Rifugiati. I moriscos in Italia: storia di un fenomeno migratorio nell’età moderna

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Gabriel Puig Roda, L’expulsió dels moriscos (1894)

Paolo Perantoni, Verona –

Migrazioni, respingimenti, accoglienza e integrazione sono temi di strettissima attualità in questi ultimi anni e ai primi punti delle varie agende di governo d’Europa.

Quando si parla di migrazioni, spesso la stampa nazionale ricorre agli esempi storici, ed in particolare a “quando i migranti eravamo noi”, come se ci si dovesse porre solo in modo passivo e non pure proattivo nei confronti sia del tema attuale che della narrazione storica.

In realtà gioverebbe meglio ricordare che la Penisola italiana – quando non ancora stato italiano – si è sempre posta come terra di accoglienza per le popolazioni migranti, in particolare per quanti costretti forzatamente all’emigrazione.

Un chiaro e poco studiato esempio fino ad oggi ci viene dalla storia moderna, ne parla una recente pubblicazione del giovane storico Bruno Pomara Saverino dall’evocativo titolo di Rifugiati. I moriscos e l’Italia edito per Firenze University Press.

 

 

Sì perché la storia dei moriscos, per chi se la ricorda dai libri di scuola, toccò anche il Bel Paese, o meglio gli antichi stati italiani, con episodi sia positivi che negativi, ma che comunque ci restituiscono anche un’interessante via italiana all’inclusione.

Ma prima di arrivare al rapporto tra Italia e moriscos, occorre ripercorrerne la storia per sommi capi come pure fa il saggio in esame. I moriscos erano i discendenti della popolazione araba migrata nella penisola iberica a seguito della conquista musulmana già a partire dal VIII secolo.

Quando i regni cristiano-cattolici dell’Aragona e della Castiglia si unirono – anche attraverso il matrimonio di Ferdinando e di Isabella (1474) – questi ebbero abbastanza forza per completare la reconquista, arrivando a occupare militarmente il regno di Granada e cacciare l’ultimo sovrano nasride, Boabdil (1492). I giorni del sultanato si concludevano, ma la sorte dei suoi sudditi (i moriscos appunto) rimaneva incerta; essi ben presto diventarono un problema da gestire per i sovrani spagnoli.

Sebbene negli accordi di pace fosse stata garantita loro piena libertà di culto, nel corso del Cinquecento, in pieno clima di controriforma, i moriscos furono oggetto di un feroce accanimento da parte delle autorità pubbliche e religiose spagnole, tanto che la maggior parte di loro fu costretta a convertirsi con la forza al cristianesimo.

Per molti fu una conversione di facciata, continuavano infatti a professare il loro culto, ma dovevano farlo in segreto con il rischio di essere denunciati e scovati dall’Inquisizione. Similmente l’uso dell’arabo andò a perdersi a favore delle lingue romanze, veniva parlato e poco solo in casa mentre resisteva solamente l’isola linguistica valenciana.

 

 

La comunità moresca, pur con alcune differenze, si percepiva – ed era percepita – come una comunità a parte, mai pienamente integrata nel tessuto sociale spagnolo, nonostante la conversione.

Gli storici che hanno studiato l’argomento ancora oggi trovano difficoltà a spiegare i motivi di un provvedimento così radicale e tragico per la popolazione come la cacciata di un intero gruppo etnico, pari tra le 300.000 e le 350.000 unità. Sicuramente concorsero più fattori quali la recessione economica frutto dell’importazione di troppo oro dalle Americhe; il clima di “caccia alle streghe” e in generale all’eterodosso, dovuto sia alla stretta dogmatica della controriforma sia alla guerra di religione nelle Fiandre; il mancato prestigio internazionale di una nazione non completamente cattolica; e non da ultimo la paura che l’impero ottomano potesse tentare un’invasione delle coste iberiche con l’aiuto dei “fratelli musulmani” spagnoli.

 

 

Come si è detto, il fatto che in generale la comunità moresca non fosse integrata nel tessuto sociale spagnolo, non aiutava la distensione. Le tensioni sfociarono in una grande rivolta da parte dei moriscos granadini nella zona montuosa delle Las Alpujarras (1568-1571), una ribellione che ebbe l’esito di estremizzare ancora di più le posizioni.

