Concepire l’Altro: il cambiamento del concetto di barbaro nella Grecia antica

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Alessandro Tavano, Campobasso –

La categoria del barbaro è centro iconico di un campo in cui convergono più significanti, tutti, ça va sans dire, frutto di costruzioni culturali.
A seguire l’evoluzione del termine βάρβαρος, dalla sua comparsa fino ai giorni nostri, si assiste a più di un cortocircuito, che ha portato a varie riconfigurazioni della categoria stessa. Ci occuperemo in questo articolo di fare luce su di uno solo di questi rivolgimenti di significato, ossia quello in cui incorre il pensiero greco tra la fase arcaica e quella storica, che si rivelerà centrale per la storia europea, in quanto fondante e più volte ripreso, sia nei dibattiti sulla schiavitù degli indios durante la dominazione spagnola, sia nella retorica sudista (per citare i due esempi più noti) proprio nel suo punto di arrivo: la teorizzazione di Aristotele della schiavitù di natura.

 

L’incontro con le altre civiltà e la concettualizzazione dell’altro.

 

Dai greci deriva l’elaborazione di quei modelli di analisi delle culture straniere – e i connessi topoi, impiegabili per caratterizzare le più diverse culture – cui la storia europea ha fatto capo ogni qualvolta, nei suoi corsi e ricorsi, si presentasse il problema dell’Altro.

La storia dei greci inizia quando ancora si definivano Achei e, da Est a Ovest piluccavano ad una ad una le coste del Mediterraneo, le insenature del Mar Nero. Ragioni di sussistenza li spinsero alle due forme di insediamento che conosciamo: l’apoikia (che è colonizzazione in senso stretto) e l’emporion. Attraverso il contatto – permanente, nel primo caso, temporaneo, nel secondo – con altre società, sia primitive sia altamente evolute, sopravvenuto nel periodo della cosiddetta fase arcaica (VIII-VI secolo), i nostri greci si prepararono a percepire in maniera differenziata le varie culture: è dall’incontro, che ad essi si impone un vero problema teoretico di concettualizzazione dell’Altro.

La riflessione sui popoli stranieri si nutriva quindi di esperienze concrete, ma l’epoca delle ragioni della phisiké era ancora di là da venire: l’interferenza del discorso mitico – il Rumore (pheme in Platone) dei racconti tradizionali – era ben presente e reale. Da Omero ad Aristea l’immaginazione si infiltrava in quelle zone ancora inesplorate dall’esperienza, e sui periploi – i racconti di navigazione – lasciava intrise le immagini di Amazzoni, Iperborei, Ciclopi cannibali e Arimaspi monocoli. Sono i primi esempi di una tradizione che durerà a lungo: le carte del Rinascimento saranno ancora minate di mostri mitici e raffigurazioni fantastiche che pur convivono con le accuratissime coordinate di navigazione fornite dai portolani italiani e spagnoli.

Una mappa delle guerre del Peloponneso (da E. Lévy, La Grèce au Ve siècle, Paris, 1995)

L’atteggiamento di fondo principale rimaneva comunque critico, di interesse verso le differenziazioni che emergevano man mano che i viaggi di esplorazione (e i relativi resoconti) crescevano di numero e andava confermandosi presso i greci la presa di coscienza delle innumerevoli forme di convivenza sociale possibili.
La conferma più evidente di questo atteggiamento è lo spiccato interesse di Erodoto per i costumi, le forme religiose, i riti sociali, così come per l’abbigliamento o gli usi alimentari, che lo storico effonde nei suoi noti excursus storico-geografici.

Le descrizioni di Erodoto sono estranee a qualsiasi giudizio di valore, proprio perché egli è cosciente che (qui citando Pindaro) “la consuetudine è la regina del mondo”. Difatti,

 

se a tutti gli uomini si facesse la proposta, e li si invitasse a scegliersi le consuetudini più belle fra tutte, ogni popolo si sceglierebbe, dopo attento esame, le proprie: tanto ognuno ritiene che le costumanze di gran lunga più belle siano le sue!
(Erodoto, Storie, 3.38)


Per gli Elleni sarebbe empio mangiare i propri avi; e pure, presso i Callati, che mangiano i loro padri morti, sarebbe empio bruciare i loro corpi, come in uso presso gli stessi Elleni.

Queste, quindi, le buone premesse. Del resto, alla radice di Βάρβαρος è stata supposta una semplice ragione onomatopeica, risultante dal raddoppiamento del suono *bar bar: verosimilmente, l’effetto che ha una lingua straniera su di un orecchio non educato a questa (vale l’analogia con il contemporaneo ‘bla bla’). Una differenziazione che quindi prescinde, come detto, da giudizi di valore, e che lascia alla porta sentimenti di superiorità: barbaro è semplicemente altro non-greco, forestiero.

Nonostante queste buone premesse, dal IV secolo assistiamo al venire meno presso la cultura greca di quella capacità di differenziazione che abbiamo appena decantato.

Aristotele fa raccogliere presso la sua scuola i nomina barbarika, e cresce in generale la documentazione etnografica. Emergono da queste cannibalismo, o legiferazioni sugli incesti, e i cinici e i primi stoici giungono a conclusione che non vi deve essere alcuna vera regola di natura, ma solo costumi istituiti socialmente. Ognuno si sceglie i propri maestri: la lezione cinica non ebbe allievi; l’occidente, invece, scelse il Maestro: Aristotele.

