Italicus: eversione in Toscana tra “strategia della tensione” e “strategia della liquidazione”

 

italicus, 3 agosto 1974, strategia della tensione, storia contemporanea, storia d'italia

Clelia Bricca –

̶ “Esplode una bomba sul Roma-Monaco. Morti e feriti in un vagone in fiamme” ̶ : con questo titolo il «Corriere della Sera» apriva la mattina di domenica 4 agosto 1974.

Il 3 agosto l’espresso Italicus 1486 Roma-Brennero partiva alle ore 20.42 da Roma-Tiburtina con centottantadue passeggeri a bordo. Il treno era diretto a Monaco di Baviera, dove però non arriverà mai. Dopo uno scalo a Chiusi giungeva al binario numero undici della stazione di Santa Maria Novella a Firenze, per poi ripartire con un notevole ritardo alla volta di Bologna.

Alle ore 01:17 mentre percorreva l’Appennino tosco-emiliano, all’altezza della Grande Galleria, tra Vernio e San Benedetto in Val di Sambro, il convoglio fu travolto da una violentissima esplosione. Il mezzo, ancora avvolto dalle fiamme, fu condotto dal macchinista fino alla più vicina stazione di San Benedetto in Val di Sambro; apparve subito chiara l’entità dei danni: il bilancio era di dodici morti e quarantotto feriti.

 

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Dopo lo spaesamento iniziale emerse in maniera nitida l’origine dolosa della deflagrazione, fatto confermato dalle successive perizie effettuate che accertarono la presenza di un ordigno posto sotto i sedili del vagone di prima classe.

Se il treno non avesse recuperato alcuni minuti sulla tabella di marcia rispetto all’iniziale ritardo, la bomba (una miscela incendiaria contenente un notevole quantitativo di termite) sarebbe scoppiata nel bel mezzo della galleria e quasi sicuramente nessuno sarebbe sopravvissuto. Ancora oggi non possiamo affermare con certezza quale fosse il reale obiettivo degli ideatori: se la “direttissima”, oppure la stazione di Bologna, città che nel corso degli anni sarebbe stata più volte obiettivo di gruppi estremisti.

Le indagini si indirizzarono infatti verso uno dei gruppi eversivi di matrice neofascista che operava sul territorio toscano e l’8 maggio 1976 fu emesso un mandato di cattura nei confronti di Mario Tuti ed alcuni suoi sodali: i reati contestati erano quelli di delitto di strage al fine di attentare alla sicurezza dello Stato, omicidio e partecipazione ad azione sovversiva con l’aggravante della continuità nel tempo.

Tuti era un geometra empolese impiegato presso il comune della stessa città: iscritto alla sezione pisana del MSI fino al 1974, mai prima di allora era finito nel mirino delle autorità.

 

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Mario Tuti

 

Una delle prove confluite nell’istruttoria del G.I., Angelo Vella, per il caso Italicus era un documento rinvenuto durante la latitanza dell’empolese, da lui stesso redatto sotto forma di autointervista, nel quale si definiva capo militare e politico del gruppo Fronte Nazionale Rivoluzionario, operante con obiettivi di ribaltamento degli equilibri democratici:

 

  1. Quali mezzi, e metodi si propone di usare, ed ha già usato, per raggiungere i suoi scopi?
  2. Tutti i mezzi, dall’attentato terroristico alla psicodinamica che la storia ha dimostrato utili per la vittoria di una minoranza consapevole e attiva sulla massa abbruttita da trent’anni di mal governo e corruzione. [Sentenza di rinvio a giudizio “Italicus”, 31 luglio 1980]

 

Ma il FNR non pareva essere l’unica cellula nera ad agire in Toscana in quegli anni: Ordine Nero era una sigla che poteva vantare un ampio margine di azione nella regione, grazie alla perizia dei suoi membri tra i quali spiccava una figura come quella dell’aretino Augusto Cauchi. Il ruolo di questi nell’economia dei fatti di quegli anni è tutt’oggi difficilmente decifrabile ma sappiamo avere intrattenuto legami diretti con esponenti della politica locale, con le Forze dell’Ordine e soprattutto con il capo della P2 Licio Gelli.

