Good Bye Tito? Memoria e rielaborazione del passato nei Balcani Occidentali: il fenomeno della Jugonostalgia

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Benedetta Giuliani, Roma –

Winston Churchill ebbe a dire che i Balcani producono più Storia di quanto ne possano consumare. Negli ultimi anni i cittadini degli Stati collocati nella parte sud-orientale d’Europa — la porzione dei Balcani occidentali, comprendente Macedonia, Montenegro, Serbia Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo e Croazia — sembrano volersi nutrire di un unico genere di storia, ovvero quella legata alla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.

Dal crollo della Repubblica Socialista, iniziato nel 1981 sotto il peso della crisi economica e conclusosi nel 1992 dopo una sanguinosa guerra civile originata dalle rivendicazioni nazionalistiche di Serbia e Kosovo e dalle spinte secessionistiche di Croazia e Slovenia,  i Balcani occidentali sono rimasti sospesi in una sorta di limbo a cavallo tra Europa e Russia.

 

 

Sebbene alcuni Stati della regione, come Serbia e Montenegro, siano candidati all’ingresso nell’Unione Europea, il processo di integrazione di questi paesi è lento e difficoltoso, complicato dalle debolezze strutturali degli Stati balcanici (disoccupazione, corruzione, scarso rispetto dello Stato di diritto).

In questo clima di stagnazione, il passato socialista è diventato per molti un luogo dove rifugiarsi dalle delusioni del presente. Il concetto di Jugonostalgia esprime precisamente la tendenza a idealizzare e a  rimpiangere la ex-Jugoslavia. Secondo un sondaggio effettuato da Gallup  nel 2017, la Jugonostalgia è estremamente diffusa nei Balcani occidentali.

Sul campione esaminato dall’istituto americano, circa l’81% dei serbi, il 77% dei bosniaci e il 65% dei macedoni sono concordi nel ritenere che la dissoluzione della Repubblica Jugoslava abbia danneggiato i rispettivi paesi. Secondo la storica Radina Vučetić, la Jugonostalgia dev’essere spiegata alla luce delle condizioni presenti:

 

Nulla abbellisce il passato in modo più efficace di un brutto presente […] in fine dei conti si è ben consapevoli di come si viveva ai tempi della Jugoslavia e come si viveva — se parliamo di gente comune che deve arrivare a fine mese con il proprio stipendio […] — sicuramente meglio di come si vive oggi.

 

Nelle sue manifestazioni, la Jugonostalgia non è molto diversa dall’Ostalgie tedesca. Al parti della malinconia germanica verso la DDR, la Jugonostalgia si esprime non solo attraverso la riscoperta dei simboli e dei luoghi del passato socialista, ma anche tramite la loro commercializzazione.

Uno dei tratti distintivi della Jugonostalgia è la riscoperta di Tito e il culto tributato alla sua memoria.

 

 

Ed è appunto attraverso il culto di Tito che si colgono le varie dimensioni alla base di questo fenomeno. Da un lato, il rimpianto per un leader carismatico simbolo di un’epoca in cui gli Stati della Federazione avevano un ruolo internazionale più definito rispetto al presente.

Dall’altro un ritorno al passato inteso a un tempo come riscoperta culturale, occasione di intrattenimento e opportunità commerciali.

 

 

Quest’ultima si traduce nella produzione di souvenir , nell’organizzazione di celebrazioni dedicate a Tito (tra le più famose, la cerimonia che si svolge a Kumrovec, in Croazia, in occasione del compleanno del leader) e nella trasformazione dei luoghi della storia jugoslava in centri di attrazione turistica (come accaduto per la residenza di Tito sul lago di Bled, trasformata in un hotel).

Al di là dei suoi aspetti più folcloristici, tuttavia, la Jugonostalgia può essere considerata espressione di due fenomeni. Il primo fenomeno  è prettamente orientale e accomuna i paesi dell’ex blocco socialista, i Balcani come la Russia, e riguarda la difficoltà ad elaborare la transizione dal socialismo all’economia di mercato.

Il secondo, antico quanto la Storia stessa e ormai sempre più ricorrente e diffuso a livello europeo, concerne invece la tendenza a cercare nell’introflessione nel passato una scappatoia alle insoddisfazioni del presente.