Aristotele teorizzava la schiavitù naturale, principio secondo il quale vi è una deficienza presente alla nascita della ragione: uno schiavo è meno di un uomo, in quanto di questi gli manca appunto la ragione. Questa teorizzazione, per estensione, giustifica anche la dominazione sui barbari in quanto presso questi, come gli schiavi, non vi è dominio della ragione, ed è anzi opportuno, per il loro stesso bene, che chi abbia giudizio domini su di questi.

Siamo di fronte ad una di quelle riconfigurazioni cui abbiamo accennato all’inizio. Barbaros non è più semplicemente il non-greco non ulteriormente definito: diventa un essere Altro e di natura inferiore, e tutti quegli atteggiamenti culturali non-greci passano dall’essere costruzioni culturali – come lo erano per i cinici – a esempi a favore di una inferiorità delle altre civiltà rispetto a quella ellenica.

Ora che abbiamo cornice cronologica entro cui avviene questo cambio di paradigma, diamo un giro di vite al nostro discorso per consolidare meglio i due eventi cardini rappresentati dalla seguente suddivisione degli eventi in fase arcaica e quella storica. Emergeranno i rivolgimenti storici che hanno portato a una coscienza prima politica, poi nazionalistica, e quindi al cambiamento di paradigma nella concezione dell’altro.

Erodoto, Austrian Parliament Building, Vienna, Austria

La fase arcaica (VIII – VI sec)

La coscienza politica

La colonizzazione è un processo congenito a quello della nascita della polis. Le ragioni della colonizzazione sono semplici: l’emigrazione di una parte della popolazione fu un sollievo per la nascente polis, su cui gravava il peso di un incremento demografico a cui non corrispose alcun aumento di risorse.

 

La colonizzazione … è in parte favorita o addirittura suscitata dalle stesse aristocrazie cittadine. Al fenomeno migratorio si accompagna certo la diffusione di una più risentita coscienza politica.

La fase storica (VI sec)

La coscienza nazionalistica

Quando il sistema trovò il suo punto di equilibrio nella fase storica, quel coacervo di singole realtà proto-statali – più precisamente, politiche (da poleis) – appena istituitosi trovò una comune radice etnica, che si risolse nel nome etnico di Héllenes.
Questo nome rappresenta una riduzione ad un unicum delle tre stirpi originarie dei Dori, Ioni, Eoli, al VI secolo ancora in grado di riconoscersi tra di loro a vista, vuoi per aspetti esteriori come l’abbigliamento, vuoi per i diversi dialetti.

Siamo al VI secolo, abbiamo detto; quando scenderemo al V, il processo di formazione del politico ha conosciuto già la sua fioritura e anche le legislazioni avranno raggiunto un punto di elevata elaborazione (considerata tale anche per i contemporanei: valga come esempio tutta la retorica oligarchica dal colpo di stato del 411/10 sul ritorno alle patrie nomoi). Se il processo politico è compiuto al VI secolo, il V sarà quello del geopolitico.
Dove c’è il geopolitico deve esserci per forza di cose l’Altro.
Un Altro che abbia ragioni ben solide sulle quali opporsi ad un secondo Altro; ma come nascono queste ragioni?

Tucidide ci parla dello scontro tra Atene e Sparta come inevitabile: le due città valevano due sistemi differenti di pensare l’organizzazione sociale; due sistemi che ormai avevano raggiunto una distanza inconciliabile (beninteso: legate comunque ad interessi particolari e concreti). Che in Tucidide possa affiorare un pensiero di un confronto di ideologie tra poleis – e siamo a due secoli dall’avvio del processo di formazione della stessa – vuol dire che il processo ha raggiunto quel punto di piena di consapevolezza cui abbiamo accennato. Consapevolezza che si traduce in sentimento di appartenenza alla polis; sentimento che ogni cittadino deve avere: un qualcosa di più del politico di cui parlavamo a proposito delle colonizzazioni, qualcosa di meno da un sentimento nazionalistico*. Presa di coscienza cui, dalla celebrazione dei tirannicidi Armodio e Aristogitone, a Maratona, fino all’Epitaffio di Pericle, la letteratura, coadiuvata – almeno in un primo momento – da una certa aristocrazia (certamente alcmeonide in primis) ha contribuito deliberatamente a promuovere.

Conclusioni

Vorrei lasciare sottintese le conclusioni di questo articolo. Per quanto accaduto nel torno di tempo qui considerato, spero di essere riuscito a mettere in rilievo alcune delle forze implicite –  comunque storiche – che entrano in gioco in processi così complessi, e che  in quanto tali richiederebbero pure di essere svolti anche sotto il profilo di più discipline. Chiarito ciò, nulla osta una conclusione storica. Potrebbe essere la seguente.

La nascita di sentimenti sovraidentitari è sempre legata al merito del confronto con l’Altro. Questi sentimenti possono giustificare guerre civili (come quella del Peloponneso, tra Atene e Sparta), in cui ogni partigianeria si impegna a far valere le proprie ragioni sovraidentitarie. Peggio ancora, possono portare a teorizzazioni nelle quali l’idea stessa di uomo viene costretta in aberrazioni, come quella della schiavitù di natura.

*Il termine è qui usato entro i limiti del nostro discorso. L’attribuzione ai cittadini della polis di un ipotetico Stato sarebbe forzata, senza contare che non può darsi ragione di questa senza aprire prima una parentesi sulla concezione di pubblico e privato presso i greci. Il tutto è da escludersi in questa sede.

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