Est e Ovest: come la peste ha separato l’Europa

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Pietro Marchesi – Pavia

Premessa

Uno dei migliori racconti dello scrittore argentino Jorges Luis Borges s’intitola: Il sentiero dei giardini che si biforcano. Vi s’immagina un giardino percorso da numerosi sentieri, ciascuno terminante in una biforcazione, in ciascuna delle biforcazioni descritte potremmo vedere un evento che altera radicalmente una situazione creando realtà diverse. È questo il caso delle due Europe: quali circostanze ne hanno prodotto la frattura?

Le vicende

Parlare di Europa dell’Est e dell’Ovest rinvia a tappe fondamentali della storia contemporanea come: la conferenza di Yalta, la guerra fredda, il muro di Berlino, eventi che per decenni hanno contribuito a dividere il Vecchio Continente. Nella realtà, la separazione esisteva da secoli; lapidario il giudizio del cancelliere Metternich: “L’Asia comincia alla porta orientale di Vienna.” Lo sviluppo industriale marcò ancora di più le differenze; prima del 1914 ad Ovest troviamo: industria, classe operaia, borghesia, allargamento progressivo del suffragio. A Est: agricoltura estensiva dominata da grandi proprietari terrieri, industria concentrata solo in alcune zone, borghesia debole, scarsa diffusione dell’istruzione. Ma quando si è avviata concretamente questa separazione?  Quando i sentieri cominciarono a divergere? Uno dei punti di svolta può essere individuato nell’epidemia di peste che sconvolse l’Europa dal 1347 al 1351 decimando la popolazione di oltre un terzo, trasformando poi la struttura sociale, generando rivolte, persecuzioni, sfiducia nei poteri costituiti che avviarono la fine del Medioevo. Le conseguenze di quest’evento separarono le due parti d’Europa: all’inizio del XIV secolo, nella parte occidentale (ad occidente dei grandi fiumi dell’Europa centro orientale: l’Elba e l’Oder) v’erano un maggior numero di città autonome (specialmente nell’Italia centro-settentrionale e nelle Fiandre) governate da una ricca borghesia mercantile, in Francia e Inghilterra era in corso di formazione l’apparato dello Stato moderno ed il peso della nobiltà feudale sulla società tendeva a calare stretto tra il nuovo potere dei sovrani e gli interessi dei ceti emergenti che trovavano ascolto presso le corti.

Dal secolo XI l’economia monetaria, di scambio, stava sostituendosi all’autoconsumo e al sistema nel quale i beni e i servizi erano ceduti e non venduti secondo la scala gerarchica della società feudale. Il ritorno all’economia monetaria stava comportando in Occidente la fine della servitù della gleba. Le vecchie prestazioni obbligatorie di lavoro dei contadini sulle terre signorili erano sostituite da versamenti monetari. Ad Est dei due grandi fiumi, invece, la situazione era diversa: c’erano meno città, la borghesia era meno numerosa e più debole, i poteri statali erano fragili e arrendevoli verso la nobiltà che aveva mantenuto la sua presa sulla società.

Su queste realtà, già con tratti distinti, venne ad abbattersi nel XIV secolo la Morte Nera (1347- 1351). Si è trattato di una delle maggiori tragedie della storia documentata. Quando l’Europa emerse dall’epidemia il processo di separazione tra le sue due parti del continente cominciò ad accelerare. In Occidente, dove l’economia di mercato era già in fase di sviluppo, il crollo della popolazione portò a una eccedenza della domanda sull’offerta di lavoro con una crescita dei salari contro la quale a poco valsero i provvedimenti legislativi come ad esempio Lo statuto dei lavoratori (Inghilterra, 1381), tendenti a fissare i salari al livello antecedente l’epidemia. Nelle campagne la mancanza di braccia costrinse i nobili a liberare i contadini dalla servitù, dove ancora esisteva, trasformandoli in fittavoli o coloni. La borghesia, poi, non perse l’occasione di appropriarsi delle molte terre rimaste senza titolari per espandere i suoi possedimenti.

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Non fu così nella parte orientale del continente ancora ferma ad una struttura feudale e priva dello sviluppo urbano e commerciale dell’Occidente. Dopo l’epidemia, infatti, non furono i borghesi ma i feudatari ad acquisire ampie estensioni di terra ampliando le loro già vaste proprietà. Le città qui erano meno numerose e la borghesia più fragile non poteva costituire un ostacolo al potere della nobiltà come non lo erano le deboli monarchie come quella polacca dove ogni decisione dipendeva dal consenso unanime dei grandi proprietari. Mentre in Occidente, nel processo di consolidamento delle strutture statali, i borghesi appoggiarono le monarchie contro il potere nobiliare, nell’Europa orientale i nobili scambiarono il loro appoggio alle monarchie con il riconoscimento da parte di queste del potere nobiliare sui contadini che videro restringersi i loro diritti ritrovandosi servi della gleba proprio quando questa istituzione stava sparendo dall’Occidente. Era nato il secondo servaggio.

Questo fenomeno, oltre che dalle condizioni delle zone orientali, fu favorito nei primi secoli dell’Età Moderna dalla crescita demografica delle regioni occidentali con il conseguente incremento della domanda di cereali provenienti dalle pianure dell’Est. Con la crescita della domanda i nobili consolidarono la presa sui contadini allo scopo di ottenere sempre maggiori quantità di cereali da esportare. Nonostante diversi tentativi di ribellione (es. la guerra dei contadini, Germania, 1525), la gleba gravò sulle spalle delle popolazioni orientali sino al XIX secolo avanzato (Russia, 1862) e la nobiltà estese il suo potere dal campo politico a quello delle nascenti industrie rappresentando sempre e comunque la classe dirigente. Tipico esempio gli Junker prussiani che sino al termine del secondo conflitto mondiale avrebbero monopolizzato in Germania gli alti gradi della burocrazia, del servizio diplomatico e delle forze armate. Deportato ai confini orientali della Germania nel 1916, lo storico belga Henri Pirenne poté riflettere sul fatto che mentre i suoi antenati da tempo immemorabile erano uomini liberi non altrettanto lo erano stati quelli degli abitanti del villaggio dove era costretto a vivere e questo fino a poche generazioni prima.

Conclusioni

Nel 1346 Europa occidentale e orientale presentavano delle differenze in termini di istituzioni politiche ed economiche ma dopo più di due secoli erano due mondi a parte; in Occidente i lavoratori e i contadini erano, per lo più, liberi da tasse e da gravami feudali mentre l’economia di mercato era in forte sviluppo. All’Est, invece, masse di servi della gleba lavoravano per sostenere e far crescere la ricchezza parassitaria dell’aristocrazia. A realizzare questo risultato hanno di certo contribuito le singole vicende storiche, le strutture sociali e di potere ma non possiamo negare l’importanza di un protagonista invisibile: un batterio, lo Yersinia pestis la cui azione aveva contribuito ad allargare il solco tra l’Est e l’Ovest d’Europa.

 

Letture consigliate:

D. Acemoglu – J.A. Robinson, Perché le nazioni falliscono?, Il Saggiatore, Milano, 2013

J. Kelly, La Peste Nera, Piemme, Casale Monferrato, 2009

W.S. McNeill, La peste nella storia, Einaudi, Torino, 1981

H. Pirenne, Storia d’Europa. Dalle invasioni al secolo XVI, Newton – Compton, Roma, 1991

A. Pitassio, Storia dell’Europa orientale, Morlacchi, Padova, 2011

B. Tuchmann, Uno specchio lontano. Un secolo di avventure e di calamità, il Trecento, Mondadori, Milano, 1982