Quando i Longobardi tentarono di unificare l’Italia: l’ambizione di Liutprando, ‘Rex totius Italiae’

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Jessica Romiti, Torino –

Il regno longobardo, formatosi tra il 568 e il 569, alla metà dell’VIII secolo raggiunse il suo apice di potenza grazie all’opera di re Liutprando. Sovrano valoroso e lungimirante, la sua politica mirava a consolidare la monarchia e, al contempo, ad estendere il regno sull’intera Penisola. L’aspirazione a potersi considerare anche nei fatti rex totius Italiae, come formalmente venivano appellati i monarchi longobardi dai tempi di Agilulfo, lo portò a scontrarsi con le altre realtà presenti in Italia: Papato, l’Impero Romano d’Oriente, i ducati di Spoleto e Benevento.

 

Re Liutprando

Liutprando può essere considerato il più importante tra i sovrani longobardi. Fu legislatore, mecenate, valoroso guerriero e abile politico. Sotto il suo regno furono emanati 155 capitoli, che integrarono l’Editto di Rotari, la principale raccolta scritta delle leggi longobarde. Promosse, inoltre, una maggior integrazione sociale tra la parte longobarda e romana del regno senza tralasciare cura allo sviluppo delle arti: non a caso, è proprio in questo periodo che l’arte longobarda raggiunse il suo punto più alto, tanto da far parlare di Rinascenza liutprandea. In fatto di politica interna, intraprese una decisa opera di accentramento, allargamento e rafforzamento del regno, tanto che sotto il suo dominio registrò un incremento territoriale e in potenza.

Nacque e visse la sua giovinezza in un periodo turbolento. Scampò, infatti, in giovane età alla vendetta di re Aripeto II e si rifugiò in Baviera. Fece ritorno in Italia solo nel 712, insieme al padre, Ansprando. Quest’ultimo fu eletto nuovo re longobardo e il figlio fu associato al trono. Tale assetto politico, tuttavia, durò pochi mesi: la repentina morte per malattia di Ansprando, rese infatti Liutprando unico sovrano.

La situazione che egli si trovò ad affrontare non era delle migliori. Innanzitutto, dovette fronteggiare alcune congiure che volevano destituirlo, dato che la sua elezione non era condivisa da tutto il popolo longobardo. Inoltre, si trovò per le mani un regno spaccato in due, la Langobardia Maior e Langobardia Minor, con l’autorità regia minata dalla tradizionale concezione della divisione del regno in ducati.

 

Moneta raffigurante re Liutprando con in mano una croce

 

Situazione italiana nell’ VIII secolo

L’Italia dell’VIII secolo era un coacervo di entità, legate attraverso un mutevole carosello di alleanza affinché nessuna prevalesse sulle altre.

La prima era la potenza romano-bizantina. Quella che era stata l’Italia romana- dalla riforma tetrarchica di Diocleziano del 293 – chiamata con il nome di Prefettura d’Italia – si era evoluta nell’Esarcato, semplice provincia dell’Impero romano d’Oriente che si costituiva in una striscia di territorio che univa l’attuale Romagna al Lazio, passando per la dorsale appenninica. Ravenna ne era la capitale amministrativa, e l’Esarca, governatore generale dei domini bizantini nella penisola, riuniva nella sua persona i poteri militari e civili.

Nell’attuale Lazio si trovava il Ducato romano. Formalmente dipendente dall’impero bizantino, nei fatti proseguiva di una politica autonoma, il Ducato romano. Il Papa, che agli occhi dell’imperatore rappresentava un semplice funzionario imperiale, con il tempo divenne la massima autorità civile del ducato, e spesso entrò in conflitto con il dux, il responsabile militare del territorio, generalmente fedele alle disposizioni emanate da Bisanzio.

Infine, i Longobardi. In quest’epoca il Regnum Langobardorum era diviso, proprio dal “corridoio bizantino”, in due parti: la Langobardia maior, costituita da buona parte dell’Italia settentrionale, e la Langobardia minor, comprendente essenzialmente i ducati di Spoleto e Benevento che dimostrarono sempre una certa riottosità a sottomettersi al potere centrale.

 

L’Italia nell’VIII secolo

 

Politica espansionistica

Liutprando attuò una politica aggressiva ma lungimirante, mirante a dare unità ai territori longobardi della penisola. Per far questo bisognava, però, stroncare qualsiasi spinta autonomista e indipendentista, in primis, quella dei suoi duchi. Solo successivamente l’attenzione si sarebbe rivolta contro coloro che impedivano un congiungimento territoriale del regno longobardo, ovvero bizantini e papato.

