Per fare una rivoluzione non bastano le armi da fuoco: guerre ed eserciti nell’età moderna

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Denis Mertens il Giovane, La battaglia della Poltava, 1726

Paolo Perantoni, Verona –

Guerre ed eserciti nell’età moderna è il secondo volume di una nuova serie di libri edita da Il Mulino e che rientrano nella collana “Biblioteca storica”. La raccolta, chiamata Guerre ed eserciti nella storia, è a cura di Nicola Labanca e si promette di indagare il modo di fare la guerra attraverso i secoli, in particolare nella penisola italiana, secondo il tradizionale schema ripartito delle età (antichità, medioevo, modernità, contemporaneità – qui abbiamo parlato del volume sul Medioevo).

Questo particolare volume, curato da Paola Bianchi e Piero Del Negro, ha il difficile compito di sondare un lungo e complesso periodo che, secondo una visione ormai accettata, ha visto una trasformazione radicale del modo di concepire e di fare la guerra dovuto all’introduzione sui campi di battaglia delle armi da fuoco (Parker, 1988).

 

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Per restituire la complessità del periodo e dell’argomento, i curatori hanno scelto di inserire in questa raccolta di saggi dieci pregevoli studi compiuti da altrettanti affermati studiosi italiani, i quali, a loro volta, si sono voluti approcciare al fenomeno partendo da diversi punti di vista.

Alle classiche analisi sui mutamenti degli eserciti e delle architetture militari, infatti, fanno da contraltare alcuni interessanti studi nel campo della storia della lingua, dell’economia, della teologia e del diritto internazionale. Chiude il volume un semplice apparato cartografico, chiaro ed essenziale.

Come si è accennato, un’indagine incentrata sulla guerra in età moderna non può non risentire dello studio di Geoffrey Parker intitolato La rivoluzione militare. Le innovazioni militari e il sorgere dell’Occidente (1988). Lo storico inglese, riprendendo una felice espressione degli anni ‘50 di Micheal Roberts, individua nella rivoluzione militare la chiave della supremazia europea sul resto del mondo: una supremazia che si sarebbe mantenuta almeno fino al 1914.

La tesi di Parker ruota attorno all’introduzione delle armi da fuoco sui campi di battaglia europei, ed in particolare: la comparsa del moschetto e la successiva modifica delle tattiche e delle strategie imperniate sulla fanteria, che portarono alla lenta ma inesorabile scomparsa della cavalleria nobiliare; il miglioramento della costruzione e della balistica dei cannoni e del loro rapido spostamento, che avrà il suo apice nel Settecento in particolare con gli eserciti napoleonici; la progettazione di nuove fortezze e di cittadelle de facto inespugnabili (spesso usate nel doppio ruolo di sorvegliare e punire la popolazione); e infine la nascita e lo sviluppo dell’artiglieria navale, che sancì il dominio occidentale anche nei mari aperti.

Ma il possesso di tecnologia da solo non è sufficiente per mantenere il predominio, specie sul lungo periodo (si pensi al caso della Svezia di Gustavo Adolfo): occorrono approcci politici e strategici che ben si sposino con l’apparato militare che si è messo in piedi. Per Parker, ad esempio, l’Impero Ottomano era deficitario proprio nell’apparato amministrativo-burocratico, oltre che nelle infrastrutture economiche, tanto da non riuscire a sostenere la corsa espansionistica nei confronti dell’Occidente.

La dimensione economica è ben presente anche in questo nuovo volume, in particolare il saggio di Michele Maria Rabà è molto attento a sviscerare l’annosa questione di come mobilitare le risorse economiche per mantenere il numero degli effettivi di un esercito. Un numero, questo, che era in realtà in continuo mutamento, in un pericoloso gioco d’equilibrio tra l’espansionismo (territoriale ed economico) e il dissesto finanziario, che sovente costrinse i regnanti europei ad operare forti tassazioni – utilizzando le forze militari come elemento coercitivo – con ricadute economiche e sociali, sia in negativo che in positivo.

La guerra, infatti, poteva altresì dare la spinta necessaria per rinnovare le conoscenze tecnologiche, modificare le strutture amministrative, dare nuovi impulsi all’imprenditoria privata, in quella che Paola Bianchi definisce come “una continua osmosi fra militare e civile”.

Secondo Parker il miglioramento delle condizioni sociali, frutto (anche) delle conquiste territoriali e della conseguente apertura di nuove rotte commerciali, avrebbe spinto l’Europa a un nuovo boom demografico, il quale a sua volta avrebbe pure permesso un aumento degli effettivi dell’esercito in grado di assicurare quel divario militare sufficiente all Vecchio Continente per primeggiare sul resto del mondo per quasi quattro secoli.

Il testo di Parker ha fatto, come si suol dire, scuola, ma non è scevro da critiche a partire dalla dicotomia occidente-oriente che è stata messa fortemente in discussione dagli storici nei recenti anni. Anche in questo nuovo volume giunge una critica puntuale – e a nostro parere corretta – nel saggio di apertura a firma di Luciano Pezzolo che non a caso si intitola Una rivoluzione militare europea?

Lo storico di Ca’ Foscari, con dovizia di esempi tratti dalla storia militare cinese, coreana e giapponese, va a colpire l’analisi di Parker, tacciandola di eccessivo eurocentrismo.

Analogamente a quanto stava succedendo in Europa, sostiene Pezzolo, anche in alcune aree dell’Eurasia si stavano verificando le stesse condizioni di cambiamento previste dal modello parkeriano. L’analisi di Pezzolo dilata quindi i confini spazio-temporali di Parker arrivando a una rivoluzione euro-asiatica, restituendo una realtà storica frutto (anche) di incontro e non solo di scontro tra Europa e resto del mondo.

Ma sia in Cina che in Giappone, nonostante l’introduzione delle medesime tecnologie militari, non si assistette a quei significativi mutamenti generali – nell’economia quanto nella società – che avvennero invece in Europa. Per Pezzolo si deve quindi imputare al contesto economico e istituzionale, più che a quello militare, il fattore scatenante del cambiamento.

 

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Illustrazione della Battaglia di Breitenfeld (1631)

 

 

Purtroppo anche l’analisi di Pezzolo accenna solamente alle Americhe e all’Africa, che meriterebbero una maggiore attenzione anche alla luce di quelle forme – più o meno vincenti – di incontro-scontro con l’Europa nel corso della modernità.

È la piccola critica che muoviamo a questo ottimo volume: ancora una volta ci troviamo dinanzi a una disamina eurocentrica, e per certi versi italocentrica, ma capiamo che debba rispondere ad esigenze di “serialità” che l’opera, presa nella sua totalità, richiede.

D’altro canto l’accurata bibliografia, spesso “ragionata”, ha il grande pregio di indicare una via tra gli studi di storia militare che, sebbene non possano da soli spiegare la grande questione della supremazia occidentale in età moderna, hanno il merito di allargare il campo dell’analisi storica, fornendo ulteriori chiavi di lettura sui tanti e complessi aspetti che definiscono l’argomento.

 

P. Bianchi-P. Del Negro (a cura di)
Guerre ed eserciti nell’età moderna
Il Mulino, Bologna 2018
pp. 416

 

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