L’individuo e lo Stato tra autonomia ed empatia: una storia dei Diritti dell’ uomo dalla Rivoluzione francese ad oggi

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Jacopo Bernardini, Torino –

I diritti dell’uomo sono diritti storici, nati in determinati periodi caratterizzati da lotte per la difesa di nuove libertà contro vecchi poteri. L’affermazione dei diritti dell’uomo deriva da un rovesciamento radicale di prospettiva, caratteristico della formazione dello stato moderno, nella rappresentazione del rapporto politico, cioè nel rapporto stato-cittadini o sovrano-sudditi: per comprendere la società, dunque, bisogna partire dal basso, cioè dagli individui che la compongono.

Tale concezione individualistica della società procedette lentamente ma inesorabilmente, passando dal riconoscimento dei diritti del cittadino in un singolo stato al riconoscimento dei diritti del cittadino nel mondo.

Nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 venne affermata l’esistenza di diritti naturali inalienabili, quali la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione: un gruppo di diritti riguardava i cittadini in quanto individui, un altro gruppo riguardava il soggetto collettivo (la nazione), detentore della sovranità e con poteri politici fondamentali.

 

 

Ciò ha favorito l’emergere dell’individuo all’interno di uno spazio prima riservato esclusivamente agli stati sovrani, innescando un processo irreversibile. Nonostante ciò, vi è un importante differenza tra i diritti proclamati in una dichiarazione solenne e quelli effettivamente protetti in un ordinamento giuridico ispirato ai principi del costituzionalismo.

Uno degli aspetti più trascurati della Rivoluzione francese riguarda, senza dubbio, l’influenza che essa esercitò nella diffusione del Diritto internazionale. I fondamenti giuridici di una nuova dottrina internazionale possono essere ricercati all’interno di alcuni nuovi principi introdotti dai rivoluzionari francesi.

Alcune idee giuridiche furono considerate fondamentali fin da subito, come la nuova concezione dello Stato-nazione detentore della sovranità, che si collocò alla base delle relazioni internazionali al posto delle dinastie regnanti.

Da quel momento alcune delle diverse relazioni che precedentemente non avevano una regolamentazione giuridica ricevettero una sistemazione dal punto di vista legale, come i diritti degli stranieri, il disciplinamento giuridico dei prigionieri e le dichiarazioni di guerra.

 

 

Per quest’ultima in particolare un incessante dibattito interessò il lavoro dell’Assemblea dal 14 al 22 maggio 1790: venne infine deciso di optare per una limitazione del potere regale nel procedimento di dichiarazione di guerra, affidando tale scelta al Corpo legislativo.

Per la prima volta nella storia venne posto il problema del modo di considerare la guerra. Con il titolo VI della Costituzione francese del 1791 venne stabilita definitivamente la dottrina della «guerra ingiusta» e condannata ogni tipo di guerra di aggressione:

 

“La nazione francese rinuncia ad intraprender una guerra al fine di conquista, e giammai impiegherà le proprie forze contro la libertà di un popolo”

 

Solo un esempio per comprendere meglio come queste tendenze internazionali nelle Costituzioni rivoluzionarie francesi ebbero una grande importanza nel definire la progressiva interdipendenza tra diritto internazionale e testi costituzionali.

Queste discussioni anticiparono quello che diventerà il trattato multilaterale Briand-Kellogg del 1928, stipulato a Parigi, tramite il quale la guerra fu dichiarata fuori dell’ordinamento giuridico degli Stati.

La dottrina internazionale della Rivoluzione francese comportò due tendenze principali. La prima, «individualista», si basò unicamente sull’idea della sovranità nazionale.

A fianco dell’individualismo, vi fu un’altra tendenza, detta «solidarista», basata sul riconoscimento della necessità di una organizzazione internazionale. Secondo il giurista Boris Mirkine-Guetzévitch è all’interno questa tendenza si possono ritrovare le origini della futura Società delle Nazioni:

 

“La dottrina internazionale della Rivoluzione è l’idea di organizzazione internazionale, l’idea giuridica che solo un’organizzazione internazionale può stabilire la pace, per cui quest’ultima sarà una semplice conseguenza. (…) La pace sociale all’interno dello Stato non è che una conseguenza dell’organizzazione giuridica. Il diritto deriva dall’ordine, il diritto deriva dall’organizzazione; non c’è diritto senza le istituzioni. Ecco il punto essenziale di tutta la concezione giuridica della Rivoluzione”

 

L’influenza degli ideali rivoluzionari francesi nell’affermazione del diritto internazionale non si fermò alla Società delle Nazioni. La storica Lynn Hunt, ad esempio, ha saputo indicare diversi punti di convergenza tra la Dichiarazione universale dei diritti umani promulgata dall’ONU nel 1948 e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789.

 

 

Entrambe le dichiarazioni si basano su affermazioni di ovvietà, presupponendo l’esistenza di diritti umani fondati sulla naturalezza, l’uguaglianza e l’universalità. Secondo Hunt alla base di questa autoevidenza dei diritti umani vi sono i concetti di autonomia ed empatia: l’autonomia permette di concepire gli altri esseri umani come singoli individui, capaci di ragionare autonomamente e decidere per se, mentre l’empatia è la capacità del singolo individuo di immedesimarsi negli altri.

Il mancato sviluppo di autonomia ed empatia, cioè il mancato riconoscimento dell’autonomia morale di un certo gruppo di individui permette l’esistenza di una disparità nel riconoscimento dei diritti umani e civili.

All’interno della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino non vengono nominati Re, tradizione, storia, costumi, classi, religioni, sessi e non vengono enunciati diritti di gruppi specifici.

La generalità delle affermazioni rese possibile ampliare la discussione sui diritti, generando, secondo Hunt, un «effetto a cascata» degli stessi basato su una «scala della concepibilità», intesa come la considerazione dell’autonomia morale di un determinato gruppo sociale o etnico in un determinato periodo storico. Presto i diritti contenuti nella Dichiarazione vennero estesi ai protestanti (dicembre 1789), agli ebrei (settembre 1791), ai neri (maggio 1791, aprile 1792) e agli schiavi (febbraio 1794)

 

Il momento della firma dei trattati di Briand Kellogg (27 agosto 1928)

 

Nonostante il peso che ebbe la concezione universalistica dei diritti dell’uomo all’interno del contesto rivoluzionario francese, tra la dichiarazione dei diritti francese e quella del 1948 vi fu un lungo intervallo temporale dove la discussione sui diritti si inserì all’interno di contesti nazionali specifici.

Dopo la parentesi napoleonica, dove si cercò, infruttuosamente, di creare un ibrido tra società gerarchica tradizionale e affermazione dei diritti dell’uomo, durante gli anni del crescente nazionalismo i diritti dell’uomo iniziarono a dipendere dall’autodeterminazione nazionale e a fondarsi su presupposti inerenti la razza, orientati verso l’ottenimento di un’omogeneità culturale.

Il peso della Dichiarazione dei diritti dell’uomo rimase tuttavia così forte che, per riaffermare l’esistenza di differenze naturali tra gli uomini, si dovette fare ricorso a teorie biologiche parascientifiche basate sulla presenza di strutture gerarchiche innate nella natura umana.

Tali teorie (ma non solo) contribuirono al disastro delle due guerre mondiali, come riconosciuto nel preambolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata dalle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948.

Da quel momento l’ignoranza riguardo al riconoscimento dei diritti dell’uomo, nel campo del diritto internazionale, non venne più considerata ammissibile.

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