Luca Scuro, Venezia –
Poche navi hanno cambiato radicalmente l’evoluzione della storia navale, fra queste merita attenzione la man o’ war, il cosiddetto galeone, che a lungo permise il dominio non solo dei mari europei, ma pure degli oceani.
Vi è da premettere che lo studio della storia navale non è affatto facile: solo in qualche raro caso sono le navi stesse ad essere le fonti dirette, come l’ammiraglia di Nelson, la Victory, oggi ancorata a Portsmouth e adibita museo, o più frequentemente i loro relitti, quale la Mary Rose costruita sotto Enrico VIII Tudor, affondata nel 1545, recuperata dagli archeologi nel 1982.
Le fonti visive, come quadri e disegni, sono nella maggior parte inattendibili a causa delle errate proporzioni con cui i pittori rappresentarono le navi. Una delle rare eccezioni è rappresentata dal pittore inglese Thomas Whitcombe (1763-1824) che grazie alla sua esperienza nella marina inglese, dipinse con sorprendente precisione – includendo anche dettagli costruttivi – le navi della Royal Navy e le battaglie durante le guerre napoleoniche
Il tema della «rivoluzione militare» è stato ampiamente affrontato: da oltre cinquant’anni gli storici discutono sulla definizione e sul periodo in cui collocare i cambiamenti avvenuti dopo l’avvento della polvere da sparo. Riconoscendo l’importanza del dibattito, che è servito ad attirare l’attenzione degli storici sulla storia militare moderna, preferisco adottare l’approccio dell’«evoluzione» rispetto alla «rivoluzione».
I progressi furono empirici, ineguali, ricchi di esperimenti spesso inconcludenti, e soprattutto furono il risultato della combinazione delle due tradizioni navali, quella mediterranea e quella nordica; la caracca e la caravella sono il perfetto esempio del risultato di questo connubio.
I primi innovativi ed importanti strumenti dell’arte della navigazione sono rintracciabili nel Basso Medioevo. L’invenzione della bussola nautica e la tecnica di stima della posizione – attraverso la matematica e la geometria elementare – permettevano di misurare le distanze da un porto all’altro, ma soprattutto consentirono alle navi per la prima volta di orientarsi anche senza l’ausilio del sole e delle stelle, con cielo coperto e meteo avverso, inaugurando per la prima volta i viaggi per mare durante i mesi invernali.
Nello stesso tempo fecero la loro comparsa le prime carte di navigazione su pergamena, chiamate (erroneamente) «portolani» in quanto si basavano sui libri di porto, che contenevano la descrizione delle coste, mettendo insieme le informazioni relative alle distanze ed ai percorsi: attraverso un reticolo di linee, permettevano di seguire i percorsi indicati nei portolani.
Le carte non furono altro che la rappresentazione grafica di questi libri con tracciate le rotte da seguire per arrivare a ciascun porto. L’importanza della carta nautica fu quella di poter essere letta da chiunque, essendo un disegno, senza dover necessariamente saper leggere o scrivere. Il valore di queste carte andrà sempre aumentando nei secoli successivi durante la navigazione degli oceani, al punto da divenire nei secoli successivi un bottino ambito, come riporta in un passo lo storico Cordingly nel suo Storia della pirateria.
Fra il marzo 1679 e il febbraio 1682, un periodo di pace fra la Spagna e l’Inghilterra, dei bucanieri inglesi attaccarono e saccheggiarono, lungo le coste sudamericane, diverse navi e città spagnole. Dei veri e propri atti di pirateria. Al loro rientro in patria le autorità spagnole si aspettavano che i pirati venissero condannati e puniti per i loro crimini.
I pirati però, durante la cattura di una nave, la Rosario, avevano trovato un «[…] libro enorme, pieno di carte nautiche e di mappe, contenenti una descrizione molto accurata ed esatta di tutti i porti, i fondali, le insenature, i fiumi, i promontori e le coste appartenenti al mare del Sud, e di tutte le rotte solitamente percorse dagli spagnoli in tale oceano»; consegnato il libro al re Carlo II, questi lo fece immediatamente tradurre in inglese e ne proibì la stampa, riservandolo «[…] solo all’Inghilterra per i momenti opportuni». Un libro davvero prezioso, al punto che il re garantì l’amnistia ai pirati ignorando le lamentele delle autorità spagnole.