 

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Licio Gelli

 

Dai rilievi effettuati sui resti del treno Roma-Brennero emerse che il materiale isolante impiegato nell’innesco era del medesimo tipo di quello rinvenuto pochi mesi prima sulla stessa linea ferroviaria all’altezza di Vaiano. Qui il 21 aprile esplose un potente ordigno che portò alla distruzione di venti metri di binario. Solo l’attivazione del sistema di allarme, che indusse il macchinista a fermare il treno “Palatino” transitante sulla linea, permise di evitare il disastro. A essere inquisiti per mancata strage furono proprio dei membri di Ordine Nero.

Nel corso delle indagini vennero a galla numerosi elementi di contatto fra le due organizzazioni FNR e Ordine Nero e, inoltre, fra queste e il nucleo milanese di Ordine Nero con a capo Giancarlo Esposti  ̶ che si ritiene avere avuto un ruolo di primo piano nell’organizzazione dei fatti di Piazza della Loggia (28 maggio 1974) ̶  : l’immagine restituita era quella di un panorama eversivo assai fluido caratterizzato da una continua transizione di personaggi, idee e risorse. La vicenda sembrava così assumere dei contorni più nitidi e portava a ritenere non irrealistica l’ipotesi secondo cui la campagna dinamitarda che aveva colpito il centro-nord della Penisola tra il 1973 e il 1975 rappresentava l’atto finale di un medesimo progetto destabilizzante:

 

“[…] un ben delineato programma [per] scardinare lo stato attraverso l’attacco a Istituzioni, […] a semplici cittadini su cui esercitare concretamente e coi fatti delittuosi un terrore diffuso e indiscriminato” [Sentenza di rinvio a giudizio “Attentati Toscani”, 14 marzo 1987].

 

Sopra abbiamo accennato al fatto che Mario Tuti nel corso della sua militanza aveva mantenuto sempre un basso profilo: forse proprio questo atteggiamento gli garantì rapporti privilegiati con le alte gerarchie di Ordine Nuovo come Clemente Graziani, Paolo Signorelli o Pierluigi Concutelli e di Avanguardia Nazionale come Stefano Delle Chiaie.

ON e AN erano le due sigle storiche della destra estrema extraparlamentare: la prima nacque nel 1954 ad opera di Pino Rauti all’interno del Movimento Sociale Italiano, partito da cui poi fuoruscì pur non recidendo mai concretamente i legami; la seconda prese vita nel 1959 con il distaccamento da ON per volere di Stefano delle Chiaie ed altri militanti.

 

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I due gruppi però negli anni Settanta  ̶ prima Ordine Nuovo nel 1973, poi Avanguardia Nazionale nel 1976 ̶   venivano sciolti per ricostituzione del PNF per mano della magistratura romana; quella magistratura che fino a quel momento si era dimostrata assai tollerante nei loro confronti. Dopo tali provvedimenti, nel corso della metà degli anni Settanta, gli ambienti della destra neofascista erano in piena mobilitazione e cercavano di riunire il fronte sotto nuove sigle clandestine in nome di un rinnovato progetto comune.

L’esistenza di contatti tenuti con continuità fra i capi delle cellule toscane e la vecchia guardia neofascista di ON e AN portava a ritenere che Ordine Nero e il Fronte Nazionale Rivoluzionario costituissero delle sigle dall’esistenza più o meno effimera di diretta filiazione dei gruppi storici:

 

Ordine Nero, Potere Nero, SAM [Squadre d’azione Mussolini], Fronte Nazionale Rivoluzionario ecc… nomi usati di volta in volta dalle medesime persone per attività similari o di formazioni accomunate dalle medesime finalità politiche” [Sentenza di rinvio a giudizio “Ordine Nero”, 21 giugno 1976].

 

Sembra quindi chiaro che la catena di stragi e attentati succedutisi nel 1974 trovi un posto all’interno di quello schema che viene definito “strategia della tensione”.

Dinamiche occulte, decifrabili solo se inserite entro un contesto di Guerra Fredda, Est –Ovest, ma anche in una logica di conflitto Nord-Sud, per il controllo delle risorse nel Mediterraneo (visto i cospicui interessi geopolitici che personaggi come Aldo Moro o Giulio Andreotti nutrivano in quell’area oltre che in Medio Oriente). In tale stato di cose alcuni segmenti delle istituzioni, delle Forze Armate e della finanza si resero disposti ad agire attraverso ogni mezzo  ̶ come dichiarato nel maggio 1965 nel convegno organizzato dall’Istituto Pollio ̶  per difendere il sistema che aveva preso vita a Yalta; ora che, con un PCI sempre più forte, il “pericolo rosso” sembrava essere alle porte.

