Coppetta mestruale e decrescita felice: ovvero, dell’assorbente come rappresentante della società moderna

attualità, editoriale, assorbenti, ecologia

Giulia Barison, Siena –

Il dibattitto sui metodi di tamponamento mestruale in Italia è oggi più che mai all’ordine del giorno: dal femminismo all’ecologia, le critiche mosse agli assorbenti tradizionali si stanno facendo sempre più aspre – e giustamente, direi. Fa sorridere che nel XXI secolo si debba ancora dibattere sui metodi di tamponamento mestruale, ma così è e, vi dirò di più, la situazione attuale sulle modalità di produzione e vendita degli assorbenti ben rappresenta le dinamiche che caratterizzano il modus cogitandi atque operandi della società moderna.

Partiamo da una considerazione iniziale: non vi è stato alcuno sviluppo significativo nei metodi di tamponamento dall’antico Egitto agli anni Trenta del Novecento. Se antichi papiri egiziani testimoniano l’utilizzo di tamponi interni confezionati con il lino o lo stesso papiro, forse è bene interrogarsi su quale rivoluzione possa costituire il celebre Tampax. Una “rivoluzione” economica, sicuramente: lungi da noi pensare che un bene che utilizziamo quotidianamente possa essere autoprodotto, fintanto che il mercato crea necessità fasulle. E, non meno importante, una “rivoluzione” ambientale: perché utilizzare materiali biodegradabili e riutilizzabili, se si possono creare prodotti monouso e ad altissimo impatto ambientale?

Con la prima guerra mondiale, alle fibre vegetali o alle pelli animali utilizzate fino a quel momento per la confezione di tamponi assorbenti venne sostituita la cellulosa. Le infermiere volontarie durante la guerra si resero conto del fatto che la cellulosa con cui erano confezionate le bende per curare le ferite dei soldati era molto più assorbente rispetto ai materiali fino a quel momento utilizzati per realizzare i tamponi: ci volle una guerra mondiale – e una media di venticinque tra morti e feriti al giorno – per pensare a come risolvere un disagio che la donna provava una volta al mese da all’incirca cinque milioni di anni. Se ci si domanda il perché, la risposta è semplice, dal momento che riguarda ancora la nostra quotidianità: le mestruazioni sono un tabù, forse uno dei peggiori. Non solo si tratta di un fluido corporeo: si tratta di un fluido corporeo che fuoriesce dalla vagina di una donna.

Forse, il gesto più rivoluzionario nella storia delle mestruazioni è da attribuire a Ipazia, la quale ebbe il coraggio, tra la fine del IV e l’inizio del V secolo, di mostrare una pezzuola sporca del proprio mestruo a un suo amante – e in ogni caso non fece una bella fine. Per il resto, delle mestruazioni non si è mai parlato e ancora oggi ne parlano solo le donne, preferibilmente a voce bassa. Qualcuno potrebbe obiettare che ne parlano solo le donne perché è una questione prettamente femminile: quel qualcuno si sbaglierebbe alla grande. Innanzitutto perché la fertilità di una donna deve essere necessariamente un interesse condiviso. Dopodiché perché, anche se tendiamo a dimenticarcelo, la maggior parte di noi condivide con il flusso mestruale un itinerario comune: oltre a esserci sviluppati per nove mesi in un utero, siamo usciti da esso seguendo il medesimo tragitto che compie il sangue mestruale ogni mese. Insomma: le mestruazioni riguardano ognuno di noi.

Com’è possibile, allora, che gli assorbenti attualmente in commercio siano tossici? Com’è possibile, allora, che l’apparato riproduttivo della donna venga trattato con tanta noncuranza? E ancora, com’è possibile che sui tamponi sia imposta un’IVA del 22%, alla stregua di un qualsiasi bene di lusso?

Forse la gravità della situazione risulterà più chiara con qualche dato alla mano. Una donna spende in media all’anno 126€ in assorbenti e ne utilizza nel giro di una vita all’incirca 12.000. Tenendo conto del fatto che il menarca si manifesta intorno al dodicesimo anno di età e la menopausa intorno al cinquantesimo, possiamo calcolare che una donna nel corso della sua vita spende quasi 5.000€ in assorbenti. Chiedere 5.000€ a una donna per il tamponamento del suo flusso mestruale non solo è un furto bello e buono, ma è anche un atto di becero maschilismo, perché è qui che l’uomo entra in scena e finalmente si occupa di mestruazioni: quando si tratta di lucrare a discapito della salute e del dispendio economico della donna. Non ci stupiremo quindi nel sapere che le lamette da barba non sono tassate, in quanto bene primario, ma forse vale la pena riflettere sul fatto che il governo ha recentemente abbassato l’IVA sul tartufo al 5%. Insomma: il tartufo ha un’IVA quasi del 20% inferiore rispetto agli assorbenti. E, a proposito di percentuali a doppia decina: l’IVA italiana sugli assorbenti supera la media europea del 20%. Sono numeri che fanno rabbrividire e che dovrebbero fare indignare tutti, non solo le donne, perché sono un chiaro sintomo di quanto ancora c’è da lavorare per raggiungere la parità dei sessi, checché se ne dica.

