Libri in guerra: svago e educazione nella vita di trincea

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Paolo Perantoni, Verona –

La Prima guerra mondiale è stata studiata, a ragione, da diversi punti di vista, tale è stata la sua complessità e lo sconvolgimento che ha portato nella società occidentale.

Per quanto riguarda l’Italia – anche a seguito delle celebrazioni del centenario – sono uscite negli ultimi anni moltissime storiografie che hanno analizzato la Grande guerra dal punto di vista militare, politico, economico, letterario, sociale, etc.

A cavaliere tra quest’ultimi due, si colloca il volume di Loretta De Franceschi, Libri in guerra. Editoria e letture per i soldati nel primo Novecento edito quest’anno per l’editore Mimesis. L’assunto di partenza dello studio della De Franceschi non è nuovo: l’esperienza dei soldati nella prima guerra mondiale, a causa della contingenza negli spazi angusti della trincea di uomini provenienti da tutto il territorio e da tutti i ceti della società italiana, ha avuto effetti positivi sull’alfabetizzazione nazionale e sulla diffusione dell’uso della lingua italiana a fronte dei tanti dialetti parlati a casa come in trincea.

 

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Secondo le inchieste compiute dal Regno d’Italia, nel 1911 il tasso di analfabetismo sfiorava infatti il 46% della popolazione, e, in generale, era ancora più scarso il rapporto degli Italiani con la lettura di libri e della carta stampata, se si eccettua la piccola percentuale composta dai ceti colti italiani. Questi ebbero però molto peso durante il duro dibattito, avvenuto nel 1914, tra interventisti e neutralisti, con ampio coinvolgimento dei giornali, basti pensare al ruolo del “Corriere della Sera” diretto da Luigi Albertini.

La guerra, lunga e difficile sotto tutti gli aspetti, sconvolse ancor di più il quadro, ponendo nuovi problemi, ma offrendo altrettante soluzioni, anche riguardo la tematica della lingua e dell’alfabetizzazione. Nel 1921 il tasso di analfabetismo crollava al 35% e parte di questo successo fu dovuto paradossalmente a quei terribili anni di guerra, grazie alle iniziative analizzate in questo saggio, diviso dalla De Franceschi in due parti.

La prima è dedicata alle iniziative editoriali promosse da case editrici e altri enti, come ad esempio l’Istituto Nazionale per le Biblioteche dei Soldati (INBS) o le Case del soldato; la seconda è incentrata sul fondamentale ruolo dei Comitati per i libri ai soldati.

 

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Nel 1909, nasceva a Torino l’INBS, presieduto da una donna, Ildegarde Occella Trinchero, con il preciso scopo di elevare intellettualmente e moralmente il soldato attraverso la lettura di libri accuratamente scelti. Analizzando i cataloghi dell’Istituto, che comprendono una variegata lista di manuali, saggi scientifici e morali e infine opere letterarie, emerge chiaramente che le esigenze del fronte mutano anche la scelta dei testi. La letteratura, in particolare quella di avventura, di viaggio e storica (di autori del calibro di Charles Dickens, Grazia Deledda, Alexandre Dumas, Arthur Conan Doyle, Emilio Salgari, Matilde Serao, Walter Scott, Henry Morton Stanley, etc.), era molto richiesta sia al fronte che negli ospedali, poiché la lettura è vista come un momento di evasione dagli orrori della guerra e dalla non meno pericolosa noia – sia in prima linea che nelle retrovie – provata durante i periodi di riposo o di convalescenza.

La scelta dei testi dell’Istituto era comunque soggetta all’approvazione ministeriale: come ci ricorda l’autrice, questi testi non potevano non affondare “le loro radici in un sostrato culturale permeato di conservatorismo politico-sociale, di moralismo, di senso patrio; sentimenti resi ancora più vividi dalla guerra mondiale”. Per merito dell’INBS, tra la metà del 1915 e la fine del 1917 si calcola che più di un milione di libri avesse raggiunto, non senza difficoltà logistiche, i soldati al fronte; allo stesso tempo furono quasi tre milioni e mezzo gli scritti propagandistici e patriottici, editi dallo stesso Istituto, a diffondersi sia tra i militari che tra i civili.

Allo stesso modo le Case del soldato, ideate dal cappellano militare don Giovanni Minozzi, si andavano diffondendo a macchia d’olio grazie all’iniziativa ecclesiastica e alle finanze della YMCA (Young Men’s Christian Association). A Milano lo stesso Minozzi, nel settembre del 1915, aveva dato vita a un apposito comitato allo scopo di raccogliere libri per le biblioteche degli ospedali e per i combattenti, a cui aderirono Benedetto Croce, Pasquale Villari, Uberto Pestalozza, Guido Mazzoni, Grazia Deledda, Ada Negri, Maria Pascoli e lo stesso Luigi Albertini.

 

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Un’iniziativa di successo, tanto che nel 1917 le Case del soldato erano già più di cento, dislocate presso le varie armate nel nord Italia; inizialmente pensate come strutture mobili al seguito dei reparti militari, finirono per consolidarsi presso le stazioni ferroviarie, le prigioni militari e nei paesi del fronte, mantenendo però una forte matrice cattolica. Ecco quindi che molto spazio era dedicato ai libri morali, mentre erano severamente banditi libri giudicati pornografici come quelli scritti da Guido da Verona o da Gabriele D’Annunzio.

I generi più amati dai soldati rimanevano però le stampe periodiche, in particolare i giornali illustrati, che riuscivano ad offrire un momento di distensione anche agli analfabeti. Tra questi i più apprezzati erano l’Almanacco italiano e l’Almanacco dello sport, entrambi pubblicati dall’editore Bemporad; in particolare quello dello Sport, nato solo nel 1914, raccoglieva e illustrava le vicende sportive memorabili dell’anno e costituiva un oggetto molto ricercato da parte dei soldati.

Molta fu l’attività dei comitati cittadini, come quello appena citato di Milano, per la raccolta dei libri, ma vanno sicuramente ricordati anche quello veneziano, sorto a partire dall’impegno della Biblioteca Marciana e del suo direttore Giulio Coggiola, il quale, oltre a mettere in salvo il patrimonio delle biblioteche vicine che, dopo Caporetto, si trovavano ormai coinvolte nelle operazioni belliche, promosse una grande attività a supporto dei soldati.

L’esempio della biblioteca veneziana fu poi ripreso a Padova e in molte altre città, come Bologna, Modena e Milano, dove troveremo impegnati personaggi del calibro di Filippo Turati, Emilio Treves, Francesco Novati, Achille Bertarelli, Virgilio Brocchi.

Tutto questo fu reso possibile grazie al fondamentale contributo delle donne, sia nelle vesti di bibliotecarie, come ad esempio Ester Pastorello e Amalia Vago a Padova, Ada Sacchi a Mantova e Zaira Vitale ad Alessandria, che in quelle di mecenati come nel caso di Clara Archivolti Cavalieri a Bologna.

Nel complesso il saggio della De Franceschi ha il merito di raccogliere e analizzare sistematicamente la tematica della diffusione del libro e della lettura nella Grande guerra, sebbene non riesca per forze di cose ad esaurirla. Si tratta dunque di un’opera necessaria, anche solo per il tentativo di summa prodotto, a cui ci auguriamo seguano altri studi volti a indagare l’immane sforzo culturale prodotto dall’Italia in quei terribili anni che sconvolsero l’intero Occidente e che tanto furono importanti per la successiva storia mondiale.

 

Loretta De Franceschi
Libri in guerra. Editoria e letture per i soldati nel primo Novecento
Mimesis, Milano 2019
pp. 326