Trasformazioni urbane e potere cittadino tra Otto e Novecento: Roma e il caso di Palazzo Piombino

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Caterina Mongardini, Venezia –

 

20 settembre 1870: Presa di Porta Pia da parte del Regno d’Italia.
23 settembre 1870: insediamento della Giunta Municipale da parte del Generale Cadorna.
30 settembre 1870: costituzione, da parte della Giunta, di una Commissione di undici esperti (tra ingegneri e architetti) “la quale si occupi di progetti di ampliamenti ed abbellimenti della città per poi sottoporli all’approvazione della Giunta Municipale”.

 

Per analizzare le trasformazioni urbanistiche che hanno interessato il Centro della città di Roma tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo e come queste siano state al centro di rapporti di potere locali e nazionali si è scelto di partire dalla data fondamentale del 30 settembre 1870; essendo, però, l’argomento molto vasto e complesso si è scelto di proporre l’esempio di Palazzo Piombino ripercorrendone la storia. Questo palazzo l’avremmo trovato a Piazza Colonna, nel Rione Colonna, che deve il suo nome alla Colonna Antonina, che Papa Sisto V fece installare verso la fine del ‘500; essa è costeggiata da Via del Corso e su di essa si affacciano Palazzo Chigi, oggi sede del Consiglio dei Ministri, Palazzo Wedekind, sede storica del giornale “Il Tempo”, la chiesa dei Santi Bartolomeo e Alessandro dei Bergamaschi e, vicino ad essa, Palazzo Ferraioli. Dall’altra parte rispetto a Via del Corso c’era un altro palazzo che si affacciava sulla Piazza, ed era Palazzo Piombino; oggi al suo posto c’è la Galleria Alberto Sordi.

 

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Piazza Colonna, immagine da satellite

 

Palazzo Piombino fu costruito per volontà di Cosimo Giustini nel 1594, secondo il progetto dell’architetto Giacomo della Porta – lo stesso che aveva disegnato la fontana al centro della Piazza – ma assumerà questo nome solo dal 1819; fino a quel momento sarà chiamato con il nome delle famiglie residenti. Altri artisti e professionisti presero parte alla realizzazione della struttura, come gli architetti Matteo Bartolini da Castello – che aveva già progettato l’unione di diverse proprietà in un’unica unità immobiliare per la costruzione di Palazzo Chigi – Annibale Lippi e Carlo Lambardi e il pittore Pomarancio che dipinse la galleria privata di Cosimo Giustini.

Dal 1594 il Palazzo fu la dimora di alcune delle più importanti famiglie romane (tra le quali la famiglia Spada) fino al 1819, anno in cui fu acquistato da Luigi Boncompagni-Ludovisi Principe di Piombino; il Palazzo, che da questa data si chiamerà “Piombino”, rimarrà di proprietà della famiglia sino al 1889, anno della sua espropriazione da parte del Comune di Roma e della sua demolizione.

 

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Piazza Colonna su la Via del Corso spianata et ampliata da N. Sig. Papa Alesandro VII (1655 ca.)

 

Perché fu demolito?

La demolizione di Palazzo Piombino, nel 1889, faceva parte di un complesso progetto di ampli-amenti e abbellimenti della città che, come abbiamo visto, cominciò ad essere pianificato subito dopo la Presa di Roma (1870), fu portato a compimento nel 1873 e fu immediatamente attuato, grazie soprattutto alle sollecitazioni provenienti direttamente dai vertici dell’amministrazione Comunale: “[. . .] in uno spazio di quindici anni siccome io vorrei, giacché affrettandosi l’esecuzione di quei lavori si affretterebbero secondo me i vantaggi che la Città nostra ha il diritto di aspettare”. Così si esprime il Sindaco Pianciani, preoccupato dall’arretratezza che affliggeva la Città Eterna.

Il 20 ottobre 1873 fu approvato – sebbene non convertito formalmente in legge – in Consiglio Comunale il Piano Regolatore elaborato dall’Ufficio d’Arte Comunale diretto dall’ing. Alessandro Viviani. Il Piano Regolatore, dopo un acceso dibattito incentrato su quale direzione dovesse prendere l’espansione della città, stabilì che l’evoluzione urbanistica avrebbe dovuto interessare due aree principali all’interno delle vecchie mura: una a Sud-Est (Colli Oppio, Celio ed Esquilino) ed una a Sud-Ovest in riva al Tevere (Testaccio). Ulteriori interventi furono approvati a Nord e a Nord-Ovest (Gianicolo, Prati di Castello, l’Oca, Ludovisi, Castro Pretorio e Via Nazionale) come progetti esterni al piano  e inseriti ufficialmente nel Piano Regolatore del 1883.

