Il riscatto di Otranto: la cacciata dei Turchi e il ritorno degli aragonesi

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Pierluigi Papa, Bari –

Dopo la conquista di Otranto, i Turchi, in attesa della controffensiva aragonese, procedettero all’edificazione del nuovo sistema difensivo. Ristrutturano le mura cittadine, disboscarono e spianarono una fascia sub circolare di circa due chilometri per costruire uno steccato col rinforzo di tronchi e di terra, circondato da un profondo fossato e rinserrato con spingarde e armi da fuoco. Eressero anche una seconda e interna barriera, costituita da grossi pali appuntiti, bloccati da catene di ferro per contrastare la cavalleria leggera aragonese. Infine, affondarono alcuni vascelli, nei punti strategici del bacino portuale idruntino per ostruire l’eventuale arrivo della flotta nemica. Come presidio furono messi quattromila uomini, aggiungendo quattro grosse bombarde e cannoni più piccoli, indirizzati verso la rada. I preparativi si conclusero con l’avvelenamento dei pozzi e delle fonti d’acqua. Prima di continuare con questo discorso, risulta doveroso descrivere gli antefatti della conquista turca dell’attuale città pugliese.

 

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Antefatti

Il 26 aprile 1478, nella chiesa di Santa Maria del Fiore a Firenze, avvenne la celebre Congiura dei Pazzi, ordita da Francesco Pazzi con l’intento di assassinare i fratelli Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico e Giuliano de’ Medici. La congiura non ebbe esito positivo, in quanto morì Giuliano mentre Lorenzo sopravvisse. Dietro a questa congiura, oltre alla famiglia dei Pazzi vi era un intrigo “inter statale”, costituita dal Papato, dalla Repubblica di Siena e dal Regno di Napoli.

A causa del rifiuto del Magnifico alla proposta di Sisto IV di rilasciare alcuni prigionieri e d’inviare a Roma i responsabili dei linciaggi, presso la Curia pontificia si scatenò il gioco delle alleanze papali che comportò l’occupazione aragonese di alcuni territori toscani nell’estate del 1478.

Nel frattempo, Venezia aveva appena concluso una guerra, iniziata nel 1463, con l’Impero Ottomano, siglando il trattato di pace il 25 gennaio 1479 nella capitale turca. Dopo qualche mese dalla sua firma, nella città lagunare si presentò l’ambasciatore di Ahmed Pascià, inviato per fare una proposta al doge Giovanni Mocenigo: l’idea di un’alleanza, il cui intento era di attaccare il regno di Napoli e il Papato. Alleanza che venne prontamente respinta.

Maometto II non demorse e ribadì la proposta, tramite lettera giunta nella primavera del 1480, accennando alla preparazione dell’invasione, progettata dallo Sdentato. Venezia rispose che non aveva nemici in Italia, dichiarandosi neutrale.

Anche Lorenzo il Magnifico stava trattando, personalmente, una tregua con Ferrante d’Aragona a Napoli. Alla fine di febbraio 1480 siglarono un accordo con la condizione che le truppe aragonesi dovevano abbandonare la Toscana – che, nonostante i propositi, vi stazionarono ancora per diversi mesi sotto la guida dell’erede al trono Alfonso d’Aragona.

Le voci di una probabile invasione turca circolavano già da tempo presso le principali corti della Penisola. Voci cui, tuttavia, il sovrano aragonese diede poco credito perché riteneva che fossero escogitate per distrarlo dalle vicende italiane: come dimostrato dalla conquista di Otranto, si stava sbagliando.

 

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Ferdinando I d’Aragona, detto Ferrante

Riconquista di Otranto

Mentre organizzavano la difesa, le forze ottomane saccheggiarono i villaggi circostanti. Oltre Otranto, anche la Capitanata, giustizierato comprendente l’attuale provincia di Foggia, e la Terra di Bari, comprendente le attuali provincie di Bari e Barletta-Andria-Trani, vennero messe a ferro e fuoco. Nel tentativo di saccheggiare un villaggio nella Terra di Bari, alcuni turchi furono intercettati da un contingente aragonese, comandati dal conte di Conversano, Giulio Antonio Acquaviva, conoscitore delle arti belliche.

Solo allora iniziarono a giungere i primi rinforzi aragonesi. Questi, il 9 settembre 1480 intercettarono un gruppo di turchi, intenti a saccheggiare un villaggio nei pressi di Campi Salentina, ottenendo una vittoria e si diressero all’accampamento di Roca. Qualche giorno dopo arrivarono le truppe di Alfonso d’Aragona.

Nel frattempo, Ferrante d’Aragona organizzò una flotta, costituita da ventisette galee, quattro fuste e una trentina di battelli di gabbia, guidate dagli ammiragli Antonello Sanseverino, Galeazzo Caracciolo e Galzerano de Requesens, assistiti da Federico d’Aragona, terzogenito del re aragonese e Bernardo Villamarina. La flotta si stanzierà nel porto di Brindisi, attrezzato per contenere un numero così ingente d’imbarcazioni.

