L’immagine della leadership: sbaglia chi sottovaluta i post di Salvini

salvini, di maio, immagine leadership, facebook, social network, attualità, la bestia
Il leader leghista pubblica immagini di cibi dal dubbio gusto e di programmi televisivi di pessima qualità accompagnate da retorica infantile. Ma non è uno scherzo: è parte di una comunicazione politica pervasiva e mirata. Che non va sottovalutata. Soprattutto per il consenso che miete e per l’imposizione dell’idea di leadership che produce. Gli alleati di governo cominciano a capirlo e lo inseguono su questa strada.

Enrico Ruffino, Venezia –

Ormai moltissimi anni orsono, Italo Calvino scriveva che “una volta imposta l’idea che un capo deve essere dotato di un’immagine marcata e inconfondibile come la sua, resta sottinteso che chi non ha quell’immagine non può essere un capo”. Questa frase ha un ché di familiare se rapportata all’attualità e a quell’immagine, ora buffa ora seria, che ha visto il vicepremier Luigi Di Maio “postare” sui suoi canali social l’immagine del suo telefono rotto accompagnata da un ormai classica domanda: “E voi ce l’avevate?”. La “classicità” di questa didascalia non è però autografa del ministro pentastellato ma del suo co-azionista di governo, il vicepremier, nonché ministro dell’Interno, leghista Matteo Salvini, che ormai da moltissimo tempo si diletta in immagini di disgusti culinari e di trash televisivo accompagnati da un invito ai suoi followers (che sono anche i suoi elettori e i cittadini che dovrebbe rappresentare) ad interagire: “e voi amici?”.

Sbaglierebbe chi guardasse con leggerezza e ironia a queste immagini. Perché Matteo Salvini (o meglio: il suo staff) è riuscito ad imporre una certa idea – come diceva Calvino – “inconfondibile” e “marcata” di leadership tanto da spingere l’alleato, ma soprattutto diretto concorrente, ad inseguirlo (malamente) sullo stesso piano. Si tratta, infatti, di un registro comunicativo efficace, che transita attraverso le immagini. Si può parlare, in breve, di un inganno politico. Come scrisse Marco Belpoliti ne Il corpo del Capo: “la fotografia […] serve a manipolare l’immagine di se stessi: permette di fingere, sedurre e affermare una propria particolare identità”. Ma chi seduce e quale particolare identità vuole affermare il leader leghista con le sue seguitissime foto accompagnate dalla familiarità della didascalia?

Non serve essere né sociologhi della comunicazione né storici né antropologi per capire che gli “obiettivi” verso cui il segretario del Carroccio indirizza le sue immagini – per mantenere vivo il suo consenso, certo – appartengono ai ceti più bassi, al fulcro del dissenso e alle vittime delle diseguaglianze sociali della modernità liquida. Serve anzitutto saper osservare le immagini e rapportarle alla realtà sociale: cosa può significare un piatto da 200 grammi di spaghetti “Barilla” con sugo Star dall’aspetto grottesco? Un infimo panino insalubre con formaggio rappreso? Una pizza dall’aspetto tutt’altro che idilliaco?

Queste immagini hanno un potente valore simbolico, fungono da “veicoli per esprimere un concetto”: l’operaio, il muratore e il carpentiere che vedono i panini sciatti e gli spaghetti conditi con il ragù “Star” rivedono le pietanze che ogni giorno trovano nelle loro tavole, sentono vicino – dopo tanto tempo – un politico. Insomma, “Il capitano” – questo termine atto ad indicare una leadership amichevole – è uno di noi. Un concetto ingannevole, ma pur sempre un concetto: quelle immagini significano semplicemente identificazione con un ceto basso che consuma “all’ingrosso” nei centri convenienza”. Quei ceti lontani dal mondo della costosa produzione di qualità rappresentata plasticamente da Eataly. Quei ceti che possono permettersi solo quel tipo di cibo. Pazienza che a questa classe cetuale appartengano anche gli immigrati: l’identificazione – il messaggio politico – è infatti veicolato solo per una parte della clientela. La prima. Salvini finge l’immagine dell’uomo che si nutre come l’ultimo degli operai (italiani); seduce questo ceto attraverso la totale identificazione e tramite una comunicazione dal lessico e dalla grammatica elementare, dai toni simpatici e amichevoli, di sincera vicinanza verso la loro condizione e afferma, infine, una “propria particolare identità”. Quella del leader di un popolo: inteso come “nazione” da cui sono esclusi coloro che non sono italiani. Salvini è cavalcatore indomabile del “nazional-popolare”. Un attore. 

 

Un esempio di come agisce la strategia social di Salvini su un utente medio della sua pagina Facebook

 

Avete infatti mai visto nella cronologia dei suoi scatti Facebook ed Instagram immagini del cibo consumato durante le sue cene galanti? Avete mai visto immagini di cibo consumato durante i grandi galà? Questo perché nella finzione della rete, nell’anarchia estetizzante del web, si può fingere più di quanto si fingesse in precedenza attraverso lo strumento televisivo e fotografico: si può fingere in ogni momento, in ogni istante, si può creare più empatia perché si può dominare il discorso nello spazio privato e in tempi rapidissimi, live. Non esiste più la massa da controllare ma un individuo-massa su cui penetrare. E il populismo Salviniano ha trovato lo strumento e il linguaggio adatto per penetrare all’interno dell’individualità, sfruttando, certo, l’impotenza da parte della sinistra di costruire una leadership capace di inserirsi nell’atomizzata mentalità collettiva del “popolo” (un concetto che, ormai, andrebbe rivisto), ma veicolando una politica in negativo estremamente pervasiva: attraverso il dileggio spesso buffo e banale, attraverso la mistificazione dell’avversario, dei nemici interni (la “sinistra”, i “comunisti”, i “clandestini”) ed esterni (“l’Europa”, il “mondialismo”, “il pensiero unico mondialista”) e attraverso formule espressive spesso insidiose – ad esempio quella della reductio ad unum che identifica l’intero fenomeno dello spaccio della droga ai soli stranieri – il populismo leghista sta riuscendo a “possedere” questa massa-atomizzata attraverso la penetrazione nel malcontento e nelle paure. Ma rimane una possessione che nulla ha a che vedere con la liberazione.  Nell’era della “moltitudine” – in cui i movimenti si caratterizzano per la totale assenza di leader – si è entrati in un’immagine di leadership, che nasce tutta internamente al “populismo”, imprescindibile dalla rete: senza l’immagine inconfondibile e marcata che è riuscita a darsi Salvini alimentando consenso nella rete (e quindi fuori da essa), una leadership “populista” non può più esistere oltre la sua. Di Maio l’ha capito. La domanda – che rimane invece inevasa – per noi resta: può esistere una leadership diversa da questa?