Tra “bombe sporche” e “armi di vendetta”: la scienza nazista e i progetti chimici e nucleari durante la seconda guerra mondiale

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Lorenzo Domenis, Verona –

La seconda guerra mondiale vide l’impiego di una quantità di armi mai vista prima, la scienza scese in forze sul campo di battaglia, seminando morte e distruzione in tutto il pianeta. La Germania fu uno dei paesi combattenti che cercò di sfruttare maggiormente il potere bellico della scienza, finanziando diversi programmi.

Per tutta la durata del conflitto, il Terzo Reich accarezzò il sogno di dotarsi di un’arma mai vista prima, dall’immane potenza distruttiva e dall’impatto psicologico devastante: la bomba atomica.

La Germania fu il primo paese ad avviare un programma di ricerche nucleari sotto la direzione dell’esercito. Tale programma si concentrava su due aree: la separazione degli isotopi e la costruzione di un reattore a fissione. Per portare avanti questo tipo di ricerche era necessaria la presenza sul territorio di un ciclotrone, che i nazisti non ebbero a disposizione fino al 1944 (negli USA, nel 1939 ve ne erano 9 in funzione e 27 in costruzione).

 

 

I servizi d’intelligence degli alleati, tuttavia, non riuscirono a reperire questa informazione fino agli ultimi mesi del 1944, quando si resero conto che il programma atomico tedesco non rappresentava una minaccia concreta. La paura dell’atomica tedesca venne meno solo nel 1945, quando risultò palese che la Germania non avrebbe potuto più avere le risorse (uranio o plutonio in primis) per costruire un’arma atomica funzionante.

Non potendo realizzare armi nucleari funzionanti, gli scienziati tedeschi ventilarono l’ipotesi di realizzare delle “bombe sporche”, ossia ordigni convenzionali ai quali venivano aggiunti elementi radioattivi che sarebbero stati dispersi nell’area dell’esplosione, contaminandola e avvelenandola.

Nel febbraio 1943 Boris Rajewsky, direttore dell’Istituto per le basi fisiche della medicina e responsabile degli standard d’igiene e sicurezza nelle miniere tedesche, era a caccia di fondi per studiare gli effetti biologici delle radiazioni crepuscolari per valutare la possibilità di impiegarle come arma, ma soprattutto per comprendere la base biologica della protezione dalle radiazioni.

La sua richiesta di fondi non venne ascoltata, ma l’idea di realizzare un’arma radiologica, destinata a colpire la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, risultava affascinante per i leader del Terzo Reich, in particolare nell’ambito dei programmi delle “armi di vendetta”.

Le prove dell’esistenza di un piano per la produzione e l’impiego di bombe radioattive sono scarse e totalmente indiziarie; nell’ultima parte della guerra si trovano occasionalmente riferimenti alla Uraniumbombe. Henry Picker, lo stenografo di Adolf Hitler, accenna, per esempio, a “un prototipo della bomba all’uranio tedesca”, circondato “dalla massima segretezza”.

Secondo Julius Schaub, aiutante di campo principale di Hitler, che aveva sentito parlare di quella bomba da alcuni ufficiali delle SS, l’ordigno aveva le dimensioni di una piccola zucca, ed era composto da una serie di piccole bombe all’uranio disposte intorno a un nucleo esplosivo convenzionale.

Alcuni gerarchi accarezzavano il sogno di lanciare queste armi radiologiche sul nemico grazie a un razzo gigantesco (A-9/10), i cui piani di disegno erano realmente esistenti, o da missili lanciati da sottomarini appositi. Per fortuna, i progetti rimasero tali, anche se l’idea di lanciare missili dai sottomarini avrà grande fortuna tra i vincitori della guerra.

 

 

Riguardo l’effettiva realizzazione e la sperimentazione di un ordigno radiologico, si può citare un’importante testimonianza da parte dell’italiano Luigi Romersa.
Romersa – giornalista e corrispondente di guerra – venne inviato in Germania, nell’ottobre del 1944, da Benito Mussolini in persona per riceve informazioni ufficiali riguardo le armi miracolose di cui parlava spesso Hitler, armi che avrebbero capovolto l’esito della guerra.

Il giornalista incontrò personalmente il Führer e alcuni scienziati di spicco, tra cui Wernher von Braun, di cui rimase amico anche dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Roversa fu testimone di un particolare esperimento, che si svolse nell’isoletta baltica di Ruggen nel 1944.

Il corrispondente italiano ha dichiarato, senza la minima esitazione o ritrattazione postuma, di essere stato portato in un bunker di Ruggen, da dove – protetto da uno scafandro – aveva potuto osservare l’effetto distruttivo (in un raggio di oltre due chilometri) dell’ordigno sperimentato. L’ordigno avrebbe causato un forte lampo di luce, seguito da un’alta colonna di fumo che si sarebbe diradata due ore dopo.

