiacasa” ed è collegato al verbo oikizeinabitare”. L’oikos rappresentava un insieme di elementi molto ampio: la casa stessa, il suo contenuto, la terra annessa, il bestiame e il nucleo famigliare.

Sottovalutato nei tempi moderni, l’Economico di Senofonte fu considerato invece il testo principale di amministrazione domestica per tutto il corso dell’Antichità. Scritto mediante la forma dialogica, inscena una conversazione fra il ricco possidente Iscomaco e Socrate.

Iscomaco espone le linee guida per perseguire una virtuosa organizzazione dell’oikos aristocratico. Il quadro che ne deriva rappresenta un modello ideale nel quale la sana amministrazione domestica favorisce l’armonizzazione nelle relazioni con la moglie e con la collettività.

Con quest’opera Senofonte vuole quindi dimostrare la centralità della struttura privata dell’oikos per la vita della polis, teoria sostenuta anche da Aristotele (nelle sue opere Politica e Etica Nicomachea) ma messa in discussione da Platone (Repubblica).

 

 

Il ruolo della donna nell’economia domestica

Questo dialogo senofonteo non si limita a confermare la destinazione naturale della donna alla vita domestica, ma affronta anche le dinamiche più intime della vita coniugale. Alle curiosità di Socrate circa la gestione della casa, Iscomaco, risponde che non è necessario che lui vi passi del tempo in quanto è sua moglie che è capace di amministrarne tutto il suo contenuto.  Riferisce poi di un dialogo avvenuto con la novella moglie, primo vero confronto fra i due.

Data in sposa in tenera età, casta e sobria nei costumi e nell’assunzione del cibo, essa aveva vissuto sotto la sorveglianza materna affinché fosse isolata dal mondo esterno e ne assorbisse il meno possibile. L’incompetenza della sposa non preoccupava Iscomaco, tutt’altro: questo faceva di lei la materia prima perfetta da plasmare sotto le sue mani.

Quando veniva data in sposa, la donna veniva paragonata in tutto ad un qualsiasi animale selvatico ed aveva quindi bisogno di essere addomesticata. Partendo da una buona educazione impartita dalla famiglia di origine, la moglie era pronta a recepire gli insegnamenti del marito.

Compito della moglie era quindi l’essere saggia nell’affidarsi ai comandamenti del marito. Viene specificata la discriminante con cui il marito sceglieva per sé la moglie e la famiglia di origine sceglieva il marito per la figlia. Si individua un chiaro riferimento ad un passo presente nei Memorabili (II 2,4) in cui Socrate, parlando al figlio Lamprocle, ribadisce che nella scelta non fosse tenuta in conto l’attrattività fisica (per soddisfare i desideri della carne erano infatti piene le strade) bensì l’individuazione di colei con la quale si potesse avere i figli migliori.

 

 

Proseguendo nel dialogo, Iscomaco esorta la moglie a cercare di fare al meglio le cose per le quali gli dei l’avevano generata naturalmente idonea, perseguendo il miglioramento della qualità di vita del nucleo famigliare e l’accrescimento delle ricchezze con azioni giuste e oneste.

Iscomaco il ruolo della moglie nella casa a quello dell’ape regina nell’alveare e prosegue spiegando come gli dei abbiano a lungo riflettuto e poi formato la coppia femmina-maschio nell’ottica di una vita comune. Reciproco aiuto (boetheiai), affetto (eunoiai) e collaborazione (synergiai) sono i tre fattori fondamentali non solo per vivere, ma per vivere bene.

La vita di una coppia femmina-maschio diverge da quella delle bestie e deve svolgersi al chiuso. Spiega analiticamente come nasce la divisione fra i compiti: quelli dell’uomo, da svolgersi all’esterno, che prevedevano la cura della terra e dell’allevamento; quelli della donna, all’interno dell’oikos, che comprendevano l’allevamento dei neonati, la lavorazione degli alimenti e la confezione dei capi di abbigliamento con la lana ricavata dalla tosatura degli animali.

Data la divisione dei compiti gli dei disposero che la natura dell’uomo e della donna fosse diversa, consona ciascuna alle incombenze che dovevano portare a termine. Predisposero quindi il corpo e l’anima dell’uomo affinché potesse sopportare sbalzi climatici, fatica fisica per i lavori manuali e coraggio per affrontare le avversità.

Dotarono poi la donna di amore maggiore per allevare i figli e timore per custodire con più accortezza le ricchezze accumulate. Dispensarono ad entrambe memoria, impegno e capacità di dominarsi, in pari misura. Al VII/28 Iscomaco pronuncia il seguente discorso:

 

“Visto che entrambi per natura non sono volti alle stesse cose, essi hanno ancora più bisogno l’uno dell’altro, e la coppia è di fatto a sé stessa più utile perché dove uno non ci arriva, può l’altro.”

 

Queste parole non fanno altro che ribadire la netta divisione dei compiti fra marito e moglie, giustificandola in un’ottica di naturale complementarietà delle due parti. Poi prosegue, al VII/31, enfatizzandone la responsabilità nei confronti del volere degli dei:

 

“Se qualcuno va contro la natura datagli dal dio, quasi come un insubordinato, non resta nascosto agli dei e sconta la colpa perché trascura i suoi lavori o fa quelli della donna.”