Mentre le biremi venivano poco alla volta rimpiazzate dalle nuove triremi, i mutamenti originatesi nell’Europa settentrionale riguardarono le «navi tonde» e furono più radicali. La cocca (o Kogge), era un vascello con alte fiancate caratterizzata per due innovazioni: il timone attaccato al dritto di poppa e la vela quadra con matafioni di terzarolo e bolina.
Mentre l’efficacia del timone è stata contestata, la velatura quadra permetteva di risparmiare molto lavoro e fatica, in quanto la vela poteva volgere al vento l’uno o l’altro orlo laterale, mentre una bolina impediva che l’orlo sopravvento si arricciasse cedendo al vento. I matafioni permettevano di accorciare la vela, contemporaneamente un grembiale la poteva aumentare per incrementare la velocità. Molto più laboriose erano le operazioni con le vele latine, che richiedevano un maggior numero di marinai per gestire le vele, il solo risparmio di lavoro – e nondimeno di costo – serve a spiegare l’adozione della velatura quadra nelle navi tonde.
La ricerca di un nuovo equilibrio era inevitabile e poco dopo il 1550 questi sforzi diedero vita al galeone, noto anche come man o’ war (termine generico per indicare una nave da guerra), una nave formidabile per armamento e agilità nella manovra, la nave da guerra perfetta per l’epoca.
Rispetto al veliero armato, il galeone possedeva uno scafo più lungo costruito secondo le linee della galera, dal pescaggio inferiore – permettendo la navigazione in acque con fondali più bassi – con la prua a forma di rostro e con castelli fortemente ribassati. Le origini del nome e del disegno fanno pensare ad una derivazione dalla galera, forse di origine spagnola.
Il galeone possedeva la solidità, la resistenza, l’adattabilità e la tenuta per operare in tutte le condizioni di mare, e diversamente dalla galera non aveva limitazioni alla portata operativa. Era indubbiamente dal punto di vista tecnologico una delle realizzazioni più complesse del suo tempo.
La costruzione richiedeva strutture attrezzate, come gli arsenali nelle città portuali, e manodopera specializzata; la produzione inoltre dipendeva dalla rete di fornitori di materie prime. I materiali utilizzati erano infatti considerevoli: per un vascello di 74 cannoni erano necessari 2.000m3 di legno di quercia (circa 3.000 alberi), 30 tonnellate di chiodi di ferro, 30 pini del Nord Europa per l’alberatura, almeno due velature di 2.850m2 ciascuna, 80 tonnellate di cordame di canapa, a cui si deve aggiungere l’artiglieria, con 50 tonnellate di proiettili di ferro e circa 250 tonnellate di cannoni.
Altrettanti progressi continuarono anche nell’arte della navigazione, che Joseph Needham ha definito “l’era della navigazione matematica”, a cui si aggiunsero: il quadrante, l’astrolabio, il bacolo e nuove tavole per il calcolo astronomico, che fornirono la strumentazione essenziale per intraprendere le traversate oceaniche con un mimino di idea sul proprio posizionamento rispetto alla terraferma.
Quegli oceani, che erano stati una barriera per gli europei, diventavano adesso strade che conducevano alla ricchezza e alla potenza: solamente nel 1893 – con la seconda rivoluzione dei trasporti – le navi a vapore superarono per tonnellaggio complessivo i velieri, ampliando e accelerando il commercio marittimo.
LE LETTURE CONSIGLIATE:
- U. Tucci, La carta nautica, in Carte da navigar. Portolani e carte nautiche del Museo Correr 1318-1732, a cura di S. Biadene, Marsilio, Venezia, 1990
- A. Lambert, War at Sea in the Age of Sail 1650-1850, Cassel, London, 2000
- F. Frasca, Foreste, logistica e potere marittimo, in “Rivista Marittima”, Roma, Dicembre 2014
- F. C. Lane, Storia di Venezia, Einaudi, Torino, 2012
- G. Parker, La rivoluzione militare. Le innovazioni militari e il sorgere dell’Occidente, Il Mulino, Bologna, 2014
- D. Cordingly, Storia della pirateria. Mondadori, Milano, 2003
Molto interessante, mi piacerebbe avere maggiori informazioni sull’uso degli strumenti di navigazione che avete citato: il quadrante, l’astrolabi, quegli so, il bacolo; io so usare bene compasso e squadrette ma qugli strumenti, che ho visto nei musei navali mi sono incomprensibili. Sapreste consigliare qualche pubblicazione?