Se con il regno di Filippo II la situazione rimase in equilibrio, per quanto precario, con il suo successore Filippo III essa esplose in poco tempo, e si arrivò all’estrema decisione di cacciare tutti i moriscos dal regno.

Iniziò quindi un enorme esodo per la popolazione moresca, le cui direttrici sono molteplici; la stragrande maggioranza di loro venne deportata in Nordafrica, nella Barberia, ma persino con i propri confratelli il processo di re-integrazione fu difficile.

La società berbera è violenta nei loro confronti anche perché mal sopporta l’arrivo di un numero così massiccio di persone che mette forzatamente in crisi il welfare state islamico-berbero. I moriscos quindi si disperderanno per il Marocco, l’Algeria e la Tunisia, alcuni di loro s’imbarcheranno nuovamente a Rabat con l’intento di intraprendere la guerra di corsa contro la Spagna.

 

 

Vicente Carducho, Expulsion de los moriscos (1627)

 

Tra le destinazioni cattoliche, due furono le direttrici: la Francia e il centro-nord d’Italia, eccezion fatta per Milano. Sono gli stessi moriscos che preferiscono pagare gli armatori affinché attracchino in un porto sicuro in Francia o in Italia, ma le reazioni non furono sempre benevole, anzi, a Civitavecchia ad esempio le navi che trasportavano i moriscos furono respinte a cannonate; la repubblica di Genova fu sempre intransigente nei loro confronti, persino Livorno e Venezia, così multiculturali e benevole con le minoranze chiusero i loro porti ai moriscos nel 1611.

Ma eccettuato questo anno horribilis, in Italia il fenomeno migratorio non destò mai un allarme sociale da parte delle autorità temporali, fu solo la Chiesa a preoccuparsi dell’inserimento nella società cattolica di questi convertiti sospettati di cripto-islamismo e per questo mise in moto gli inquisitori locali per avere informazioni.

Secondo Pomara Saverino i profughi moriscos che tra il 1610 e il 1614 giunsero in Italia furono almeno 6.000, un numero da cui sfuggono i clandestini. Tra questi sei mila, alcuni erano “sbarchi programmati” da alcuni principi italiani che intendevano ripopolare i loro regni (Mantova in primis, ma pure la Toscana, la Savoia o Parma), altri erano invece gli schiavi e i prigionieri che finirono ad alimentare la tratta italiana di esseri umani.

Nel 1619 il flusso non si era ancora fermato stando alle fonti del Sant’Uffizio romano, dove si legge che si sospetta lo zampino del re di Francia negli sbarchi sul suolo italiano per destabilizzare Roma.

 

 

Sono proprio questo tipo di fonti inquisitorie quelle predilette dal giovane storico siciliano per seguire le tracce dei moriscos italiani e non potrebbe essere altrimenti, visto l’interesse della Santa Sede per la loro sorte che si lega inevitabilmente alla politica interna ed estera dello stato pontificio. Ecco allora come il tentativo di Vincenzo I di Mantova di inserire un folto numero di moriscos è allo stesso tempo malvisto dal Sant’Uffizio e osteggiato da Milano, legata a doppio filo alla Spagna.

Nonostante i timori inquisitoriali, però, l’integrazione moresca avviene compiutamente e senza clamore in appena una generazione: i moriscos non creano problemi alle autorità pubbliche, lavorano e non delinquono. La loro appartenenza moresca emerge solo se messi alle strette, in tutti gli altri casi si definiscono al massimo di origine spagnola, non desiderano quindi “fare comunità”, perché – ci ricorda Pomara Saverino – “non vogliono essere stigmatizzati ancora con l’etichetta etnico-religiosa che li ha condannati alla discriminazione e all’esilio dalla madrepatria”.

Questa straordinaria via italiana all’inclusione, o per meglio dire all’assimilazione, fu possibile perché, sebbene i moriscos fossero arabi-musulmani di etnia, religione e cultura, erano prima di tutto persone umili, dedite al lavoro e aperte a quello che oggi chiameremmo dialogo inclusivo con il vicino di casa, come ci ricordano le fonti d’archivio così ben studiate e messe a disposizione da Pomara Saverino nel suo Rifugiati.

Bruno Pomara Saverino
Rifugiati. I moriscos e l’Italia,
Firenze University Press,
Firenze, 2017.
17 €