“Degas à l’Opera”: uno sguardo sulle questioni di genere nell’Ottocento

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Lorenzo Bonomelli – Bologna

Con la mostra “Degas à l’Opera, inaugurata a fine settembre e visitabile fino al 19 gennaio 2020, il Musée d’Orsay celebra i trecentocinquant’anni dell’Opera de Paris, fondata sotto Luigi XIV nel 1669. L’esposizione, che raccoglie alcuni dei più noti capolavori dell’artista francese, offre l’occasione per ripensare e rivalutare l’immagine di questo impressionista sui generis, permettendo di inserire le sue celebri danseuses (ballerine) nel contesto più generale dell’Opera, di cui “Degas fece il punto centrale dei suoi lavori”, come spiega il curatore Henry Loyrette. La ricchezza dei medium utilizzati (pittura, scultura, disegno, ma anche decorazione di ventagli e alcune rarissime fotografie) e le infinite sfumature dello stile di Degas guidano il visitatore alla scoperta dell’Opera, “che non è per lui soltanto un genere musicale e uno spettacolo, ma un luogo, un’architettura e un mondo a sé”: i diversi e variegati soggetti che abitano questo “mondo a sé”, sui quali si sofferma lo sguardo del pittore, in realtà costituiscono un autentico spaccato della società francese del tempo.

Tra i tanti temi, tutti i lavori esposti trattano in qualche modo la questione dei rapporti tra uomini e donne, relativamente alla quale l’Opera si rivela essere un punto d’osservazione privilegiato. Agli occhi dello storico, però, interpretare i lavori di Degas per trarre delle osservazioni sulle problematiche di genere è un’operazione che richiede delle cautele particolari. Non abbiamo infatti a che fare con delle fonti tradizionali, ma con delle opere d’arte; in questo specifico caso, inoltre, va ricordato che Degas, a differenza degli altri impressionisti, rifiutava di dipingere en plein air e in diretta. I suoi quadri non sono dunque delle riproduzioni necessariamente fedeli dell’Opera, poiché in loco il pittore si limitava ad abbozzare degli schizzi, che poi rielaborava nel suo atelier. È perciò evidente che queste tele sono il frutto di una personale riformulazione della realtà da parte dell’artista: riformulazione guidata anzitutto, come è comprensibile, da preoccupazioni di natura estetica. Tuttavia, per Degas l’Opera non si limita ad essere un’inesauribile fonte di esperienze estetiche: al contrario, diventa il “luogo dove musica, danza, gioco e rappresentazione sociale si mescolano”, ovvero un’arena pubblica, uno spazio di manifestazione e affermazione dei valori comunitari. Grazie ai suoi quadri, dunque, possiamo gettare un colpo d’occhio sulla società francese del XIX secolo, tenendo però sempre presente il punto di vista personale del pittore: un borghese di alta cultura, che emerge con maggiore forza proprio in virtù dell’estremo coinvolgimento soggettivo tipico dell’atto di produzione artistica. A tal proposito si può applicare a Degas quanto scritto da Alberto Mario Banti per Manet: i suoi lavori hanno

 

“moltissimo da dire sulla mentalità dell’epoca […]: collocati nel loro contesto storico, quei quadri aprono squarci illuminanti per capire il senso profondo della morale borghese”.

 

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Figura 1: E. Degas, Petites filles spartiates provoquant des garçons, 1860-1862, olio su tela, 109,5×155 cm, Londra, National Gallery

 

Il lavoro formale sui classici: un’eredità di grazia, armonia e perfezione

La tematica di genere emerge a partire dalla prima sala, dedicata a soggetti classici e apparentemente sconnessi dal mondo dell’Opera. Ad esempio, il quadro Giovani spartiate provocano dei ragazzi (fig. 1) è ispirato all’educazione virile delle ragazze spartane, che non hanno alcun timore di mostrarsi svestite e sfidare un gruppo di coetanei maschi. Si delinea qui una totale divisione tra i due generi, che non comporta però alcun sottotesto di supremazia dell’uno sull’altro, né rimanda a qualsivoglia stereotipo: al contrario, per la loro attitudine e i loro gesti, ma anche per la fattura statuaria dei corpi, le ragazze appaiono paradossalmente più “virili” dei giovani spartani, imberbi e puberi.

