Kamikaze: il vento divino che attraversa la storia

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Cecilia Presciani, Bologna –

 

Voi siete il tesoro della nazione; con lo stesso spirito eroico dei kamikaze, battetevi per il benessere del Giappone e per la pace nel mondo.

 

Con queste parole, provenienti da una lettera del 1945, quando ormai il secondo conflitto mondiale stava giungendo a termine, e le sorti del Giappone apparivano ben chiare, il viceammiraglio Takijirō Ōnishi spingeva i giovani ad arruolarsi nelle unità dell’aviazione militare giapponese chiamate Kamikaze, formate da ragazzi molto giovani, pronti a tutto, destinati alla morte per portare il proprio Paese alla vittoria finale, noncuranti delle scarse o nulle possibilità di successo. Ancora oggi il significato di Kamikaze è spesso associato all’idea di un individuo pronto a tutto, suicida in circostanze estreme. Lo si ritrova spesso, erroneamente, affiancato ad opere di terroristi, fautori di stragi che rappresentano ciò di più lontano al vero significato della parola Kamikaze.

Questo termine ha infatti una valenza strettamente sacra, religiosa; ed il suo significato è da rintracciare nella storia, esattamente in quello che viene oggi definito dagli storici come “medioevo giapponese”.

Il termine in sé, formato dalle parole Kami (神), che significa appunto “divinità”, e Kaze (風), vento, significa infatti “Vento divino” ed ha una storia molto antica. È legato ad un evento avvenuto durante il cosiddetto “Periodo Kamakura”, un momento della storia nipponica che va dal 1185 al 1333. Durante questo periodo infatti, i giapponesi si trovarono a dover contrastare tentativi di invasione da parte di una popolazione allogena proveniente dall’Asia orientale: i mongoli. Quando il nipote di Genghis Khan, Kublai (125-1294), divenuto nel 1260 il sovrano della Grande Mongolia, e detentore di un impero molto vasto che andava dalla Corea, alla Cina settentrionale e a gran parte dell’Eurasia, decise di inviare una lettera al Giappone nella quale minacciava di invadere il paese se non fosse stata riconosciuta la sovranità della Mongolia (alla quale i giapponesi avrebbero dovuto versare dei tributi); le autorità giapponesi, che in quel periodo si dividevano tra il potere della corte imperiale e quello dello shōgunato, un governo militare di tipo feudale che basava le proprie forze su una serie di rapporti di fiducia tra signori locali sparsi in tutto il territorio; ignorarono la richiesta, provocando così una serie di attacchi da parte dei mongoli. Fu proprio durante queste invasioni che si presentò il Kamikaze, il Vento divino.

Kublai inviò infatti circa 900 navi dalla Corea nel 1274, che costrinsero in un primo momento i giapponesi ad arretrare fino a quando non vennero seriamente danneggiate da un violento uragano nel quale molti uomini persero la vita. Gli invasori, ridotti di un terzo, si ritirarono così in Corea, permettendo ai nipponici una tregua che gli permise di prepararsi al meglio in previsione di un secondo attacco; che avvenne infatti nel 1281. Questo secondo attacco fu più serio, ed il Giappone corse allora un pericolo molto grave, ma a causa della scarsa malavoglia e all’indecisione delle truppe coreane inviate da Kublai, insieme alla mancanza di accuratezza per mare, quando queste incontrarono per la seconda volta la forza di un tifone, si trovarono la flotta completamente smantellata. I giapponesi uscivano così per la seconda volta salvi dall’attacco di un nemico molto più forte e preparato. Il ruolo decisivo era stato svolto direttamente dalla volontà divina; dal Vento divino che si era abbattuto sui nemici. Per i nipponici era l’evidenza di avere le divinità dalla loro parte.

Relativamente a queste circostanze è da sottolineare l’importanza dell’elemento sacrale, religioso, all’interno della cultura giapponese. In Giappone infatti, lontano dalla tradizione culturale europea comunemente nota, l’elemento religioso, soprattutto in tempi antichi, entra a far parte di ogni elemento della vita quotidiana. Lo Shintoismo, insieme alle diverse scuole di pensiero buddhista giapponesi, e al confucianesimo, come all’amidismo; per citare alcune delle religioni assai maggiormente presenti in Giappone durante l’antichità, dimostrano come ogni momento della vita veniva scandito da elementi religiosi. Lo Shintō, la Via dei Kami o delle Divinità, in particolare, non avendo né Scritture sacre né dogmi, rappresentava infatti un Culto naturalistico, riconoscendo così ogni essere vivente come rappresentazione di una divinità, i cosiddetti Kami. Questa religione naturalistica, originaria del Giappone, era stata nel tempo assimilata al Buddhismo dal IX secolo, quando questo era stato introdotto nel Paese; ma rimase inestricabilmente legata sia ai costumi sia al modo di pensare e di essere del popolo giapponese; praticato soprattutto nelle campagne e dalla casta guerriera dei samurai. Questo popolo, così fortemente legato alla tradizione “era consapevole dei Kami nel più profondo di sé stesso, comunicando direttamente con loro, senza aver mai dato forma all’idea dei Kami, né come concetto né come teologia”. Da questi presupposti è facile intuire come l’evento del Vento divino, che salvò l’intero Paese dal nemico allogeno, rimase nel tempo nella mente del popolo di Yamato, creando intorno ad esso un’aura di sacralità che giunge fino ai giorni nostri, quando nel momento del bisogno, durante appunto il secondo conflitto mondiale si paragona il sacrificio dei giovani pronti a tutto ad un’opera di divinità protettrici della salvezza nazionale.

I Kamikaze che si sacrificano nel 1945 diventano così testimonianza della tradizione che dal XIII secolo giunge fino ai giorni contemporanei. Immergono la loro azione in un’aura sacrale, testimoniata anche dai nomi che scelgono per le proprie unità di attacco: Unità Shikishima (Isola bella), Unità Yamato (Razza giapponese), Unità Asahi (Sol Levante), Unità Yama-zakura (Fiori di ciliegio selvatico di montagna), sono i nomi che scelsero direttamente da un poema patriottico di Motōri Norinaga del 1700 che appunto così recita:

 

Se mi chiedete cos’è l’anima della razza giapponese della bella isola, rispondo che è come fiore di ciliegio selvatico ai primi raggi del sol levante, puro, chiaro e deliziosamente profumato.

 

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