Quattro furono le principali motivazioni per le quali fu promosso il rinnovamento della Città: 1) modernizzazione della Città, 2) ampliamento e miglioramento della rete viaria, 3) nazionalizzazione delle masse e 4) speculazioni edilizie, soprattutto nei territori a Nord e Nord-Ovest della Città.

 

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Piano regolatore del 1873. Rappresentazione su scala 1:20.000. In rosso gli edifici in progetto, in nero quelli da demolire

 

Il Palazzo si scontracon la Modernizzazione della Città

Dalla fine del II d.C., quando l’Imperatore Aureliano cinse la città con le sue mura, alla fine del XIX, l’estensione della città rimase pressoché la stessa: il nucleo medievale originario, sorto in-torno ai ruderi romani, conservò la sua fisionomia nonostante i significativi apporti architettonici lasciati dal Rinascimento e poi dal Barocco.

 

Roma nel 1870: la capitale pontificia contava circa 200.00 abitanti e occupava principalmente l’ansa del Tevere; al di là del fiume due antiche e popolari propaggini erano Borgo e Trastevere. L’ampliamento della città nel Settecento andò verso Piazza del Popolo, mentre nella seconda metà dell’Ottocento le iniziative edilizie tendevano soprattutto a interessare i Colli a est della città, verso la stazone ferroviaria di Termini (da I. Insolera, Roma moderna, 1962)

 

La Roma dei Papi, principalmente racchiusa in quei diciotto chilometri di mura, venne completamente stravolta dall’arrivo dell’amministrazione sabauda che, per celebrare la nuova Capitale quale centro del Regno e simbolo unitario della Nazione, decise di “restaurarne” l’estetica proponendo la costruzione di altri quartieri (anche esterni alle mura) e la conversione o la ricostruzione di palazzi interni al Centro Storico. Nel Piano del 1873, che ancora non aveva preso completamente in considerazione il problema della rete viaria della Città, la demolizione di palazzi e di caseggiati di origine medievale rientrava in quest’ottica di rinnovamento; nella carta del Piano Regolatore del 1873 possiamo vedere che la demolizione di Palazzo Piombino era già stata pianificata.

 

 

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Particolare del Piano regolatore del 1873.

 

Ampliamento e Miglioramento della Rete Viaria

Dopo la ristrutturazione estetica dei primi anni l’amministrazione, nell’approvare il “nuovo” Piano Regolatore del 1883 – sostanzialmente lo stesso del 1873 ma formalmente convertito in legge – prese in considerazione la sistemazione della rete viaria delle Città. A tal proposito furono programmate ulteriori demolizioni affinché si potessero aprire sia nuovi varchi utili al transito, sia nuovi spazi atti all’ampliamento delle vie preesistenti. Nel 1883 Palazzo Piombino era ancora in piedi grazie alle strenue resistenze della famiglia Boncompagni-Ludovisi che si era opposta duramente all’esproprio decretato dal Comune.

 

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Piazza Colonna poco prima della distruzione di Palazzo Piombino

 

L’intera area, però, nello stesso periodo subì significative trasformazioni quali l’apertura di Via Tomacelli (che collega Via del Corso al futuro Ponte Cavour, dal quale si accede al nuovo quartiere Prati), di Via Arenula (via di collegamento tra Corso Vittorio Emanuele e il Lungotevere De’ Cenci), di Via Nazionale (arteria di collega-mento fra Piazza Esedra e Piazza Venezia), Via Cavour (realizzata per collegare la Stazione con l’area del Colosseo) e Via del Tritone (che collega Piazza Barberini a Via del Corso). Innumerevoli furono gli interventi nei vecchi Rioni e rivoluzionaria la costruzione degli argini lungo il Tevere.

 

Nazionalizzazione delle Masse ed il Cinquantenario dellUnità dItalia a Roma

Le operazioni urbanistiche, realizzate per far fronte agli specifici problemi della Città (ordine, traffico e modernità), furono altresì funzionali alla politica di “nazionalizzazione delle masse” promossa in tutta Italia dai Savoia. Nelle nuove reti viarie, ampliate e rimodernate, cominciarono a circolare i moderni tram; la toponomastica della città assunse caratteri celebrativi del Risorgimento Italiano (ponti, strade e piazze furono dedicati ai grandi eroi e statisti del Risorgimento e alle personalità della casa reale); lo smantellamento dei caseggiati in riva al Tevere e la costruzione al posto di essi di una lunga passeggiata sul modello dei boulevards francesi, unì la necessità, da una parte, di evacuare le masse più povere verso i nuovi sobborghi e dall’altra, di costruire un piacevole luogo di svago per la popolazione borghese.