La riorganizzazione del potere, che prevedeva un deciso consolidamento della monarchia, era lo strumento fondamentale per la realizzazione del sogno di Liutprando. Fu rafforzata la posizione del palazzo reale di Pavia, che divenne il vero e unico centro politico del regno, e nel contempo fu diminuito il numero e la potenza dei duchi, a favore dei gastaldi, emanazione del potere centrale. Tali cambianti acconsentirono l’inizio delle attività belliche.

Liutprando, durante le prime fasi del regno, si distinse per una politica di pacificazione nei confronti dell’impero Romano d’Oriente e di Roma: nel 712-713 restituì il porto ravennate di Classe ai bizantini e nel 715 le alpi Cozie al papa. Tuttavia, tale strategia mutò in pochi anni. La situazione nella Penisola vedeva l’Impero Bizantino e il papato in conflitto, con il primo in una situazione di netta debolezza, anche per effetto dell’insofferenza mostrata dalle città italiane che traeva le proprie radici nella politica religiosa di Costantinopoli e nel forte carico fiscale cui erano sottoposte.

I primi scontri che contrapposero i longobardi alle forze dell’Esarcato iniziarono nel 717, anno in cui le forze di Liutprando attaccarono Ravenna e saccheggiarono Classe.
Per reazione il duca di Spoleto, alleato ai Romei, occupò Narni e il duca di Benevento, anch’esso alleato ai Romani, occupò Cuma.

Nel 724, poi, le truppe longobarde, schierate a protezione di Roma, fecero fallire la spedizione dell’esarca di Ravenna per destituire il ribelle papa Gregorio II. Al contempo, approfittando della crisi iconoclasta che infuriava lungo l’Impero, Liutprando sottomise Bologna e altri centri fortificati della Pentapoli e dell’Esarcato. Per evitare di perdere il favore papale recentemente ottenuto, e che poteva incrinarsi a causo slancio espansionistico longobardo, Liutprando nel 728 operò la celeberrima donazione di Sutri: il monarca longobardo restituiva al papa il controllo di alcune fortezze facenti parti del Ducato romano.

 

 

La seconda fase della politica espansiva di Liutprando si aprì nel 729. L’intenzione del re era di riaffermare la propria autorità sui duchi di Spoleto e Benevento. Poiché questi avevano stretto un certo legame con il papato, Liutprando, rovesciando il sistema di alleanze, si unì all’esarca di Ravenna, Eutachio. I due vecchi nemici si coalizzarono, quindi, in funzione anti-papale: il primo, per ottenere la sottomissione dei duchi; il secondo perché il papa era considerato un “ribelle”. Una volta ottenuta la sottomissione di Spoleto e Benevento, Liutprando si recò a Roma e qui, con grande maestria, costrinse il papa e l’esarca a giungere a un accordo di pace: così facendo, si prefigurava come artefice degli equilibri italiani.

L’ultima fase della politica liutrprandea di aprì nel 741, anno in cui sul soglio pontificio salì papa Zaccaria. Poiché il nuovo Pontefice mirava a riottenere alcuni territori, sacrificò la sua tradizionale alleanza con il ducato di Spoleto per stringerne una nuova con Liutprando. L’accordo di Terni, siglato tra i due nel 742, permise al sovrano longobardo di sottomettere ancora una volta Spoleto e Benevento, ribellatesi pochi anni addietro.

Infine, nonostante l’età avanzata, Liutprando tentò di completare la conquista dell’Esarcato: le operazioni militari, iniziate durante il 743, valsero l’occupazione di Cesena e l’assedio della stessa Ravenna. A questo punto l’esarca e il vescovo della città chiesero l’intervento del papa, che riuscì a convincere Liutprando a desistere dalla conquista.

L’incipit dell’Editto di Rotari (643 d.C.)

Conclusioni

Nel 744 Liutprando morì senza coronare nell’agognata impresa di sottomettere tutti i domini bizantini della Penisola che avverrà, qualche anno dopo, per merito di Astolfo. Tuttavia, il suo governo sancì l’apogeo del regno longobardo che, alla sua morte, poteva vantare un certo livello di sviluppo sia sul piano legislativo che su quello artistico, nonché una indiscussa preminenza politica. L’abile politica estera, inoltre, comportò un equilibrio di pace con i popoli confinanti, specialmente con bavari e franchi – va ricordato in special modo lo stretto legame che si creò tra Liutprando e Carlo Martello. Ma troppi elementi di debolezza erano presenti, perché il regno potesse durare a lungo, e infatti solo trent’anni dopo questo si dissolverà.

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