Filippo II di Spagna: il superamento della leyenda negra nella storiografia moderna

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Tintoretto, Entrata di Filippo II in Mantova, 1578-80ca.

Vanessa Genova, Catania –

 

«Animato da una fede sincera e crudele, governò sul più vasto impero della Cristianità dal monastero fortezza dell’Escorial».

 

La tradizione storiografica di impronta antispagnola ha consegnato per molto tempo un’immagine negativa e distorta di Filippo II di Spagna, uno dei più longevi sovrani europei dell’età moderna e della casata degli Asburgo, asceso nel 1556 al trono spagnolo appartenuto al padre Carlo V e scomparso nel 1598, all’età di 71 anni. Riconosciuto dagli storici come uno dei monarchi più importanti nella storia dell’Europa moderna, all’apice della grande potenza spagnola e del Mediterraneo occidentale del XVI secolo, a lungo la figura di Filippo II ha rappresentato soprattutto, se non solamente, il simbolo dell’intolleranza e della repressione inquisitoria contro le minoranze etniche e religiose presenti nei suoi domini; in particolare nei confronti delle comunità protestanti delle Fiandre e delle comunità arabe e berbere in Spagna.

Questa leyenda negra nacque a partire da considerazioni già circolanti al tempo di Filippo II: storici e biografi di Italia, Inghilterra e Fiandre olandesi diffusero infatti le immagini più negative della figura del sovrano cattolico, raccolte esclusivamente da singoli episodi cruenti della sua biografia, demonizzandone così l’aspetto privato e politico agli occhi dell’intera storiografia moderna e contemporanea. Tuttavia, nel corso del XX secolo la storiografia internazionale, soprattutto a partire dai convegni e dagli studi organizzati in occasione del quarto centenario della morte di Filippo, ha superato questi antichi pregiudizi. Uno dei primi storici a diffondere il concetto di leyenda negra e a tentare di rivalutare la figura di Filippo II fu Julian Juderias, che nel 1914 pubblicò il saggio La leyenda negra y la verdad histórica: contribución al estudio del concepto de España en Europa, de las causas de este concepto y de la tolerancia política y religiosa en los países civilizados (Tip. de la Revista de Archivos, Madrid 1914), in cui lo storico spagnolo sostenne che la Spagna d’età moderna aveva subìto secoli di diffamazione da parte dei nemici di Filippo, sull’onda del crescente sentimento antispagnolo in Europa.

Numerosi studiosi odierni – come lo storico statunitense Charles Gibson, il prof. Friedrich Edelmayer dell’Università di Vienna e il prof. Ernest Belenguer Cebrià dell’Università di Barcellona- hanno seguito le orme delle teorie di Juderias e sono unanimi nell’attribuire al personaggio di Filippo II una rivalutazione positiva, allontanandosi da quel ramo antispagnolo che ne aveva definito per lungo tempo gli studi sul sovrano cattolico. Si tratta di una nuova visione della storia spagnola, che non vuole omettere quegli elementi – repressione, fiscalismo, intolleranza, censura – che per anni contribuirono ad alimentare la leyenda negra attorno a Filippo II: al contrario, essi sono stati ridimensionati all’interno della cornice storica del processo di costruzione del cosiddetto “Stato moderno”, che caratterizzò anche le dinamiche politiche d’età moderna di quei paesi ostili alla Spagna di Filippo.

Un esempio, in tal senso, è offerto dall’opera biografica intitolata Filippo II edita nel 2018 da Salerno Editrice nella celebre collana Profili fondata da Luigi Firpo – scritta da Angelantonio Spagnoletti, professore ordinario di Storia moderna presso l’Università degli Studi di Bari. Infatti affrontando una solida e lunga ricerca storiografica basata sulle cronache e sulle storie a stampa, ben documentata nel volume, Spagnoletti ha ricostruito in otto ricchi capitoli la vita e le politiche di Filippo, consegnando una biografia «che certamente non è quella definitiva», ma che è ornata di onestà intellettuale ed ha l’obiettivo di ridimensionare quella leyenda negra che fino ad oggi ha circondato la figura storica di questo sovrano.

