Il matrimonio in età tardo antica, un istituto fluido e composito: un caso di studio tra verità e anacronismi

Gaetano Colantuono, Roma –

Nel dibattito storiografico sulla tarda antichità, la sfera matrimoniale appare poco frequentata. Eppure, le trasformazioni e le continuità sociali di quei secoli vanno osservate anche mediante tali argomenti. Ricostruire, d’altra parte, una storia del matrimonio nel Mediterraneo tardoantico è possibile prevalentemente sulla base di fonti epigrafiche funerarie, letterarie e tratte dai testi normativi (documenti giuridici, patristici e conciliari).

In un’ottica multidisciplinare, la tematica matrimoniale appare complessa, poiché – come la migliore ricerca ha evidenziato da tempo – non esisteva una sola realtà matrimoniale. La stessa concezione di un’univoca tipologia coniugale tardoantica, che ha informato larga parte degli studi (e in parte vi è ancora presente), è un anacronismo legato al matrimonio come si è andato sviluppando nelle società urbane occidentali di età contemporanea.

Il Mediterraneo tardoantico, erede del mondo ellenistico-romano e laboratorio delle profonde trasformazioni altomedievali, ci squaderna invece una realtà composita sul piano socio-giuridico e in continua evoluzione in relazione alla pluralità di influenze.

 

 

In questa dimensione matrimoniale bisogna non solo considerare la tipologia degli iusta matrimonia (unioni legittimate sul piano giuridico), ma anche volgere lo sguardo ad una sfera delle unioni più vasta e complessa, corrispondente alle varie relazioni non matrimoniali, come testimonia la vasta casistica del concubinato anche con persone libere e dei contubernia con appartenenti al mondo servile. Queste differenti unioni sono riconducibili prevalentemente a ragioni socio-giuridiche. Con questo quadro plurale (iustum matrimonium e altre tipologie di unione) anche l’azione normativa e pastorale delle chiese antiche dovette confrontarsi.

In tal senso, questa storia disgregata testimonia una società segnata da antiche e nuove divisioni e disuguaglianze. Restano, infatti, le divisioni “classiche” in classi e di genere e quelle “gaiane” fra cittadini e stranieri, fra individui alieni iuris o sui iuris, nonché quella fondante fra liberi e schiavi, che sono trasmesse lungo l’epoca imperiale.

 

 

Dopo l’estensione della cittadinanza romana nel 212 d.C., il quadro delle divisioni socio-giuridiche, più che semplificarsi, andò articolandosi, come testimonia proprio il caso delle proibizioni matrimoniali e dello statuto dei nati, per l’affermarsi della marcata distinzione fra honestiores e humiliores e fra corporati e extranei (ossia sulla base del vincolo o meno ad un mestiere). Molta manodopera agricola subiva, nel mentre, una generale equiparazione para-servile cui siamo soliti dare il nome di colonato.

Resta aperto il dibattito sul ruolo, in tale evoluzione, della cristianizzazione dell’impero romano e sul parallelo inserimento delle strutture ecclesiastiche nel sistema imperiale negli sviluppi della sfera matrimoniale. Decisiva è l’interpretazione dei canoni conciliari emanati nei secoli IV e V, specifica forma di testi normativi delle chiese cristiane che a più riprese intesero regolamentare il matrimonium e le altre forme di unioni allora conosciute.

Si affermano nuove tendenze come la scelta di non sposarsi e nuovi divieti matrimoniale, fra cui assume particolare rilievo (come ha sottolineato il Delille) quello fra cognati per via dei suoi effetti nella creazione di un “sistema matrimoniale cristiano”. Si sviluppa, inoltre, il tema delle unioni interreligiose, ossia fra appartenenti a gruppi religiosi differenti.

 

 

Canoni e esortazioni pastorali, nel documentare i processi e i limiti della cristianizzazione tardoantica, non intervenivano in un “vuoto pneumatico”, poiché la legislazione imperiale (copiosa in materia matrimoniale fra Diocleziano e Giustiniano) e la selezione giurisprudenziale, riversate prima nelle codificazioni ufficiali e poi in quelle dei regni romano-germanici, costituivano, assieme al codice morale della propria classe, il livello principale di definizione giuridica e sociale delle questioni.

