Lo scambio colombiano tra Americhe e Europa

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Figura 1: Colombo sbarca a Hispaniola

Francesca Lelli, L’Aquila

Introduzione

Sin dal primo viaggio di Cristoforo Colombo del 1492 tra le due coste dell’Atlantico, si è stabilito un solido e stabile ponte che ha permesso un denso scambio di uomini, idee, piante, animali, culture, manufatti artistici e artigianali nonché armi, distruzione e malattie. Un flusso continuo in due direzioni che gli studiosi denominano lo “scambio colombiano” (columbian exchange) a partire dall’omonimo libro dello storico americano Alfred Crosby.

Dal punto di vista sociale, la novità più lampante e immediata è quella costituita dalla scoperta di un intero continente abitato da popoli mai visti prima, con tradizioni e culture totalmente differenti da quelle europee. Una realtà che ha dapprima terrorizzato e poi infastidito i conquistadores sbarcati nel nuovo mondo, carichi di pregiudizi di stampo cristiano e occidentale e che alla fine li ha spinti verso un approccio violento basato su un tentativo di reductio ad unum, dove le tradizioni e le culture amerinde dovevano essere cancellate per far posto ai “giusti” valori europei.

Ma un altro aspetto denso di conseguenze e di effetti sia a lungo che a breve termine di questo scambio fu quello biologico. Gli storici si sono spesso domandati come sia stato possibile per i conquistadores ispanici riuscire a sottomettere le popolazioni amerinde in tempi molto rapidi e veloci, non solamente Crosby, anche Jared Diamond, ad esempio, si fa le stesse domande nel suo Armi, acciaio e malattie. La superiorità delle armi da fuoco e delle armature, proposta da storici come Geoffrey Parker, non è sufficiente. Ci si sarebbe potuti aspettare una resistenza più tenace, soprattutto nelle società più militarmente organizzate del Messico e delle Ande, anche visto il numero esiguo degli europei, ma così non fu. Cosa impedì ai nativi di combattere efficientemente le armate europee?

 

Un alleato inaspettato

Tra le ipotesi prese in esame ci sono state quelle psicologiche, come fa ad esempio Todorov ne La conquista dell’America. Il terrore suscitato dai cavalli e dalle armature lucenti, il fatto che profezia della mitologia amerinda dell’arrivo degli “dèi bianchi” li rese ciechi di fronte a quello che stava realmente accadendo e l’astuzia europea nel saper sfruttare questo strumento furono fattori importanti. Eppure, non seppero respingere gli invasori neanche dopo aver appiattito le differenze militari con una strategia efficiente o dopo aver reperito a loro volta armi da fuoco e cavalli, e neanche dopo aver capito che Cortez e gli altri non erano affatto incarnazioni di Quetzalcoatl.

Oltre tutti questi fattori, tecnologici, bellici, tattici, psicologici e anche politici – infatti i regni amerindi erano estremamente divisi al proprio interno – che hanno avuto il loro peso, il grande alleato che permise una conquista rapida e sanguinosa fu uno: lo scambio di malattie.

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Figura 2, Grafico sulla mortalità della popolazione in Messico, tratto da: https://en.wikipedia.org/wiki/Native_American_disease_and_epidemics

Tra tutti i gruppi umani appartenenti alla specie Homo sapiens quello degli amerindi ha avuto per secoli un “pericoloso privilegio”, come lo definisce Crosby, quello dell’isolamento completo dagli altri gruppi. Il materiale genetico degli autoctoni americani non si è temprato con le lunghe e frequenti epidemie dell’età medievale, che hanno garantito agli europei una resistenza maggiore alle malattie e un sistema immunitario più solido. E quindi gli amerindi furono falcidiati da malattie che ormai per la maggior parte degli abitanti del vecchio mondo erano poco più che un raffreddore.

Un altro grande vantaggio: le epidemie viaggiano più rapidamente degli eserciti, penetrano più facilmente le difese delle città, indeboliscono i guerrieri e minano le strutture dei governi eliminandone le figure chiave e facilitando le crisi. Senza calcolare l’impatto psicologico che suscita assistere per la prima volta al diffondersi di malattie, come il vaiolo o il morbillo, che oltre ad avere un’alta contagiosità presentano sintomi sfregianti e deturpanti, che non sembrava avere effetti sugli europei. Questo avvalorò la convinzione degli amerindi di avere perso la stima e l’aiuto dei loro dèi, facendo il gioco degli europei.