 

 

Chi fu realmente Filippo II di Spagna?

Nato nel maggio 1527, negli anni d’oro dell’impero di Carlo V, Filippo fu un sovrano severo e devoto alla ragion di Stato tanto da pretendere che tutte le questioni politiche fossero sottoposte alle sue approvazioni, anche se ciò comportò il rallentamento del meccanismo decisionale della politica spagnola. Sull’esempio del padre, infatti:

 

«l’imperatore, nel corso della sua vita, ebbe poche occasioni di essere accanto al figlio per periodi significativi e continuativi, ma fu sempre presente con una serie di istruzioni nelle quali compartiva l’esperienza di una vita di governo e delineava i princìpi morali ai quali il principe si doveva attenere e i modelli di comportamento che doveva seguire nel disbrigo degli affari interni ed esteri del regno».
(A. Spagnoletti, Filippo II, p.51)

 

A meno di 30 anni, in seguito all’abdicazione del padre nel 1556, Filippo divenne sovrano di Aragona, Castiglia, Leon, Granada, Maiorca, Cordoba, Galizia, Andalusia, Navarra, Valencia, Murcia, Sicilia, Sardegna, Napoli, signore dei Paesi Bassi e della Francia Contea e, parimenti, signore delle terre d’Oltremare. Al riguardo scriveva Gregorio Leti – un poligrafo seicentesco autore della biografia Vita del Catolico Re Filippo II (Giovanni Antonico Chouet, Coligni ,1679), spesso citato da Spagnoletti – che nella storia europea non si trova esempio di

 

«altri Prencipi che habbino posseduto tante Corone sul capo».

 

A differenza del padre che viaggiò per l’Europa e affrontò numerose battaglie, Filippo rimase prevalentemente in Spagna, soprattutto a Madrid, il centro della Castiglia. Si tratta di un elemento significativo della vita di Filippo che diede una svolta nella storia della monarchia spagnola. Infatti nel corso della storia medievale e moderna, fino a Carlo V, non esisteva per i sovrani spagnoli una dimora “fissa”, obbligati politicamente a spostarsi di continuo tra i propri domini: fu proprio Filippo a elevare per primo la città di Madrid al ruolo di capitale dei domini di Spagna, regnando dal monastero fortezza dell’Escorial.

 

«Filippo, come un ragno, si pose al centro della sua tela e, senza muoversi, regolò le cose del mondo».
(A. Spagnoletti, Filippo II, p. 75)

 

La sua corte a Madrid fu sempre arricchita dalla presenza di nobili e principi provenienti da tutte le parti della monarchia e dai paesi alleati, gratificati dal sovrano con onori e titoli militari e civili allo scopo di diffondere in tutta Europa l’immagine della sua magnificenza e di costruire un’élite internazionale in grado di elevare la grandezza culturale e politica della monarchia iberica.

 

Antonio Arias Fernandez, Carlo V e Filippo II, 1639-40ca.

 

La storiografia spagnola dell’epoca lo considerò un uomo di pace, come annota un cronista del tempo citato da Leti:

 

«Carlo stimò unico mezzo la Spada, per ridur la Casa d’Austria a Monarchia, e Filippo giudicò più valevole la penna per farla valere a’ pari del Sole: quello fondò tutte le sue speranze nella guerra, e questo tutti i suoi andamenti nella pace; quello stimava tutto perso, mancando d’essere per tutto, e questo credeva certe le vittorie allor che più ristretto se ne stava nel Gabinetto».
(G. Leti, Vita del Catolico Re Filippo II, p.334)

 