I problemi legati agli assorbenti non sono solo di natura economica. Come già accennato, gli assorbenti attualmente in commercio sono tossici: al loro interno sono state trovate sostanze tossiche e pesticidi, le quali, a contatto con la vagina, possono creare vere e proprie sindromi da shock tossico. La SST (Sindrome da Shock Tossico) è nel 70% dei casi definita “mestruale”, in quanto dovuta all’utilizzo di tamponi mestruali. Forse se la cavavano meglio le donne nell’antico Egitto: a fronte di un prodotto quasi uguale in quanto a conformazione, inserivano nella propria vagina materiali naturali e non tossici – e questo la dice lunga sulle modalità di sviluppo della società moderna.

 

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Fonte Ilbolive.unipd.it

 

Infine, un problema altrettanto grave e che oggi più che mai va preso in considerazione è l’impatto ambientale degli assorbenti. Tornando al discorso su quanto se la cavavano meglio le donne nell’antico Egitto, se gli assorbenti in passato (e anche in un passato abbastanza prossimo) venivano confezionati con materiali biodegradabili e riutilizzabili, oggi gli assorbenti sono realizzati per lo più in plastica e sono monouso. Varrà la pena anche in questo caso di offrire qualche dato. Si è già detto che una donna consuma nel giro di una vita all’incirca 12.000 assorbenti: attualmente la popolazione femminile mondiale conta più o meno 3.7 miliardi di persone. A voi il calcolo e, mentre lo fate, tenete conto del fatto che il primo assorbente utilizzato da una donna, una volta gettato nella spazzatura, si decomporrà molto dopo che questa morirà. È uno scenario agghiacciante, sul quale la maggior parte delle persone non si interroga, perché difficilmente siamo portati a interrogarci sull’impatto delle nostre abitudini: anzi, il mercato ci porta a crearne sempre di nuove e, tendenzialmente, a forte impatto ambientale.

A questo punto sorgerà spontaneo chiederci: «Com’è possibile che un prodotto maschilista, caro, pericoloso per la nostra salute e devastante per l’ambiente permei la vita della maggior parte delle donne?». E qui si torna a quanto detto all’inizio di questo articolo: gli assorbenti ben rappresentano le dinamiche che caratterizzano il modus cogitandi atque operandi della società moderna. Il sistema capitalista ci è davvero sfuggito di mano: siamo riusciti a farci convincere che abbiamo bisogno di prodotti fondamentalmente inutili e a breve durata, così possiamo toglierci lo sfizio di consumare più spesso, con l’illusione di spendere meno. Tempi di produzione più brevi, a fronte di una produzione molto più ampia vanno necessariamente a discapito del nostro pianeta, dei lavoratori e dei consumatori. E in questo senso la produzione e la vendita dei tamponi mestruali sono un ottimo esempio. Per questo motivo dovremmo imparare a interrogarci più spesso sulla sostenibilità e la moralità delle nostre abitudini. Lo “sviluppo” a cui abbiamo assistito negli ultimi sessant’anni ha sicuramente contribuito a rendere la nostra vita più facile, coccolandoci con tutte le comodità del caso, ma a che prezzo? Basta un rapido sguardo alla vita dei nostri bisnonni per capire che, mettendo le cose sulla bilancia, abbiamo miseramente fallito. E forse, la decrescita felice di cui tanto si parla e si è parlato, non è poi una cattiva idea: forse se la cavavano davvero meglio le donne nell’antico Egitto.

Ma, mentre ci interroghiamo sui risvolti critici delle nostre abitudini e ci abituiamo pian piano al ritorno, nel nostro piccolo, a un sistema economico sostenibile, basato sulla riduzione, il riuso e il riciclo, nonché sull’autosussistenza e l’autoproduzione, là dove sia possibile, possiamo già fare la differenza per noi e per il pianeta.

Verso la fine degli anni Trenta del Novecento Lenoa Chalmers ideò la prima coppetta mestruale riutilizzabile, la quale, fatta eccezione per la scelta dei materiali, presentava all’incirca la conformazione attuale. Non ebbe successo, perché la comodità del tampone usa e getta superava la comodità dell’estrai, svuota e inserisci. Ma solo di comodità, o meglio, abitudine si tratta, perché, a conti fatti, non c’è un motivo per cui non valga la pena sostituire gli assorbenti tradizionali con la coppetta mestruale. Se una donna spende 126€ l’anno in assorbenti, la coppetta ne costa all’incirca 20 e dura diversi anni, ma anche se durasse solo due mesi sarebbe più economica dei normali tamponi. La coppetta mestruale è confezionata in silicone medicale, un materiale privo di tossicità e che non permette la prolificazione di batteri, a differenza degli assorbenti, poco igienici e spesso causa di cattivi odori. Infine, la coppetta mestruale ha un impatto ambientale quasi pari a zero. Insomma: se i tamponi rappresentano il capitalismo, il maschilismo e la devastazione ambientale, la coppetta mestruale è un inno al femminismo e all’ecologia. Un metodo di tamponamento alternativo alla coppetta mestruale, ma con le medesime potenzialità è quello degli assorbenti o delle mutandine lavabili, il quale dimostra quanto, nella maggior parte dei casi, una decrescita felice sia ciò di cui oggi più che mai avremmo bisogno.