“Guerre ed eserciti nel Medioevo”: primo passo verso una riscoperta della storia militare

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Giuseppe Catterin, Venezia –

Nell’immaginario comune, la prassi bellica medievale si basa indissolubilmente sulla figura del cavaliere. In sella al suo destriero, armato di tutto punto, al fiabesco protagonista di questo idealtipo di realtà storica è prescritto di risolvere le battaglie da solo. La vittoria si ottiene, dunque, sfidando e sconfiggendo i milites avversari in singolar tenzone, archetipo dello scontro sì cruento, ma che comunque presenta un profondo codice etico, necessario a mitigarne gli eccessi così da ricondurlo nell’alveo di una presunta guerra combattuta in maniera “educata”.

A tale visione, alimentata da un filone romantico lungi dal definirsi completamente esaurito, si può comodamente affiancarne una seconda, che vede nell’arte militare dell’Evo di mezzo un chiaro regresso rispetto a quella dell’Età antica. A tal proposito, basti pensare a tutti quei paragoni che si ostinano a mettere in relazione le compatte falangi di ellenica memoria o le ordinate schiere romane agli eserciti che calcarono i campi di battaglia durante la temperie medievale. Questi ultimi vengono puntualmente descritti come masse di uomini indisciplinati, animati più dalla passione che da una qualsivoglia forma di raziocinio o esempio, seppur primitivo, di tattica.

Questo e altri miti vengono puntualmente sgretolati all’interno di Guerre ed eserciti nel Medioevo, primo volume di una collana curata dalla casa editrice Il Mulino e pubblicato entro la collana “Biblioteca storica”. Le 360 pagine che compongono il libro costituiscono il punto di partenza di un percorso d’indagine, che porterà il lettore alla riscoperta della storia militare, concentrandosi – come programmaticamente ricordato da Nicola Labanca, curatore di questa serie – sullo studio del “rapporto millenario degli italiani con la guerra”.

 

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Studio che, tuttavia, rigetta il postulato che concepisce la storia militare come una mera narrazione di scontri o un enciclopedico susseguirsi di fatti d’arme, scanditi con quell’algida precisione peculiare della histoire-battaille. L’analisi che anima il volume si prefigge, piuttosto, l’obiettivo di contemplare una visione più ampia del fenomeno bellico, che ne abbracci le innumerevoli sfumature quanto tutte le possibili e potenzialmente infinite declinazioni.

La ricerca consta, dunque, di contributi che spaziano dalla poliorcetica alla storia materiale, cui è destinato uno spazio significativo, curato da Fabio Romanoni e necessario a enunciare i processi produttivi che forgiarono armi e armature. Seguendo un filone d’indagine che si manifesterà più compiutamente nel libro destinato alla storia militare dell’Età moderna, gli aspetti economici legati al mantenimento degli eserciti sia in pace, quanto in guerra, sono esaminati da Laura Bertoni. Ampliando la tesi del Settia, che vedeva nel soldato l’icastica figura dell’“allegro predone”, la studiosa vaglia attentamente il riflesso fiscale ed economico della prassi bellica, approfondendo le risposte che le realtà statuali medievali – Communi, Regnum e primi “stati regionali” – si diedero per affrontare i costi vieppiù crescenti di eserciti sempre più strutturati.

Particolare pregio, infine, lo riveste l’interessante finestra aperta sugli scontri navali condotti in età medievale, analizzati da Antonio Musarra con grande perizia di esempi tratti dalle cronache coeve. Lo storico genovese, inoltre, espone chiaramente alcuni aspetti peculiari la guerra navale, quali le tipologie di legni utilizzati o le tecniche adoperate durante gli scontri.

Il secondo leitmotiv riscontrabile nel libro va rintracciato nella “sfida” apertamente lanciata al luogo comune precedentemente riscontrato – e, va detto, abbastanza consolidato – di vedere nel lungo millennio medievale un periodo di prolungato ristagno tecnico e culturale, la cui stasi si manifestò anche nella sfera militare. In realtà, come sapientemente dimostrato nei saggi di Fabio Romanoni e Fabio Bargigia, la temperie medievale riuscì a concepire una tipica “cultura militare”, che seppe giovarsi sia di forme di sapere “pratico”, incarnato dagli innumerevoli ingegneri che sciamarono lungo la Penisola, e sia di esempi più “teorici”, grazie alla formulazione di appositi trattati militari, che riuscirono ad aggiornare la ricca tradizione classica alle mutate esigenze dei tempi.

Ed è forse con queste caratteristiche chiavi interpretative che va affrontata la lettura di un libro che mostra il grande merito di presentare la guerra medievale come fenomeno umano e, pertanto, da analizzare a tutto tondo, così da comprenderne pienamente i processi evolutivi e i cambiamenti intercorsi anche nella struttura sociale delle singole città. Su questa direzione si muovono i contributi dei due curatori del volume, Aldo A. Settia e Paolo Grillo.

Grazie a una consueta chiarezza contenutistica, che contraddistingue lo stile di entrambi gli storici, il contributo, scritto a quattro mani, illustra chiaramente la graduale trasformazione delle istituzioni militari lungo una forbice temporale che abbraccia le soglie dell’Età moderna. Particolarmente interessante risulta essere l’analisi del processo di progressiva riduzione del numero dei cittadini chiamati a combattere per il loro comune, che lungo il XII e il XIII costituirono l’ossatura delle milizie urbane, al crescente utilizzo del mercenariato.

Sebbene, come dimostrato da Gian Maria Varanini, i prodromi di questa prassi siano riscontrabili già in piena età comunale, il passaggio dagli eserciti civici a quelli di prevalenza professionale fu visto, soprattutto dalla storiografia risorgimentale, come simbolo di quella disaffezione all’arte bellica che comportò le successive dominazioni straniere. In realtà, come sottolineato dal Settia, a cambiare non fu il sentimento, bensì le esigenze che, strutturandosi in forme sempre più complesse, richiedevano risposte differenti: con l’affermarsi delle prime dominazioni sovracittadine, gli eserciti registrarono una progressiva specializzazione (come l’adozione crescente di reparti di balestrieri o il puntare maggiormente su contingenti a cavallo, preferendone la mobilità), che la sola componente demica urbana non riusciva più a garantire.

Terminiamo la recensione a questo ottimo volume con una nota conclusiva, da estendersi anche all’accurato impianto bibliografico “ragionato”. La lettura di questa pubblicazione contribuisce a evitare il ripetersi di un “consolidato rituale”, che tende a sottolineare la mancanza in Italia di una soddisfacente tradizione storiografica vocata alla storia militare medievale. Pur consapevoli della complessità dell’argomento, difficilmente imbrigliabile in un solo volume, siamo certi che Guerre ed eserciti nel Medioevo possa rappresentare di diritto una pietra miliare nella storiografia nazionale.

 

P. Grillo-A.A. Settia
Guerre ed eserciti nel Medioevo
Bologna, Il Mulino, 2018
pp. 372