Tuttavia, secondo Spagnoletti, il pacifismo di Filippo fu tutt’altro che rinunciatario. Come scriveva Leti, il sovrano si occupò anche di guerre offensive, sebbene ritenute necessarie «per la difesa della Religione […] per punir l’offese, a noi ingiustamente fatte; o per recuperare le cose che ci sono state a torto levate». Tra queste, le guerre ritenute più giuste e necessarie furono sicuramente quelle contro gli infedeli, come i turchi nel Mediterraneo e gli eretici rivoltosi dei Paesi Bassi; due battaglie alle quali, secondo Spagnoletti, Filippo si dedicò con tutto sé stesso per mostrare «la grandezza del suo animo, la prudenza del suo consiglio, la costanza della sua pietà e la purezza del suo zelo». Filippo era un uomo estremamente devoto alla religione cattolica e credeva, infatti, che il Cattolicesimo dovesse rappresentare l’identità della sua monarchia e il collante delle diverse popolazioni costituenti il suo impero. Al contrario il sovrano doveva rappresentare l’immagine di Dio sulla terra e il suo vicario nelle questioni temporali in grado di far applicare i princìpi cristiani di giustizia.

Come scriveva il cardinale Guido Bentivoglio – che in Historia della guerra di Fiandra (editio princeps, Colonia, 1632-1639) tracciò un bilancio più equo della vita di Filippo II rispetto alle ingiurie pubblicate nella raccolta Relaciones del 1594 dal segretario del sovrano, Antonio Pérez«niun secolo vidde forse mai Prencipe, né più grave, né più composto». Secondo Bentivoglio, fu un sovrano dedito alla pace più che alla guerra, che antepose la ragion di Stato agli affetti familiari e che governò da una stanza dell’Escorial utilizzando quelle doti che lo resero un

 

«Prencipe così memorabile, che pochi altri a lui simili senza dubbio, e frà i più remoti tempi, e frà i più vicini, malagevolmente si troveranno».

 

La dura lotta contro l’Impero ottomano nel Mediterraneo per difendere le basi cristiane di Sicilia e Malta; l’espansione nelle terre d’Oltremare con la colonizzazione delle Filippine; l’annessione del Portogallo; la repressione della rivolta nei Paesi Bassi conclusasi con un nulla di fatto per l’impero spagnolo; lo scontro in mare con l’Inghilterra elisabettiana; l’intervento nelle guerre civili francesi: tutti questi eventi bellici costituiscono la politica estera di Filippo, in apparenza condotta seguendo i princìpi morali di necessaria difesa dei domini della Spagna e di espansione della religione cattolica sulla scia della pax hispanica, ma avente il reale obiettivo di controllare il Mediterraneo e primeggiare sul ramo imperiale degli Asburgo di Vienna. Una politica estera che lo spinse a intromettersi più volte nelle vicende di molti stati europei, soprattutto di Italia e Francia.

Secondo le interpretazioni più recenti, sotto Filippo II la Spagna divenne una delle protagoniste principali delle vicende europee e la promotrice di una prima forma di globalizzazione, diffondendo l’idea di poter superare le differenze etniche anteponendo gli ideali dinastici e soprattutto religiosi – tanto cari al sovrano cattolico – mediante l’uso di quella hispanidad che ancora oggi è sentita dai popoli di lingua spagnola. Probabilmente è questa l’eredità maggiore lasciata dal regno di Filippo: una Spagna all’apice del processo di unificazione che allo stesso tempo collaborava con i domini periferici e i paesi alleati.

Con un approccio di “sfida” rivolto alla comprensione della storia nella prima età moderna, che si può condividere o meno per impostazione, il merito di Spagnoletti risiede nell’aver intersecato verità storica e rappresentazione simbolica, storiografia coeva e storiografia odierna, processi politici cinquecenteschi e politiche internazionali contemporanee, intrecciando questi elementi all’interno del profilo del grande sovrano spagnolo.

 

Angelantonio Spagnoletti
Filippo II
Roma, Salerno Editrice, 2018
p. 377

 

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