La vera natura di questo progetto, nonostante i tentativi iniziali di fare ricadere la colpa sulle sinistre, fu però precocemente intuita da numerosi settori della società civile, perlomeno dai più illuminati:

 

“Chi sono questi personaggi che nell’Italia d’oggi sfidano da soli la comunità repubblicana […] Evidentemente, […] essi sono tutt’altro che soli. […] Hanno dietro di sé, addirittura, una parte dello Stato: altrimenti la loro avventura non durerebbe un secondo”. [Livio Zanetti, L’Espresso, 11 agosto 1974].

 

È impossibile non riconoscere il ruolo chiave giocato dalla destra radicale nelle trame destabilizzanti  ̶ soprattutto a livello di responsabilità materiali̶  che percorsero la Repubblica dalla sua nascita. Ciò nonostante l’avere legato per molto tempo non solo l’attività, ma anche l’esistenza dell’estremismo neofascista alla dipendenza dalle covert actions, nazionali e internazionali, negandole una propria autonomia politica, ha spesso contribuito a rallentare lo stato della ricerca storica attorno alla questione. Le interpretazioni “dietrologiche”, che ritraggono le cellule neofasciste solamente come marionette in mano ai cosiddetti “burattinai”, non sono sufficienti a spiegare nella sua totalità il fenomeno eversivo.

Tuttavia proprio il 1974, l’anno in cui la campagna dinamitarda raggiunse la sua acme, si ritiene avere segnato il passaggio ad una evoluzione nelle trame dei cospiratori. Già nel 1973 si era consumato un mutamento nel panorama politico internazionale in seguito alle nuove politiche adottate dall’amministrazione americana  ̶  soprattutto dalla CIA  ̶  dopo le dimissioni del presidente Richard Nixon.

Si passava ora da una strategia golpista classica, mirante ad erodere le istituzioni democratiche facendo perno sull’uso indiscriminato della violenza, ad una che andava utilizzando sistemi quali la corruzione o l’infiltrazione nei gangli della politica e che coinvolgeva nuovi attori come la massoneria di Licio Gelli. Secondo questa interpretazione  ̶  elaborata in sede di Commissione Parlamentare  ̶  il picco degli episodi di matrice terroristica del 1974 non rientrerebbe più all’interno dei disegni della “strategia della tensione”, quanto piuttosto costituirebbe il colpo di coda di un piano ormai abbandonato dai suoi “ideatori”, ma a cui continuavano a rimanere fedeli gli “esecutori”.

Il primo atto del “nuovo corso” prevedeva la liquidazione della ormai troppo pretenziosa e fuori controllo manovalanza neofascista: a tal fine era necessario far salire la tensione fino al punto di non ritorno, sfruttando e fomentando questo continuum di violenza. Con tale tattica si riuscì a silurare la base senza mai recidere i legami con i vertici, ai quali anzi ora veniva offerta un’altra parte nei rinnovati disegni eversivi.

La politica del “doppio livello” quarantacinque anni fa a San Benedetto in Val di Sambro lasciava dietro di sé l’Italicus con il suo carico di dodici morti; morti che ispirano “pietà indignata che non si può fare a meno di provare di fronte a chi è stato adoperato come mezzo iniquo per un fine ingiusto[Alberto Moravia, Corriere della Sera, 05 agosto 1974]; vittime “di chi [come gli esecutori] crede in buona fede di essere un discepolo di Nietzsche di cui ha fatto una lettura parodistica” e di chi [come i mandanti]“ignora d’essere un discepolo di Machiavelli che non ha mai letto” [Alberto Moravia, L’Espresso, 11 agosto 1974].

LE LETTURE CONSIGLIATE:

  • Biscione Francesco M., Il sommerso della Repubblica. La democrazia italiana e la crisi dell’antifascismo, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.
  • Bolognesi Paolo, Scardova Roberto (a cura di), Italicus: l’anno delle quattro stragi, 1974, Urbino, EIR, 2014.
  • Ferraresi Franco, Minacce alla democrazia, Milano, Feltrinelli, 1995.
  • Fasanella Giovanni, Sestieri Claudio, Pellegrino Giovanni, Segreto di Stato: la verità da Gladio al caso Moro, Torino, Einaudi, 2000.
  • Innocenti Luca, Italicus: la bomba di nessuno, Città di Castello, Fuorionda, 2013.
  • Guzzo Domenico, Quadretti Alessandro, 4 agosto 1974: Italicus, la strage dimenticata, Forlì, Officinemedia Soc. Coop, 2011. [Documentario].