Storia di un “non ordinario avvenimento”: Giacomo Casanova e la sua celebre fuga dai Piombi

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Caterina Mongardini, Venezia –

Il mio incontro con Casanova è avvenuto, per caso, proprio nel posto dal quale lui volle – e fortissimamente volle – scappare: ai Piombi di Palazzo Ducale.

Era una nebbiosa giornata di ottobre quando decisi di andare a visitare Palazzo Ducale: acquistai il biglietto per il percorso speciale dal nome “Itinerari Segreti” e piena di curiosità arrivai in Piazza San Marco alle nove di mattina, senza incontrare il solito serpentone di turisti che ingombra il portico del palazzo. Entrai nel cortile, attesi la guida assieme ad un’altra decina di persone e poi cominciò la visita.

La guida ci condusse per i dedali di scale e intercapedini che si nascondono dietro le pareti delle sale ufficiali del Palazzo: cominciammo da “i Pozzi”, terribili prigioni dove i più sventurati tra i condannati erano costretti a convivere con l’affollamento delle celle, i topi e l’acqua che, soprattutto nei giorni di alta marea, ancora oggi allaga i livelli più bassi.

Successivamente passammo ai livelli superiori dove si trovano “le Quattro” (altre prigioni, ma più vivibili dei Pozzi) e gli uffici: di questi i più importanti erano quello del Notaio Ducale – una sorta di segretario generale dei vari ministeri – e quello del Deputato alla Segreta del Consiglio dei Dieci che gestiva la Cancelleria Segreta (contenente anche materiale ottenuto tramite lo spionaggio).

Si passò poi all’Ufficio del Cancellier Grande, unico Magistrato della Serenissima eletto direttamente dal Maggior Consiglio dal momento che aveva l’incarico di dirigere la Cancelleria Ducale e di vegliare su tutte le attività che si svolgevano nell’Archivio Ducale. Dopo la sala della tortura e l’archivio giungemmo nel sottotetto e quindi alle prigioni de “i Piombi”.

Qui incontrai Casanova. Lo vidi chiuso in una delle celle in legno, mentre fingeva di leggere per nascondere (o placare) i pensieri d’evasione che di notte lo tenevano sveglio. Le celle, non essendo quelle originali, riproducevano quelle antiche descritte dallo stesso Casanova nella sua Storia della mia fuga dai Piombi.

 

 

Le dissolute attitudini dell’affascinante e gaudente avventuriero ebbero poco a che fare con le vicende che si consumarono in quel sottotetto, anche se contribuirono alla sua incarcerazione: nella Storia della mia fuga dai Piombi Casanova narra in modo scarno e senza troppe digressioni il piano di fuga da lui escogitato e la sua attuazione.

Rimase recluso per un anno e tre mesi, dal 26 luglio 1755 (giorno della cattura) alla notte del 31 ottobre 1756, quando la fortuna, l’astuzia e la drammatica ostinazione lo portarono a trovarsi libero sul tetto di Palazzo Ducale insieme al suo complice, padre Balbi.

Il Casanova descritto da sè stesso conserva tutto il fascino della trasgressione, ma fa luce sulla complicata posizione di un uomo che, lungi dall’essere un perditempo alla ricerca di una qualunque gonnella, viveva una vita al limite della moralità, ma con una passione tale che sottolinea quanto profondamente fosse immerso nel suo tempo, tanto da sembrare una contraddizione.

Libertino nel senso volteriano del termine, viveur e spirito ribelle in società, non esitava a scagliarsi contro Rousseau, non condividendo le teorie illuministe che avrebbero minato alla base i pilasti della società in cui viveva; imprigionato e condannato da un Tribunale dal quale avrebbe voluto delle spiegazioni, non esitò, in seguito, a giustificarne l’operato scrivendo nella prefazione alla sua storia:

 

“amo la mia patria e quelli che la governano”

 

Dalla lettura emerge una personalità sicuramente fuori dall’ordinario, ma anche di una fine intelligenza: l’oramai anziano Casanova seppe narrare la sua vicenda come un romanzo d’avventura sicuramente colorendo le sue esperienze, premurandosi però di portare prove e testimonianze concrete con le quali convincere il curioso o l’amico della veridicità delle sue parole.