Nonostante questi numeri, nella notte fra il 25 e il 26 ottobre 1480, un paio di convogli turchi riuscirono ad evitare la flotta aragonese, attraverso il Canale d’Otranto, portandosi guerrieri, cavalli, vettovaglie e munizioni per continuare la spedizione italiana. Tale pericolo venne percepito da Papa Sisto IV, il quale decise di inviare tremila uomini e trenta galee, provenienti dai cantieri navali di Ancona e Genova.

Gli aragonesi dovettero affrontare due problemi: l’epidemia di peste scoppiata nell’accampamento e la crisi economica del regno, tant’è che il sovrano dovette fare dei prestiti e saccheggiare luoghi di culto.

Il 7 febbraio 1481, Giulio Antonio Acquaviva decise di fronteggiare i turchi, con il sostegno di Giovanni da Cremona, Francesco Monti, Giovanni Piccinino da Prato e Alvise Gentile. La loro strategia non prevedeva un attacco in campo aperto ma tramite agguati. Presero d’assalto una guarnigione turca, mettendola in fuga ma commisero l’errore di inseguire i fuggiaschi fino alle prossimità di Otranto. Ahmed Pascià progettò dunque una trappola che avrebbe respinto l’esercito aragonese, annientandolo quasi del tutto: alle perdite s’aggiunge anche quella del conte di Conversano, che morì in duello. La sua testa mozzata fu esposta come trofeo.

Gli aragonesi decisero di giocare una carta: la flotta stanziata nel porto di Brindisi. Essa salpò nella prima mattinata del 25 febbraio 1481 in direzione di Valona, nell’attuale Albania e luogo di residenza di Ahmed Pascià. L’attraversata venne però condizionata da un vento di tramontana così forte da costringerla a procedere a remo fino all’isola di Saseno, di fronte alla baia di Valona. Gli aragonesi, sfruttando la superiorità numerica, ottennero una vittoria schiacciante, riuscendo a liberare molti prigionieri. L’obiettivo principale della spedizione era, tuttavia, la cattura di Ahmed Pascià che, trovandosi a Valona per un periodo di pausa dalle vicende salentine, riuscì tuttavia a sfuggire grazie anche alla maggiore famigliarità con la conformazione del luogo.

 

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Maometto II ritratto da Gentile Bellini

 

Nei primi di aprile 1481, Alfonso d’Aragona convocò un’assemblea di guerra a Lecce dove parteciparono i principali notabili del regno. L’intento era di lanciare una nuova offensiva contro i turchi, guidati da Khair ad-Din Mustafà Beg, un ufficiale esperto noto come Damaschino. Vennero anche chiamati esperti di tattiche ossidionali provenienti da alcune zone italiane: l’assedio doveva venir pianificato nei minimi dettagli, sfruttando anche la pestilenza che, proprio allora, si stava diffondendo tra le forze ottomane.

Il 3 maggio 1481, nei pressi di Gebze, situata a nord-ovest dell’attuale Turchia, Maometto II morì e il trono occupato dal figlio Bayezid II, il quale non nutriva interesse nella campagna militare italiana. Gli effetti della morte di Maometto non si fecero tardare: Mattia Corvino, genero del sovrano napoletano in quanto consorte della figlia Beatrice, decise di infrangere una tregua inviando a Otranto rinforzi pari a trecento cavalieri, quattrocento fanti, cinque capitani e una robusta artiglieria.

Nonostante le difficoltà, i turchi non avevano alcuna intenzione ad arrendersi. Anzi, fiaccati nel morale e minori in numero, continuarono ad adoperare le loro artiglierie contro gli Aragonesi. L’assedio si mutò, ben presto, in una lunga guerra di logoramento. Nel giugno 1481, gli Aragonesi, che non riuscivano a fiaccare il morale dei nemici, ricorsero al seguente stratagemma: inviarono ad Otranto delle prostitute con dei bei vestiti infetti da peste, così da infliggere ulteriori perdite ai Turchi – che, d’altro canto, potevano disporre di viveri per circa un anno.

Il 23 luglio 1481 giunsero gli attesi rinforzi papali e dopo un mese, gli aragonesi si sentivo pronti per un nuovo assalto, speranzosi di riconquistare la città. Gli Ottomani riuscirono a difendersi, infliggendo danni, non solo a livello numerico ma anche a livello morale alle forze congiunte. In seguito, vista la situazione d’impasse, entrambi gli schieramenti trattarono una resa. I termini furono molto miti per gli assediati: dietro la riconsegna di Otranto ad Alfonso d’Aragona, all’esercito ottomano venne concesso di ritirarsi in tranquillità.

Il 10 settembre 1481 è il giorno che sancisce la liberazione di Otranto dopo un anno d’occupazione. Molti soldati della Sublime Porta tornarono in patria. Altri, invece, rimasero in Italia, per timore di una punizione per la resa accettata, tra cui il Damaschino.

Questo evento non sarà ricordato ai posteri solo attraverso la pubblicazione di saggi, la dedica ai protagonisti di diverse vie della città o monumenti ma anche grazie a diversi sceneggiati come “Otranto 1480”, girato dal regista salentino Adriano Barbano nel 1980, recentemente restaurato e digitalizzato dalla fondazione Apulia Film Commission.

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