Essere fascisti nel terzo millennio: Elia Rosati spiega lo sviluppo delle nuove destre nel suo libro su Casapound Italia

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Enrico Ruffino, Venezia –

Torno nuovamente sul tema del fascismo oggi  dopo aver discusso in questa sede il testo di Christian Raimo sui giovanissimi fascisti che scorrazzano di qua e di là, in giù e in su, per l’Italia inconsapevoli elle azioni che vanno compiendo e dell’etichetta con cui vanno definendosi (potremmo definirla la gioventù del fascismo vago).

Risulta necessario discutere su questo tema perché nel frattempo è uscito un nuovo, documentatissimo lavoro di un giovane ricercatore della Statale di Milano, Elia Rosati, dedicato al fenomeno Casapound su cui, mi sembra, ci sia molto da dire.

Un tempo si poteva affermare che la storia si dovesse fare al passato remoto. Oggi, per fortuna, non è più così. Che una riflessione storica sul presente non solo si possa fare, ma sia doveroso farla, mi sembra oggi più che mai da ribadire: in tempi non felici per concetti quali “fatto”, “verità” e per l’argomentazione analitica – insomma per tutto quello che si attiene a ciò he comunemente noi riteniamo alla base del lavoro dello studioso di storia – analizzare il presente con gli occhi e gli strumenti dello storico può essere estremamente utile alla battaglia che molti di noi hanno intrapreso in favore dell’analisi e della comprensione.

Elia Rosati, che con Aldo Giannulli ha già curato una storia di Ordine Nuovo (Mimesis, 2017), nel suo Casapound Italia: fascisti del terzo millennio (Mimesis, 2018) non fa altro che confermarcelo.

 

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Parlare di storia del tempo presente – e nel caso del giovane ricercatore milanese del tempo presentissimo – significa infatti inserire nella propria cassetta degli attrezzi gli strumenti della interdisciplinarietà: della storiografia da una parte per capire la versatilità del fascismo “storico” nel nuovo movimento/partito; e della sociologia e della politologia dall’altra per ciò che attiene la liquidità con cui esso si presenta oggi dinanzi alla società, all’opinione pubblica e al proprio elettorato.

Parlo di versatilità perché Rosati – con un’ampia documentazione giornalistica coeva, con le “vive” fonti della galassia neofascista in via di ricomposizione negli anni ’80, con una messa a punto degli (scarsi) studi in merito ed entrando in Via Napoleone III – ci spiega nel primo capitolo del testo che Casapound “è un movimento/partito nuovo ma che viene da lontano e affonda le sue radici nella storia del neofascismo degli ultimi venticinque anni”, non nascondendo – come si vedrà più avanti – in che modo l’organizzazione si identifichi con una tradizione che si rifà al fascismo storico “originario”.

È tra gli anni ’80 e ’90 – e non come vorrebbe la vulgata qualunquista dall’occupazione dello stabile di Via Napoleone III a Roma del 2003 – che, infatti, il giovane ricercatore colloca le radici dell’organizzazione ormai egemone nel radicalismo di destra, mettendo in risalto la creazione di una nuova “grammatica controculturale” all’interno del giovanilismo missino data dall’esperienza dei “campi Hobbit”, dal periodico la “Voce della Fogna” del ricercatore romano Marco Tarchi e dalle innovazioni (oggi diventate di nuovo imponenti) della nouvelle droite di Alain de Benoist.

Esperienze, queste, che avranno vita breve per via dell’ostilità della dirigenza missina ma che non possono non sorprendere per alcuni caratteri peculiari che si ritroveranno, molti anni dopo, in Casapound: la presenza della musica – con band metal d’ispirazione nazista – e i “centri sociali di destra”, per non parlare della presa che l’organizzazione ha nell’attivismo giovanile. Il tutto amalgamato con la sempiterna presenza del tardo evolismo della fine degli anni ’60 alternato alla mitologia di Tolkien.

 

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Il lettore più attento avrà però notato che, togliendo il tardo evolismo e la mitologia tolkeniana, queste esperienze da “riflusso”  furono strumenti fino a qualche anno prima egemonizzati dalla sinistra radicale. I “centri sociali” e la “musica” come strumenti di aggregazione giovanile, politica e sociale sono stati infatti tutti elementi che pochi anni prima avevano caratterizzato i movimenti giovanili di sinistra.

Queste esperienze neofasciste degli anni ’80, infatti, aspiravano a creare una controcultura di destra: il DART – la divisione d’arte dei giovani missini – nel 1987 aspirava a ciò. Ma qui giungo al secondo punto evocato ma non ancora chiarito: la liquidità. Già nell’articolo sul saggio di Raimo notavo come queste nuove forme di fascismo si caratterizzino per la loro indeterminatezza, per la rapidità con cui si evolvono e con cui cambiano, si assimilano e si trasformano: diventa difficile riconoscerle perché, alla fine, non si capisce bene cosa siano.

