The iceberg theory: sincerità e omissioni in letteratura, da Hemingway a Blok

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sive

Modestissimo gradus ad Parnassum dedicato alla memoria di Ezra Pound,
“lo mio maestro e ‘l mio autore”

Francesco Zevio, Padova –

Avviene di tanto in tanto che uno scrittore riesca a dire schiettamente e con chiarezza qualcosa di autentico, qualcosa di vero ed essenziale a proposito del suo mestiere – che è un mestiere terribilmente stimolante e complesso. Uno dei compiti degli altri scrittori, nell’attesa e nella costante disciplina necessarie per riuscire anch’essi a dire qualcosa di autentico e vero, è quello di non permettere che questi rari tesori di sincerità vengano sommersi dalle badilate di insensatezze retoriche, sproloqui egotisti e pietosi cliché che una folta schiera di individui è più o meno quotidianamente costretta a sfornare per tirare a campare o alimentare il proprio ego. Fare in modo che non vengano sommersi: dunque farli riemergere e lasciarli splendere.

Uno di questi tesori lo troviamo al capitolo XVI di Death in the Afternoon, uno strano libro dello scrittore americano Ernst Hemingway. Il contenuto essenziale della ‘poetica’ tratteggiata verso la fine di questo capitolo, è stato riassunto nel termine iceberg theory, per il fatto che lo scrittore americano vi associ proprio l’immagine del grande blocco di ghiaccio. Riportiamo il passo come tradotto nel volume Mondadori:

 

Se un prosatore sa bene di che cosa sta scrivendo, può omettere le cose che sa e il lettore, se lo scrittore scrive con abbastanza verità, può avere la sensazione di esse con la stesa forza che se lo scrittore le avesse descritte. Il movimento dignitoso [dignity of movement] di un iceberg è dovuto al fatto che soltanto un ottavo della sua mole sporge dall’acqua (p.777)

 

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L’ingrediente principale resta comunque e in ogni caso la verità, la sincerità – che sola permette a questa opera di omissione di avere un qualche effetto positivo. In caso contrario, come specifica lo stesso autore poco più avanti: “Uno scrittore che omette le cose perché non le conosce, non fa che lasciare dei vuoti nel suo scritto”. Questo ingrediente è uno dei fattori essenziali per ottenere quella che Hemingway definirà, in un altro suo libro, “that kind of writing that can be done,” traducibile in quel tipo di scrittura che può essere raggiunto, o altrimenti detto:

 

[…] fin dove può arrivare la prosa se uno fa sul serio e ha un po’ di fortuna […] ci vogliono troppi fattori. Innanzi tutto talento, molto talento, del tipo di quello che ebbe Kipling; poi disciplina, una disciplina alla Flaubert; e bisogna avere bene in mente quel che ha da essere, e una coscienza assoluta e immutabile come il metro campione di Parigi, per prevenire ogni truffa [to prevent faking]; infine lo scrittore dev’essere intelligente e disinteressato, e soprattutto saper durare (p.1114-1115)

 

I 7/8 dell’iceberg che non si vedono, sono precisamente il vissuto dello scrittore: ovvero la risultante di quanto egli abbia esperito e di come egli l’abbia rielaborato, secondo la propria cultura e sensibilità.

 

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Un saggio magistrale di tutto ciò, applicato invece alla scrittura di poesia, si ha confrontando alcune delle più tragiche pagine dal diario di Aleksandr Blok, come riportate in una sua antologia a cura di A. M. Ripellino, con alcune delle liriche più forti e toccanti del poeta russo. Tuttavia, per motivi di brevità, mi limito qui a prenderne in considerazione soltanto una. Il testo è il seguente:

 

Notte, strada, fanale, farmacia,
una luce appannata, senza senso.
Se pure ancora vivrai per vent’anni
sarà sempre così. Nessuno scampo.

Tu muori, muori e rinasci ancora,
e tutto accadrà, di nuovo, come allora…
gelido incresparsi del canale,
notte, farmacia, strada, fanale.

 

Quanto è stato omesso, quanto è stato dolorosamente taciuto per giungere a distillare questi versi… per far sì che essi risultino tanto nitidi e netti, tragici e possenti! Chi abbia una certa esperienza e familiarità con la lettura di versi, sa bene che la lirica – in particolare – e la poesia – in generale – richiedono all’artista una perfetta applicazione di questa arte dell’omettere, la stessa arte di cui Hemingway scrisse a proposito della prosa. Ovviamente, quelle cose che a noi qui interessano sono l’autentica lirica e l’autentica Poesia: non un repertorio di sentimenti brevettati, con annesse formule e lessico e casistiche… e la Poesia, se da una parte richiede all’artista il grado di tecnica necessario a ché ars arte lateat, a ché l’arte sia occultata dall’arte, per dirla come Ovidio; dall’altra impone all’uomo di sviluppare una apertura quanto più autentica ed individuale possibile, nei confronti dei fatti della vita e l’esistenza – apertura che traduce letteralmente, e che potrebbe altresì idealmente richiamare il concetto di Erschlossenheit del pensiero heideggeriano.

 

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Voglio ora concludere riportando le pagine dal diario di Blok (p.222) che testimoniano di quei 7/8 che, nella lirica precedente, non affiorano in superficie. L’ottavo emergente deve solo essere ciò che, per tramite dell’alchimia poetica, permetta a chi abbia in qualche misura condiviso simili esperienze con una simile sensibilità, di accedere e percepire il taciuto. Voce a Blok:

 

10 Novembre 1911: […] un freddo tagliente, tutti i bracci della Nevà sono colmi, è notte dovunque, come alle sei di sera, così alle sei del mattino, quando rientro a casa. Il giorno è perduto, s’intende. Un bagno, una camminata, qualcosa duole nel petto, si ha voglia di gemere, perché questa notte perenne conserva e decuplica sempre lo stesso sentimento – sino alla pazzia. Si ha quasi voglia di piangere.

28 Febbraio 1912: Passeggiate serali per lugubri luoghi, dove i teppisti fracassano i lampioni, ti si appiccica un cucciolo, sono finestre appannate. Viene una bimba, ansimando come un cavallo: è tisica, è chiaro: soffoca dalla tosse sorda, fa qualche passo, si piega… mondo terribile.

24 Marzo 1912: Ieri vicino a una casa […] i portieri schernivano un topo ferito. Era stato forse abbrancato per la testa da una gatta o da un cane. Ora fugge, cercando di appiattirsi contro un grumo di neve, ora cade su un fianco. Dissemina gocce di sangue. Non ha dove andare. Mi immagino i suoi occhi.

 

LE LETTURE CONSIGLIATE:

  • E. Hemingway, Romanzi, Mondadori, Milano, 1992
  • A. Block, Poesie (nella traduzione di A. M. Ripellino), SE, Milano, 2016