Per i Cristiani, abitanti e cittadini dell’impero o dei successivi regni, si trattava di rispettare – verrebbe da dire, “barcamenarsi fra” – questo duplice piano, che si intersecava con le regole del proprio codice sociale, senza trascurare eventuali costumi etnici o civici.

È così possibile ribadire a fortioribus che una storia del matrimonio e della famiglia basata sulle sole fonti normative (conciliari, così come anche giuridiche) risulterebbe insufficiente ed inadeguata; analogamente risulta problematica la delineazione dello scarto fra prescritto e vissuto.

 

Diocleziano

 

D’altra parte, anche l’analisi di fonti conciliari sembra smentire le ricostruzioni per cui vi sarebbe stato in epoca più o meno precoce un “matrimonio cristiano” (o canonico) consapevolmente contrapposto ad un “matrimonio pagano”, per via di una sistematica affermazione di pratiche, concezioni ed istituti specificamente e originariamente cristiani, secondo un approccio che si può definire essenzialistico.

Il matrimonio, d’altra parte, era – e rimase – una questione familiare, di cui non vanno trascurati gli aspetti economici (la dote e le donationes propter nuptias) e sociali. Quella domestica resta ancora nella tarda antichità la principale (se non unica) dimensione in cui si svolgono le varie tappe di un’unione matrimoniale (a cominciare dai riti di fidanzamento, gli sponsalia) anche all’interno delle comunità cristiane.

Ciò vale ancor più per le forme di unione non matrimoniale, concubinato e contubernium: la loro sostanziale invisibilità nei canoni e nelle iscrizioni dei Cristiani in realtà va intesa come evidente sottorappresentazione rispetto alle situazioni reali. Ne consegue che le Chiese non sottrassero questa funzione – così importante sul piano sia “privato” che pubblico – alle famiglie.

 

Lawrence Alma-Tadema – Ask Me No More, 1906

 

Un’ulteriore conseguenza pare imporsi: le pratiche sociali legate al matrimonio non sembrano aver avuto valore decisivo nella costruzione di una precoce e specifica “identità” religiosa ancora fino al pieno V secolo. Le scritture normative (conciliari e giuridiche) sembrano attestare che, nel campo del matrimonio e della vita familiare, anche nelle comunità cristiane durante la tarda antichità, si sia mantenuta una larga sfera profana.

Occorre, infine, uscire da una visione sia “personalistica” sia “individualistica” dell’uomo romano (e “modernizzante” della donna romana) – anch’essa anacronistica. Siamo in un mondo largamente “altro”, premoderno. Un “trapassato prossimo”. Come un’ombra la società imperiale e tardoantica è segnata dalle disuguaglianze (o dipendenze) anche estreme ed esse attraversano anche la morale sessuale e la sfera matrimoniale e familiare che si presenta alquanto composita e fluida.

LETTURE CONSIGLIATE

A. Arjava, Women and Law in Late Antiquity, Oxford, 1998.

G. Colantuono, Unioni tardoantiche. Documenti conciliari e giuridici per una storia sociale del matrimonio nella tarda antichità, Aracne editrice, Roma 2018.

G. Delille, L’economia di Dio. Famiglia e mercato tra cristianesimo, ebraismo, islam, Roma, 2013.

F. De Martino, Storia della costituzione romana, 6 voll., Napoli 1972-1990.

J. Gaudemet, L’Église dans l’Empire romain (IVe-Ve siècles), Paris 1958.

M. Humbert, Le remariage à Rome. Étude d’histoire juridique et sociale, Milano 1972.

C. Munier, Matrimonio e verginità nella chiesa antica, tr. it., Torino 1990.

P. L. Reynolds, Marriage in the western Church. The Christianization of marriage during the Patristic and early Medieval periods, Leiden 1994.

K. Ritzer, Le mariage dans les Églises chrétiennes du Ier au XIe siècle, tr. fr., Paris 1970.

A. Rousselle, Sesso e società alle origini dell’età cristiana, tr. it., Roma-Bari 1985.

P. Veyne, La famille et l’amour sous le Haut-Empire romain, in “Annales. ESC” 33 (1978), pp. 35-63.