 

Si assiste anche ad una primordiale versione dell’attuale comunione dei beni, mettendo però in secondo piano la ripartizione del contributo materiale.  Iscomaco stesso ci conferma la condivisione (koinonia) anche delle risorse materiali alla quale ciascuno dei due coniugi, posti su un piano di uguaglianza sostanziale, contribuisce secondo le proprie capacità, al VII/16:

 

“Io, tutto quanto ho, lo dichiaro comune; tu, tutto quanto hai portato, lo hai messo in comune; e non bisogna contare chi di noi due ha contribuito con una maggiore quantità di beni, ma piuttosto sapere chiaramente che dà un contributo maggiore e più importante chi di noi due è miglior compagno.”

 

La casa doveva avere una disposizione ordinata: gli oggetti ricercati al bisogno dovevano essere di facile reperibilità quindi per ciascuno andava individuato un posto opportuno. Iscomaco sottolinea che “se in ordine, appare tutto più bello” e che le stanze stesse furono costruite a suo tempo in modo che fossero funzionali alla destinazione d’uso, elencando perfino alcuni esempi al IX/3:

 

“La stanza da letto, posta al sicuro, invitava le cose più preziose, coperte e suppellettili, i luoghi asciutti il grano, quelli freschi il vino, quelli luminosi i lavori e le suppellettili che hanno bisogno di luce.”

 

Nell’individuare un posto adeguato per ogni fornitura della casa, viene posto anche l’accento sui beni di prossimo consumo e di quelli stimati per l’anno in corso. Veniva quindi fatta una previsione di utilizzo, una sorta di budget scandito da più scadenze temporali, in risposta ai bisogni ciclici.

Ad occuparsi di questo insieme alla padrona di casa era una serva specializzata. Il ruolo della dispensiera doveva essere ricoperto da una serva con determinate caratteristiche: doveva essere capace di dominarsi nella gola, nel vino, nel sonno e nei rapporti con gli uomini ed avere una buona capacità mnemonica. Nelle sue funzioni e capacità era quindi assimilabile ad una vera e propria copia della moglie.

 

 

Il dialogo fra i due si conclude con uno scambio di battute sulla femminilità della donna. Iscomaco riferisce di un episodio in cui la moglie, imbellettata e truccata, era ricorsa ad un eccessivo uso di cerone e cipria. Egli subito stimola la riflessione nella moglie: è inutile mostrarsi come non si è, falsificando la propria bellezza naturale che comunque resta preferita agli artifici del trucco e degli accessori.

Il biasimo deriva dal fatto che la donna deve mantenere una condotta misurata, dimessa e schiva e l’uso della cosmesi risulta inadatto a costumi onesti (riguardo a questo troviamo un riferimento anche nel Gorgia di Platone).

Concludendo, credo che il passo più significativo circa il rapporto fra marito e moglie lo troviamo al X/1:

 

“Ma ti voglio anche raccontare” fece Iscomaco “che nobili sentimenti aveva ancora; era per questi che le bastava ascoltarmi una volta per obbedirmi subito.”

 

In questa opera viene mantenuta l’ideologia tradizionale, che vede la donna sposata molto giovane, fedele al marito, destinata alla vita casalinga e alla procreazione di una discendenza legittima. E’ doveroso ricordare l’uso antico di ricorrere al divorzio nei casi di sterilità femminile.

Carattere precipuo del rapporto coniugale era la stabilità: i due elementi consustanziali al contratto matrimoniali erano infatti la finalità procreativa e la compagnia duratura. Il carattere innovativo di Senofonte sta nel ruolo educativo di Iscomaco affinché la moglie diventi totalmente responsabile dell’economia famigliare.

La concezione della donna subordinata era sostenuta da precetti divini dai quali scaturiva anche la divisione dei compiti. La donna dovrà essere in grado di sovraintendere a tutte le questioni domestiche della proprietà, attività in armonia con la propria costituzione fisica dispostale per natura dagli dei.

Un altro aspetto su cui Senofonte pone l’accento è l’attenzione al dettaglio (akribeia), non come qualità ma come vero e proprio modus operandi. Vi è un’estrema attenzione al calcolo economico: il buon economo deve saper amministrare le sostanze con minuzia. Questo percorso risponderebbe non solo all’esigenza economica, ma soprattutto alla questione etica: per Senofonte il valore è infatti strettamente collegato alla virtù.

Il patrimonio non viene determinato solo in base alla quantità di beni che lo compongono ma acquisisce valore in base alla virtù che manifesta colui che l’amministra verso la società. Perciò quanto più l’economo sarà virtuoso, tanto maggiore sarà il controvalore del suo patrimonio.

La donna, di riflesso, attraverso un’adeguata amministrazione economica del patrimonio famigliare, non ricerca il mero utile nella sua accezione egoistica ma il bene comune, che costituisce il fine ultimo dell’economia.

Sicuramente Senofonte era rimasto colpito dai costumi persiani e dipinge il ritratto della moglie di Iscomaco come icona della civiltà di questo popolo così vicino e contemporaneo ma così diverso nella gestione della quotidianità domestica.

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