Il giornalista spiegava inoltre che, prima che la zona venisse occupata dai russi, le esplosioni erano state due, o forse addirittura tre. I materiali, in ogni caso, furono portati in salvo, pare, in Baviera. Secondo Romersa, all’arrivo degli americani le bombe già sperimentate e in fase finale di assemblaggio erano due.

Questa testimonianza può risultare preziosa per comprendere come la presunta Uraniumbombe fosse più che un semplice progetto, pur restando fermamente convinti che non si trattasse di una vera e propria arma nucleare.

 

 

Una domanda può sorgere spontanea: perché Hitler non utilizzò una di queste bombe? La risposta più probabile è che il Führer temesse un’immediata e pesantissima ritorsione, fattore che impedì anche l’uso delle armi chimiche.

Nel dettaglio, riguardo le armi chimiche, la ricerca tedesca nel 1936 aveva scoperto una nuova sostanza letale: il tabun.

Lo scopritore si chiamava Gerhard Schrader, ricercatore della IG Farben che lavorava sui pesticidi, il quale individuò un composto in grado di attaccare il sistema nervoso dell’essere umano, causando la morte di coloro che venivano esposti a questo gas. Il tabun infatti, inibisce un neurotrasmettitore chiamato colinesterasi, che coordina il movimento dei muscoli dell’organismo.

Scharader venne arruolato in servizio a Berlino, presso il quartier generale dell’esercito, dove svolse diversi esperimenti dimostrativi su animali, che morivano dopo venti minuti dall’esposizione al tabun. Il capo della divisione armi chimiche dell’esercito tedesco, il colonnello Rudriger, incaricò Schrader di continuare il suo lavoro presso una fabbrica di Elberfled, nella Ruhr e avviò i piani di costruzione di una fabbrica di gas velenosi presso Spandau.

L’anno successivo Schrader sviluppò un altro composto venefico che si rivelò ancora più letale rispetto al tabun questo agente tossico venne chiamato sarin. La chimica stava per liberare nuovi orrori sul campo di battaglia come nella Grande Guerra?

 

Il complesso industriale della IG Farben

 

Nel settembre del 1939 la IG Farben decise di costruire un impianto per la produzione di tabun e sarin a Dyherfurth, in Slesia. I fondi provenivano direttamente dell’esercito tedesco, mentre il leader del progetto era Otto Ambros della stessa azienda.

L’insediamento produttivo di Dyherfurth si estese e divenne una vera e propria mega-fabbrica lunga 1600 metri e larga 800, con delle unità sotterranee in cui lavoravano 3000 operai in condizioni di massima sicurezza ma soprattutto segretezza.

Nel frattempo, in vari stabilimenti della Germania, venivano sviluppati altri gas velenosi simili a quelli impiegati nella prima guerra mondiale, tra cui fosgene, iprite e cloro. Le sperimentazioni sugli animali erano all’ordine del giorno, in seguito vennero usate cavie umane prelevate dai campi di concentramento.

Oltre a decine di migliaia di tonnellate di iprite, cloro e fosgene, dopo la guerra furono trovate circa 12.000 tonnellate di tabun. Gli scienziati tedeschi avevano ideato numerose soluzioni per impiegare efficacemente quelle sostanze contro il nemico: vari tipi di mine antiuomo, bombe a mano, bombolette spray e pallottole venefiche sparate dalle mitragliatrici.

 

 

Perché, quindi, il Terzo Reich non impiegò il suo arsenale di gas letali sul campo di battaglia? La decisione arrivò direttamente da Adolf Hitler che, memore degli effetti devastanti del gas subiti personalmente durante la Grande Guerra, impose di non impiegare sostanza chimiche in nessun fronte, nemmeno su quello russo.

Oltre alla motivazione squisitamente biografica, Hitler sapeva che l’uso dei gas avrebbe provocato una reazione durissima da parte degli Alleati che, a loro volta, avrebbero potuto a loro volta impiegare questo tipo di armi.

Il mondo sfuggì all’orrore dell’uso dei gas non a quello delle armi nucleari che posero tragicamente fine al secondo conflitto mondiale nell’agosto del 1945. La guerra più scientifica e distruttiva che l’uomo avesse mai visto finì per “merito” della scienza.

LE LETTURE CONSIGLIATE:

  • J.Cornwell, Gli scienziati di Hitler, Milano, Garzanti, 2003
  • U. Deichmann, B. Muller-Hull, Biological Research in Universitities and Kaiser Wilhelm Institutes in Nazi Germany, Berlino, 1998,
  • G.Brooks, Hitler’s Nuclear Weapons: The Development and Attempted Deloyment of Radiological Armaments by Nazi Germany, Londra, 1992