Dopo la crisi edilizia e lo scandalo della Banca Romana nel 1887, i lavori iniziati nel 1883 proseguirono fino al 1908, anno della scadenza del Piano Regolatore del 1883; nel 1889 Palazzo Piombino fu demolito. Il grande spazio ricavato dalla demolizione non fu subito utilizzato per scopi edili: nel 1891 vi si festeggiò il Carnevale romano con l’istallazione di un “Padiglione della Felicità”; nel 1904, invece, fu adibito ad area verde per la visita del Presidente Francese Loubet; nel 1911, infine, vi fu innalzato un Padiglione provvisorio per celebrare il Cinquantenario dell’Unità d’Italia nell’Esposizione Universale. Parallelamente all’organizzazione ed all’allestimento della grande esposizione celebrativa, ripresero vigore gli interventi urbanistici approvati nel nuovo Piano regolatore del 1909. In questo periodo nacquero nuovi quartieri a Nord e a Sud della Città (Quartiere Flaminio, il Salario, il Nomentano e l’Appio-Tuscolano) e nuove concessioni ampliarono ulteriormente le dimensioni della Città.

 

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Il padiglione di Piazza Colonna all’Esposizione di Roma del 1911 (al posto dello sterrato lasciato dalla demolizione di Palazzo Piombino) – Cartolina

 

Speculazione Edilizia

L’esigenza di rinnovamento e ampliamento di Roma si scontrò, sin dai primi anni, con gli interessi delle famiglie nobiliari, dei proprietari terrieri e delle banche private ed ecclesiastiche; la maggior parte dei terreni intorno alla Città e al suo interno appartenevano a pochi soggetti – soprattutto religiosi – che videro schizzare alle stelle il valore dei terreni diventati improvvisamente una fonte enorme di guadagno, sia per la loro posizione strategica nel tessuto urbano, sia perché terreni edificabili a tutti gli effetti.

L’influenza politica ed economica delle grandi famiglie nobiliari prese subito il sopravvento nell’amministrazione comunale: pressioni furono esercitate soprattutto sulla Giunta incaricata di legiferare sul Piano Regolatore del 1873, la quale le accolse con solerzia includendo – come abbiamo visto – progetti esterni per la costruzione dei quartieri a Nord di Roma (Prati, d’Oca, ecc…). La speculazione edilizia trovò un freno tra il 1873 e il 1874 e tra il 1881 e il 1882 sotto l’amministrazione Pianciani e, successivamente, sotto l’amministrazione del Sindaco Nathan (dal 1907 al 1913); il notevole incremento del prezzo dei terreni edificabili, la velocità con cui i proprietari vendevano i terreni stessi, il pericolo che le antiche Ville romane fossero smantellate – come era successo alla meravigliosa Villa Ludovisi-Boncompagni – e la sregolatezza dei metodi di costruzione adoperati, convinsero i due Sindaci che si dovessero rivedere i Piani Regolatori (rispettivamente del 1873 e del 1909). Ciò non fu però possibile perché, alla fine del loro mandato, le famiglie della nobiltà romana si adoperarono affinché la carica di Sindaco fosse assunta da un esponente del loro partito.

Dopo aver illustrato come la città di Roma si è evoluta, ampliata e modernizzata attraverso opere di riconversione, ristrutturazione e demolizione, possiamo facilmente capire come l’amministrazione comunale si scontrasse duramente con i poteri locali (quali la Chiesa, le Banche e le famiglie nobiliari). Nei riguardi della Chiesa la nuova amministrazione compì espropri ai danni di enti religiosi (quali confraternite e ordini monastici), sia per evitare che gli stessi enti approfittassero della speculazione edilizia, sia per riaffermare il nuovo potere reale nella città; nei confronti delle Banche lo Stato non ebbe molte armi a disposizione per limitarne le speculazioni, essendo esse banche private; le famiglie nobiliari furono quelle che più subirono l’ingerenza della nuova amministrazione, anche se cercarono ripetutamente di contrastarla candidando al Campidoglio fedeli rappresentati dei propri interessi.

L’amministrazione sabauda inoltre affermò prepotentemente la sua presenza, da una parte, relegando il Papa all’interno delle Mura Leonine, dall’altra rivoluzionando la toponomastica della Città e includendo Roma nell’opera di modernizzazione frenetica intrapresa già nelle Città del Nord (Torino e Milano). In questo caso possiamo vedere come il potere fu davvero veicolato attraverso lo spazio tramite il cambiamento fisico di una Città e dei suoi dintorni.

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