Medioevo Mediterraneo: reti commerciali e divisioni politiche nel Trecento attorno al ‘Mare nostrum’

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Nicola Carotenuto, Pisa –

Nel 1870 venne ritrovata, in un sottoscala di un palazzo di Prato, una documentazione che, per dimensioni e valore, si può considerare quasi una Pompei documentaria del Trecento : gli scartafacci abbandonati in quella stanza erano, infatti, quasi l’intera documentazione delle attività di un grandissimo mercante, Francesco di Marco Datini), che annoverò tra i propri ospiti persino il re Luigi II d’Angiò.

Chiunque si sia mai recato presso l’archivio Datini noterà quanto il Mediterraneo fosse interconnesso nel suo carteggio: il mercante si informa sulla possibilità di commercio a Lisbona, ha fondaci, ovvero filiali, ad Avignone, Prato, Pisa, Firenze, Genova, Barcellona, Valenza e Maiorca, riceve lettere inviate da 267 località differenti.

Prato costituiva il punto dove si poggiava la punta del compasso della rete commerciale del mercante. Grazie alle sue lettere possiamo seguire, ad esempio, l’avanzata di Tamerlano nel 1401 verso Damasco e conoscere le distruzioni causate da questi in Siria. Un corrispondente infatti scrive

 

“del tutto Domasco è spianato e ‘l chastello dirochato e lla sinagogha de’ giudei fatta rovinare con tutti giudei grandi, picholi, maschi e ffemine dentrovi e ttuti mortivi”.

 

Il percorso di questa lettera è altrettanto significativo: Gherardo di Doni è stato a Beirut (allora il porto di Damasco) tre giorni ed ha visto la distruzione della città, ne ha riferito a dei mercanti a Rodi, da cui apprende la notizia Filippo Arrighi, residente a Montpellier, che ne informa la compagnia Datini a Barcellona. Le truppe di Tamerlano devastano Damasco il 16 marzo 1401, la notizia si diffonde a Rodi il 1 maggio, arriva a Barcellona il 4 luglio.

La scala di questa interconnessione è impressionante: un mercante di Prato si interessa al percorso e al carico delle carovane in Siria, alle variazione dei prezzi delle spezie in Alessandria e nel Maghreb, agli eventi politici di Genova, all’avanzata di Tamerlano, ai prezzi della lana di Southampton. Basterebbe elencare le località da cui provengono o verso cui vengono inviate le 153 000 lettere di questo archivio per capire quanti eventi che avevano luogo a distanze davvero considerevoli si ripercuotessero su altre realtà completamente differenti.

 

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Piazza del Comune a Prato, con Palazzo del Pretorio e la statua di Francesco Datini

 

Per citare un altro esempio di questo “piccolo mondo”, nel 1338 il mercante veneziano Giovanni Loredan rientrò a Venezia dal Catay. Aveva ormai una moglie e tre figli, era appena tornato da un viaggio che a molti era costato la vita, eppure non nutriva alcuna intenzione di sostare in laguna; si recò infatti a Delhi con altri patrizi veneziani, in cerca di fortuna. Nella città lagunare, Giovanni Loredan aveva comprato ambra del Baltico e oggetti in vetro, che avrebbe poi rivenduto durante il viaggio, passando per il mar d’Azov, Astrakhan e morendo prima di giungere alla agognata città indiana.

Bugia, Tunisi, Beirut, Damasco, Costantinopoli, la Tana, Ragusa, Montpellier, Aigues – Mortes: tutte queste località apparivano al mercante di qualunque nazionalità come luoghi assolutamente conosciuti e ben descritti da quei mirabili taccuini che sono le “pratiche di mercatura”, sorta di manuali che spiegano quali merci si vendano in ogni luogo, quanto distino i porti, i noli da pagare, le misure e le monete utilizzate, gli usi e i costumi. Tutto questo era possibile grazie al continuo scambio di informazioni fra operatori e a servizi rapidi di posta: il Mediterraneo non era solo connesso dalle rotte marittime ma anche da quelle terrestri. Anzi, i due sistemi si integravano e spesso, almeno chi poteva permetterselo, inviava le lettere su più itinerari diversi per assicurarsene l’arrivo.

Il bacino mediterraneo non era un mare connesso solo a livello commerciale, ma anche a livello politico, benché da questo punto di vista fosse assai più frammentato del mondo commerciale, che aveva adottato pratiche comuni. La politica mediterranea era plasmata da un continuo invio di ambasciatori e di relazioni che questi vergavano osservando attentamente la realtà dove erano inviati, tentando di districare il complesso risiko della politica internazionale.

