Sulle tracce di una nuova era: quando ebbe fine l’età antica?

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Lorenzo Domenis, Verona –

Il problema della periodizzazione storica ha incarnato, e continua a farlo ancora oggi, uno scottante tema di discussione per svariate generazioni di storici. È innegabile che dividere il nostro passato in fasi con le relative etichette (Antichità, Medioevo, Età Moderna ed Età Contemporanea) risulti utile per costruire una griglia di riferimento in cui inserire gli eventi, tuttavia questo sistema presenta importanti punti di criticità. Uno di questi è indubbiamente il 476 d.C., anno che sancisce tradizionalmente la caduta dell’impero romano d’Occidente, la fine del mondo antico e il conseguente inizio dell’età medievale.

Storici e studiosi in generale hanno a più riprese criticato la scelta del 476, proponendo altre opzioni come il 553, data che segna la fine delle terribili guerre greco-gotiche volute da Giustiniano per riconquistare la penisola italica, oppure l’800, ossia il dies natalis del Sacro romano impero del franco Carlo, prima istituzione imperiale occidentale dalla fine dell’Impero Romano.

Al di là della data verso la quale si esprime una preferenza, risulta quanto mai evidente come il processo di passaggio dall’Antichità al Medioevo costituisca un aspetto molto complesso da racchiudere in una singola data, in un evento così rivoluzionario da cambiare l’intera Europa e il suo modo di essere.

 

Thomas Couture, I romani durante la decadenza dell’impero, 1847, Museo d’Orsay, Parigi

 

Prendiamo l’esempio del 476: dal XVIII secolo in poi, come sostenuto dallo storico italiano Arnaldo Momigliano, siamo ossessionati da questo evento che ha assunto il significato di archetipo della decadenza e di conclusione netta. In realtà, l’Impero Romano d’Occidente cadde senza fare rumore, senza segnare un prima e un dopo in maniera puntuale e drastica.

Nel mondo antico sorsero e caddero vari imperi, anche piuttosto repentinamente, e la loro alternanza ppariva come un fatto accettato e naturale; i Romani si interrogarono piuttosto presto riguardo la “senilità” del proprio Stato, anche se le prime vere riflessioni si hanno solo nel IV secolo d.C.

Nel 476 d.C. tuttavia mancò l’evento eclatante che avrebbe potuto scuotere la sensibilità dei contemporanei: non ci fu un sacco, nessuna netta sconfitta e nemmeno nessun sovrano ucciso, come accadde per altri grandi imperi.

Si potrebbe riflettere sul significato simbolico del 476. I Germani si sostituiscono nei quadri del potere ai Romani ormai deboli e incapaci di esercitare quell’egemonia militare che aveva reso l’Impero Romano una macchina invincibile. Questa interpretazione porta con sé un altro quesito: all’epoca l’ipotetico valore simbolico venne avvertito oppure è una invenzione moderna? Il conte Marcellino, funzionario dell’impero d’Oriente, scrisse nel 519 che “l’Impero Romano d’Occidente perì con questo Romolo Augustolo”; anche Giordane, goto con una sensibilità filo-romana, riporta la stessa posizione riguardo la fine dell’impero in Occidente.

 

 

Thomas Cole, La Distruzione dell’Impero, 1836, Collection of The New-York Historical Society, New York

 

Un altro grande erudito del VI secolo d.C., ossia Cassiodoro, invece tace totalmente riguardo la deposizione di Romolo Augustolo, dato che considerava Teodorico e il suo regno culturalmente misto come il naturale successore dell’Impero Romano d’Occidente che quindi, in qualche modo, non era affatto caduto nel fatidico 476 d.C.

Appare evidente come Cassiodoro, sorvolando la questione deposizione, serva gli interessi politici di Teodorico e il suo progetto di sincretismo goto-romano. In Oriente, tra gli scrittori ed eruditi di formazione greca, la data del 476 d.C. viene citata piuttosto raramente, dato che non si avvertiva la discontinuità del potere imperiale.

Come ci testimoniano questi esempi, già negli anni successivi alla presunta fine del mondo antico non vi era un’opinione come riguardo la deposizione di Romolo Augustolo come pietra miliare di passaggio. In base alla sensibilità degli autori e ai loro obiettivi politici, la data viene esaltata, messa in secondo piano o addirittura taciuta.

Una domanda può sorgere spontanea: come si poteva tacere riguardo la caduta dell’impero d’Occidente? Evidentemente questa fine segnò un cambiamento minimo nella vita di migliaia di ex cittadini imperiali così come per migliaia di “invasori” germani. Chi era inserito nei quadri dell’amministrazione continuò ad amministrare, chi combatteva proseguì la propria vita militare.

Certo, in Occidente non vi era è più un imperatore romano ma in Oriente sì, il potere imperiale non sparì di colpo dalla scena. Diversi sovrani dei regni romano-barbarici di tutta Europa si dichiararono a più riprese formalmente sottomessi al potere dell’imperatore di Costantinopoli, pur governando in una sostanziale autonomia.