E in effetti leggendo il libro di Rosati ci si rende conto che le “contaminazioni” che rendono oggi fluido il neofascismo affondano le loro radici negli anni ’80. Se Zeev Sternhell ci redarguiva dal guardare le culture politiche come un qualcosa di statico e mai mutevole, Zygmunt Bauman, nella sua società liquida, ci ammoniva dal guardare qualsiasi aspetto della vita con gli occhi della “totalità”: “nulla sarà più totalitario”, diceva il sociologo polacco.

Avevano, in un certo senso, ragione entrambi. Perché Casapound ha assimilato queste esperienze, ne ha fatto un punto di forza, ha creato un nuovo modo di essere fascisti proprio nel momento in cui la società liquida è arrivata alle sue più grandi (e inquietanti) espressioni.

 

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Elia Rosati

 

Ce ne rendiamo conto nel capitolo che Rosati ha voluto dedicare alla storia tout court di Casapound. Una formazione che – ci dice subito l’autore – ha rotto un tabù: quello che imponeva di non richiamarsi al passato. Sicuramente sorprenderà sapere che il suo rapporto con la storiografia (e non viceversa) non è sorprendentemente conflittuale: “più che De Felice o Perfetti – scrive il ricercatore milanese – in Via Napoleone III è in voga, senza saperlo, Emilio Gentile.”

E in cosa consiste questo interesse? Rosati riporta un passo del programma elettorale del 2011-2013 che fa riecheggiare la critica che il grande storico molisano fece a certe tendenze interpretative sul fenomeno fascista. Gentile, com’è noto agli addetti, aveva infatti criticato l’assimilazione dell’intera esperienza fascista al mussolinismo che ignorava “la sintesi turbolenta tra la reazione antisocialista dei ceti medi, la retorica patriottica della Grande Guerra e alcune culture politiche radicali radicali precedenti” come il nazionalismo, il sindacalismo rivoluzionario e il futurismo.

Casapound si fa erede di questa critica, la cavalca manipolandola e trasformandola da analisi storiografica ad analisi politica: “Noi vogliamo un’Italia sociale e nazionale, secondo la visione risorgimentale, mazziniana, corridoniana, futurista, dannunziana, gentiliana, pavoliniana e mussoliniana.” E infatti la sintesi perfetta che i fascisti del terzo millennio hanno trovato, in un humus sociale che permettere tale fusione, è quella del superamento della classica distinzione tra destra e sinistra. Sintesi riassumibile in una sola parola: fascismo.

Il fascismo non è dunque mussolinismo ma una tradizione che Casapound ha saputo fondere con le teorie della nuova destra assimilate alle confusioni della società liquida. Il “razzismo” non è pertanto biologico – come si era presentato nel corso del novecento – ma etnico: non a caso quando avvennero i fatti di Macerata Forza Nuova – un’organizzazione fascista ben diversa da Casapound – parlò di sostituzione etnica.

Rosati ci ricorda, infatti, che per CP – come per Forza Nuova – è “la teoria della “Grande sostituzione”, la lente con cui leggere la questione dei flussi migratori”: una teoria che si forma a partire dalle teorie del filosofo Julius Evola – che oggi ha trovato grande spazio grazie alla voce di Renaud Camus – e sostiene un grande progetto di sostituzione della cultura occidentale. Sostituzione che, com’è prevedibile, viene letta a partire dai flussi migratori.

 

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Julius Evola

 

Ritornano qui i due elementi di cui parlavamo prima: la versatilità dell’uso della storia dell’organizzazione e la liquidità nell’essere una formazione moderna e all’avanguardia. Il movimento è, sì, fascista ma di un fascismo del terzo millennio. Casapound è, sì, fascista ma di un fascismo che non disdegna i vecchi spazi ricreativi di sinistra: centri sociali e band musicali, musica metal e socialità ricreativa, comunità e appartenenza attraverso la musica.

Di un fascismo moderno, sociale, all’avanguardia che comunica con i (potenti) mezzi della modernità: nel capitolo dedicato alle armi della tartaruga frecciata, Rosati nota come i fascisti del terzo millennio utilizzino non solo i social network ma anche la stampa tout court come mezzo di veicolazione di propaganda: Il Primato Nazionale è il quotidiano fondato da CPI e si nutre delle firme, tanto per fare un esempio, di Diego Fusaro, filosofo autodefinitosi gramsciano, ma che scrive per quotidiani fascisti (e non).

Un’altra riprova che nella società liquida – caratterizzata dal qualunquismo e la confusione ideologica – si può essere “gramsciani” scrivendo nei quotidiani fascisti. Insomma, tra versatilità e liquidità, il lettore avrà capito da questa breve disamina che il libro di Elia Rosati rappresenta un volume importantissimo – qui sommariamente analizzato (Rosati è molto più preciso, più dettagliato, più sofisticato in un volume che si nutre di 206 pagine e oltre 400 note) – che va letto in ogni sua pagina per capire dove va non solo la nuova destra (oggi al governo: si veda all’interno del libro il punto in cui Lega e CPI trovano i punti di contatto) ma anche la nostra società, che pulsa eroticamente contro i Rolex ma non ha cognizione né del presente né del futuro. In fondo, la storia del tempo presente dovrebbe servire anche a questo.