Proviamo per un momento ad immaginare il viaggio che avrebbe compiuto nel 1300 un viaggiatore che si fosse diretto dal sud ovest del Mediterraneo, ovvero dal Maghreb, in senso antiorario per giungere fino alle coste della Spagna. Egli avrebbe attraversato l’Africa passando per il regno del Marocco dei Merinidi, il confinante regno di Tlemcen degli zayyanidi, il regno degli Hafsidi (Tunisia) e infine il sultanato egiziano retto dalla dinastia Bahri.

 

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Spostandosi in Asia, sarebbe passato per l’Ilkhanato mongolo e una serie di piccoli principati, per poi raggiungere i territori, ormai molto ridimensionati, dell’Impero bizantino dei Paleologhi. All’arrivo in quella che oggi definiamo Europa avrebbe trovato il regno dei Serbi, quello d’Ungheria e quello della Croazia, oltre a numerose colonie veneziane; con l’ingresso nei territori del Patriarcato di Aquileia e di Venezia, sarebbe penetrato nella congerie di stati italiani, fino a pervenire, dopo Genova, alla contea di Provenza e al regno di Francia, seguiti dai regni cattolici di Aragona, Castiglia e Portogallo, e più a sud, dal sultanato arabo di Granada, retto dai Nasridi.

Ho delineato uno schizzo di questa “mappa politica” europea per far comprendere il grande numero di stati presenti e le conseguenti difficoltà, per persone e merci, di raggiungere le loro destinazioni, attraversando territori variamente amministrati. Tutti questi stati intrattenevano ordinariamente rapporti, non sempre amichevole, scanditi dal susseguirsi, più o meno frequente, di ambascerie, che avevano principalmente il compito di stipulare o rescindere trattati di natura politica e spesso commerciale.

Ogni ambasciata significava anche uno scambio di doni e un approfondirsi della conoscenza reciproca: il caso più famoso è l’ambasciata di Manuele II Paleologo, imperatore bizantino, che si recò a Venezia, Parigi e in Inghilterra. Utilizzò quello che oggi definiremmo “soft power” distribuendo doni che promuovessero la sua immagine di mecenate culturale, donando manoscritti miniati e addirittura una icona della Vergine, che oggi si trova in Germania. Anche se estremamente infruttuosa, tale ambasciata fu uno delle poche occasioni in cui Oriente e Occidente si incontrarono, anche se fatalmente nessuno dei due comprese quanto il momento fosse storico.

Oggi fatichiamo ad immaginare che un imperatore di Costantinopoli tenesse una regolare corrispondenza con il re d’Inghilterra; che contro l’avanzata di Tamerlano i sultani d’Egitto abbiano vagheggiato una alleanza di varie potenze, comprese quelle cristiane; che nel 1366 sia stata eseguita una traduzione in volgare pisano di un privilegio commerciale scritto in caratteri arabi, concesso dal signore di Bugia alla città tirrenica.

 

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Una vicenda che ben sintetizza questi scambi mediterranei è la biografia di Leonardo della Porta. Nato a Creta da genitori probabilmente genovesi, ortodosso, partecipò alla rivolta contro Venezia per poi combatté sotto le insegne della Repubblica marciana. Successivamente, ricevette un incarico in Eubea, si recò come ambasciatore presso il sultano ottomano Murad I, poi in Tunisia nel 1389, per poi tornare a Candia e venire nuovamente inviato in Turchia, presso l’emirato di Mentescè.

Ho nominato alcuni esempi fra i molti che si sarebbero potuti fare, per sottolineare la profondità dei contatti che legavano il mar d’Azov con Lisbona, o Venezia con Bugia. O, ancora, Genova con Southampton, sia a livello politico e sia a livello economico. É certamente vero che gran parte della popolazione europea non partecipò a questi scambi. Addirittura, spesso persino distanze irrisorie si rivelavano proibitive, per persone abituate a nascere, crescere e morire nella medesima città. É altrettanto vero, tuttavia, che molte categorie, certo non percentualmente significative, varcarono spesso i confini nazionali: soldati, ambasciatori, mercanti, personale burocratico di grandi monarchie, notai, nobili, pellegrini, alti prelati, studenti e docenti universitari, predicatori, marinai, “intellettuali” e, più marginalmente, artigiani altamente specializzati (come i Lucchesi immigrati a Venezia).

Si può immaginare il Mediterraneo medioevale in due modi: come un bacino su cui si specchiavano decine di stati, spesso in guerra fra di loro. Oppure, come ci viene presentato da molti portolani, come un insieme di linee, rappresentanti le possibili rotte fra Ovest ed Est, fra Sud e Nord.

Il Mediterraneo era entrambe le cose: uno spazio di incontro e scontro, in cui si incontravano varie correnti di merci di quello che Wallerstein avrebbe definito “il sistema mondiale dell’economia moderna”.

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