 

La battaglia di Strasburgo/Argentoratum del 357 d.C., nella quale Giuliano l’Apostata vinse i Germani

 

Dal punto di vista politico e sociale, la deposizione di Romo Augustolo non può essere universalmente accettata come un cambiamento radicale e sconvolgente per l’assetto dell’Europa del V secolo. Proviamo quindi a esaminare altri aspetti della società dell’epoca come, per esempio, l’economia.

Quando si affrontano le tematiche economiche dell’età tardo antica e alto medievale riemerge, in tutta la sua attualità, sebbene abbia circa un secolo, il saggio dello storico belga Henri Pirenne Maometto e Carlomagno: Pirenne sostiene che la caduta dell’Impero romano d’Occidente non andò a modificare l’assetto economico del mar Mediterraneo, quel “mare nostrum” attorno a cui i Romani avevano fondato un vasto e ricco impero.

Pur non essendoci più un imperatore in Occidente, il Mediterraneo rimase il fulcro dell’attività commerciale per tutto il V e VI secolo grazie soprattutto ai mercanti dell’Impero romano d’Oriente, provenienti dalle province di Siria e Egitto, che intessevano importanti rapporti che i vari regni romano-barbarici di Italia, Gallia, Spagna e Nord Africa.

Lo stesso Giustiniano, l’imperatore d’Oriente che più si avvicinò alla riunificazione dell’impero romano, mosse le sue campagne di riconquista lungo le sponde del Mediterraneo. Egli infatti sconfisse i Vandali in Nord Africa, riottenendo il potere sull’importante città commerciale di Cartagine, i Goti in Italia spingendosi fino nella Spagna visigota dove occupò la zona costiera meridionale e le isole Baleari.

Il sogno di ricreare il Mare nostrum romano fu quasi raggiunto seppur in maniera parziale e, soprattutto, per poco tempo.
Dato per assodato che il Mediterraneo incarnasse ancora il fulcro del commercio, Pirenne fa un ulteriore passo in avanti sostenendo che il mondo antico “mediterraneo-centrico” finì con l’espansione araba del VII secolo, che andò a minare per sempre l’unità marittima.

 

Infografica delle varie popolazioni germaniche e dei loro movimenti nell’area mediterranea ai tempi degli imperatori Arcadio e Onorio (IV-V secolo)

 

Gli arabi occuparono vaste porzioni dell’impero bizantino sottraendogli la Siria, l’Egitto, parte dell’Asia Minore e poi ancora l’Africa, la Spagna spingendosi fino alla Sicilia e alla parte meridionale dell’Italia, dove nel frattempo si erano insediati i Longobardi.
Sulle rive del Mare nostrum si stendono così due civiltà differenti ed ostili; il mare che incarnava l’unità commerciale, ma anche religiosa, della cristianità diviene ora una frontiera. L’unità mediterranea è rotta per sempre, anche a livello culturale.

Pirenne sottolinea, inoltre, come la “chiusura” del mar Mediterraneo e il rafforzarsi del potere franco sotto la dinastia dei Carolingi comportarono lo spostamento dei traffici commerciali, seppur ridotti, verso i mari dell’Europa settentrionale. Il mare del Nord e il Baltico divennero teatro di un nuovo commercio dalla spiccata impronta germanica.

Con l’arrivo dei Vichinghi si ebbe un ulteriore fermento commerciale nel nord Europa che si estese anche all’Europa orientale lungo i grandi fiumi dell’attuale Russia e Ucraina.
Il Mediterraneo rimase comunque veicolo di traffici commerciali, basti pensare al successo di città come Venezia e Genova, tuttavia aveva perso per sempre il suo valore di “lago privato” della civiltà romana e cristiana.

Il 476 fu un momento di cambiamento molto relativo, avvertito da pochi e dalle conseguenze tutto sommato assai limitate. L’avvento del potere mussulmano prima e franco poi furono i veicoli di un cambiamento radicale negli assetti del continente e della società europea, il mondo tardo antico lasciò definitivamente spazio al Medioevo e alle sue forme caratteristiche su tutti gli aspetti che definiscono il concetto di civiltà.

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1 thought on “Sulle tracce di una nuova era: quando ebbe fine l’età antica?

  • Bellissima panoramica su una questione molto dibattuta. Dico brevemente la mia: e’ certo che poco muto’ se non simbolicamente il giorno dopo la riconsegna delle insegne imperiali da parte di Odoacre. E aveva ragione Cassiodoro a rivendicare la riverenza di Teodorico (a lungo ostaggio a Costantinopoli in giovane eta’) verso il mondo classico. Concordo che una prima cesura vi fu invece al termine della devastante guerra greco-gotica (533 d.C.) almeno per la penisola italica. Tuttavia e’ anche vero che una seconda importante cesura avvenne con le conquiste arabe e la perdita di unita’ politica e culturale del mediterraneo i cui effetti si sentono ancora oggi. In conclusione ls tesi del Pirenne mi sembra degna di considerazione.

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