 

I Piombi di Palazzo Ducale a Venezia

 

Giacomo Casanova, infatti, decise di scrivere queste memorie – o come le chiama lui “confessioni” – in tarda età, nel 1785 dopo aver accettato l’incarico di bibliotecario nel castello del conte Waldestein in Boemia. Il motivo di questa pubblicazione può sembrare futile e presuntuoso, dal momento che egli stesso asserisce:

 

“dopo trentadue anni mi decido a scrivere la storia di una vicenda occorsa quando ne avevo trenta […] per evitare la fatica di raccontarla dal principio ogni volta che una persona degna di riguardo e di amicizia mi preghi o mi obblighi a farlo”

 

A ben vedere, però, l’eccezionalità della vicenda e la fama del protagonista suscitarono davvero tanta ammirazione e curiosità se, addirittura prima dell’evasione, tutta Venezia si chiedeva in quale guaio si fosse cacciato Casanova.

 

Giacomo Casanova

 

Gli inquisitori della Serenissima il 21 agosto 1755 (un mese dopo l’arresto), in assenza dell’imputato – procedura non estranea al Tribunale di Stato – condannarono ufficialmente Giacomo Casanova per “le molte riflessibili colpe […] principalmente in disprezzo publico della Santa Religione”: la pena da scontare era pari a cinque anni di reclusione “sotto li Piombi”.

L’assenza di Casanova al proprio processo è essenziale per capire quanto si illudesse, in un primo momento, di poter uscire di prigione in pochi giorni e di come continuasse a chiedersi per quale colpa l’avessero arrestato. Dopo una sorta di “esame di coscienza”, in seguito al quale si convinse di essere stato rinchiuso ingiustamente, e lo stupore di fronte al silenzio degli inquisitori nei riguardi della sua sorte, decise che sarebbe dovuto evadere a qualsiasi prezzo.

Quello che Casanova e i veneziani curiosi non sapevano all’epoca, noi lo sappiamo grazie ai documenti conservati nell’Archivio di Stato di Venezia che sono stati riportati in appendice al libro con un ricco ed interessante apparato di documenti concernenti la vicenda: dagli atti del tribunale riguardo la carcerazione, la condanna e l’evasione, agli appunti del carceriere di Casanova per le spese e le esigenze del detenuto, alla corrispondenza tenuta dal tribunale stesso con le proprie spie.

 

Donald Sutherland interpreta Giacomo Casanova nel famoso film biografico diretto da Federico Fellini (1976)

 

È interessante notare che le accuse mosse a Casanova furono più d’una, nonostante la condanna avesse riguardato solamente la presunta irriverenza nei confronti delle istituzioni religiose: non mancavano le accuse di frode e brogli nel gioco d’azzardo, di massoneria, di calunnia, di stregoneria ed epicureismo, ossia un abbandono voluttuoso ai piaceri mondani della vita, nulla a che vedere con la filosofia greca.

Inoltre una nobildonna raccontò di come Casanova avesse traviato le menti dei suoi poveri figli, trascinandoli sulla via della perdizione. Eppure, dietro al vago testo della condanna, è probabile che ci fosse una motivazione più specifica e molto curiosa per noi contemporanei: una diatriba letteraria.

Infatti, nella Venezia settecentesca, si sfidavano due correnti avverse nel campo della letteratura teatrale. Le correnti in questione facevano capo una a Goldoni ed una all’abate Chiari che godeva della protezione di un nobile influente.

Secondo Casanova – che da fiero goldoniano aveva addirittura minacciato il Chiari di morte – l’abate fece probabilmente pressione presso il suo protettore affinché potesse essere spiccato un ordine d’arresto nei confronti del suo avversario più accanito. Ancora nessuno, però, riesce a spiegare la natura dell’accusa e della severa condanna inflitta al nostro don Giovanni che, probabilmente, era stato preso troppo sul serio dal Chiari.

 

Heath Ledger è stato l’ultimo grande attore ad impersonificare il libertino veneziano nel film “Casanova” (2005) di Lasse Hallstrom.

 

Alla fuga seguirono l’esilio, i viaggi e certamente molti amori: ma tornare a Venezia era un desiderio radicato nell’animo di Casanova, tanto da spingersi a supplicare gli inquisitori affinché gli concedessero la grazia che giunse inaspettata il 3 settembre 1774.

Sono passati ormai duecentoquarant’anni dalla prodigiosa “fuga da’ i Piombi” che fu descritta in un atto del Tribunale concernente la vicenda come un “non ordinario avvenimento”: il clamore della fuga e la curiosità stimolata dall’impresa erano forti allora, come lo sono oggi. Ed è raro che ciò accada.

Per questo motivo leggere Storia della mia fuga dai Piombi dopo la visita a Palazzo Ducale è stato per me un obbligo: avevo ripercorso i suoi passi e – sebbene non mi ritrovassi a cavalcioni del tetto del palazzo – evasi dai Piombi anche io.

G. Casanova,
Storia della mia fuga dai Piombi,
a cura di P. Bartalini Bigi,
Roma, Newton Compton, 1993
pp. 236