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Figura 3, disegno del sedicesimo secolo di una vittima azteca di vaiolo.

Pizarro riuscì a sfruttare a suo vantaggio la crisi dinastica e la guerra civile dopo la morte di Huayna Capac e del suo erede causata proprio dal vaiolo. Cortez riuscì a prendere Tenochtitlan (dopo il fallimento de la noche triste) proprio perché gli Aztechi erano funestati da un’altra epidemia.

 

All’origine del Morbus Gallicus

Ma i ponti funzionano sempre in due direzioni: ci sono malattie che sono entrate nel Nuovo Mondo grazie alle navi europee, ma ci sono anche malattie che sono entrate nel Vecchio utilizzando sempre lo stesso vettore. E tra le malattie importate dalla vecchia Europa, quella che ebbe conseguenze più nefaste e a lungo termine fu sicuramente la sifilide.

La sifilide comparve nelle cronache negli ultimi anni del XV secolo e a differenza di molti altri morbi improvvisi divenne ben presto endemica e non episodica. Storicamente parlando, è da considerare la più “databile” di tutte le malattie umane e sicuramente quella di cui possiamo ricostruire con attenzione lo sviluppo e la circolazione.

L’origine della sifilide è in realtà una questione controversa e tutt’altro che risolta tra gli storici. La teoria dell’origine americana della sifilide è stata spesso messa in discussione. Eppure, la prima comparsa nella storia si ebbe proprio nel XV secolo, descritta per la prima volta a seguito della Battaglia di Fornovo del 6 luglio del 1495, quando le truppe di re Carlo VIII si scontrarono con quelle italiane e spagnole. Da qui in poi la sifilide si diffuse in modo estremamente rapido in Europa utilizzando come vettore mercenari e soldati francesi, spagnoli, svizzeri e tedeschi.

A sostegno dell’ipotesi della provenienza del Nuovo Mondo abbiamo innanzitutto prove di tipo antropologico e scientifico, infatti sugli scheletri rinvenuti nel Vecchio Mondo in età precolombiana non abbiamo segni evidenti e incontrastabili di lesioni sifilitiche, mentre si riscontrano negli scheletri degli amerindi prima dell’arrivo degli europei nel 1492. A questi dati scientifici si sommano le testimonianze dei medici di tutta Europa del XVI secolo, concordi nel definire la sifilide una malattia nuova, e l’assenza di riferimenti nelle opere di stampo medico precedente.

Un altro dato che convalida l’ipotesi della comparsa dopo il 1492 è la virulenza negli anni immediatamente successivi al suo sbarco in Europa, che è il classico andamento di una malattia nuova: rapida diffusione accompagnata da un’estrema infettività.

Inoltre, nelle testimonianze coeve sulle antichità amerinde, come quella del religioso Fray Ramon che partecipò alle spedizioni colombiane, si riporta un mito di un loro eroe popolare che contiene una descrizione di quella che potrebbe essere sifilide; ed è improbabile che i popoli cambino la loro mitologia. Bartolomé de Las Casas, inoltre, riporta che gli indigeni definivano la sifilide un flagello presente nel loro mondo sin dalla notte dei tempi. Per di più, sempre lo stesso autore, sostiene che ai tempi fosse meno pericolosa per gli Amerindi che per gli Spagnoli. Proprio in modo speculare rispetto alle epidemie portate dagli europei.

Lo scambio di malattie è uno degli aspetti più negativi dello “scambio colombiano” che ha portato morte e distruzione sia ne Vecchio Mondo sia nel Nuovo. Ma fortunatamente a compensarlo c’è quello di altre forme di vita quali animali e piante, che ebbe esiti più fortunati e meno catastrofici. Basti pensare, ad esempio, alle numerose colture americane introdotte in Europa, che hanno permesso di variare l’alimentazione e aumentare la produzione agricola – come patate, pomodori, cacao, mais… – oppure l’introduzione nel continente americano della fauna europea e soprattutto del cavallo, dei bovini e dei suini, che sono diventati di un’importanza incalcolabile nelle economie e nelle società amerinde.

 

Letture consigliate:

A. W. Crosby, Lo scambio colombiano. Conseguenze biologiche e culturali del 1492, Einaudi, Torino, 1992.

T. Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’altro, Einaudi, Torino, 1984 (I ed. 1982).

C. Parker, La rivoluzione militare. Le innovazioni militari e il sorgere dell’Occidente, Il Mulino, Bologna, 2014.

J. Diamond, Armi, acciaio e malattie, Einaudi, Torino, 2005.