Ma, al di là dei soggetti di storia antica, Degas lavora sui modelli classici e sui maestri del Rinascimento italiano a livello anzitutto formale: studiando e imitando statue e bassorilievi grecolatini, oppure la pittura di Mantegna e Giotto, egli realizza innumerevoli disegni di corpi umani e parti anatomiche, che riutilizzerà poi per dipingere i corpi delle sue ballerine. Queste ultime, quindi, si presentano come portatrici della grazia e dell’armonia che, presso i classici, erano incarnate dalla perfezione del corpo e delle arti. Conseguentemente, sarebbe facile immaginare che l’Opera rappresentata da Degas sia un’esaltazione della figura femminile; l’osservazione dei quadri successivi, in realtà, dimostra quale fosse la natura di questa grazia, armonia e perfezione, lasciando trasparire chiaramente il carattere patriarcale della società del XIX secolo.

 

Figura 2: E. Degas, Les Musiciens, 1874-1876, olio su tela, 69x49cm, Francoforte, Städelsches Kunstinstitut

 

Un mondo alla rovescia?

Un elemento immediatamente evidente in tutte le rappresentazioni dell’Opera è la separazione tra i generi: tra il pubblico e nell’orchestra troviamo esclusivamente spettatori e musicisti maschi, elegantemente vestiti e connotati da colori scuri; al contrario, le donne sono situate su un palcoscenico luminoso e indossano costumi di danza classica (fig. 2). Già queste prime osservazioni stimolano alcune riflessioni. Prima di tutto, si deve notare che le danzatrici sono, certo, espressione di armonia e perfezione, ma esse devono rispondere a criteri stabiliti dagli uomini: sono gli uomini a dirigere la loro danza (compositori, musicisti e maestri) e sono sempre e solo degli uomini a guardare e giudicare le loro performance. I concetti di grazia, perfezione e armonia femminile sono il prodotto di un mondo eminentemente maschile. È chiaro, inoltre, che la donna non può fare affidamento sulle sue semplici abilità artistiche, ad esempio come musicista (attività che essa esercita esclusivamente all’interno di spazi domestici, come dimostrano alcuni ritratti di pianiste): a una donna è richiesto di mostrare il corpo, svelarlo ed esporlo agli occhi maschili. C’è un interesse di natura sessuale da parte degli spettatori (e forse anche del pittore) per i corpi delle ballerine, con una spasmodica attenzione per le gambe femminili, che nell’Ottocento non erano mai mostrate in pubblico. Conferma di ciò si trova nella totale assenza di rappresentazioni di ballerini maschi: in un’epoca in cui l’omosessualità è tabù, sono i corpi delle donne a essere messi in mostra, guardati e bramati.

La distinzione sociale tra i due generi, dunque, è messa visivamente in evidenza dall’abbigliamento, dal cromatismo e dal posizionamento spaziale delle figure. Sotto quest’ultimo aspetto, va quindi notato che le donne sono confinate sul palco: si tratta di un luogo limitato, con colori accesi e sfavillanti, separato ed estraneo dal mondo reale. Ciò che succede sul palco è finzione, recita e coreografia: lo svelamento del corpo femminile, ma anche il ruolo centrale attribuito alle donne in scena, vengono rappresentati come alieni alla realtà sociale. Alcuni dipinti alludono chiaramente a ciò, ad esempio il Ritratto di Mademoiselle Fiocre, dove la scenografia orientaleggiante marca la distanza con il mondo reale. Significativo anche il fatto che, in tutta l’esposizione, l’unico uomo a comparire in scena come danzatore a fianco di una ballerina sia Arlecchino: il palcoscenico viene evidentemente connotato come un carnevale, un “mondo alla rovescia”. Sul quale però, come si è visto, rimane saldo il dominio maschile.

 

Figura 3: E. Degas, La classe de danse, 1873-1876, olio su tela, 85,5x75cm, Parigi, Musée d’Orsay

 

Spazi di libertà e di sfruttamento

Per altro, i tanti quadri e disegni ambientati dietro le quinte degli spettacoli, o nei foyer dei teatri dove si tenevano le lezioni di danza (alle quali Degas, come pochi altri fedelissimi frequentatori dell’Opera, aveva il privilegio di assistere) negano ogni possibile squarcio di emancipazione femminile. Osservando gli allenamenti quotidiani delle danzatrici (fig. 3), scopriamo che la loro grazia non è naturale, ma è il risultato di anni di sfiancanti lezioni agli ordini di maestri uomini (ruolo che nei quadri di Degas non è mai ricoperto da una donna).

Ma in tali spazi chiusi e non completamente pubblici, spesso con inquadrature anguste, trova spazio anche il tema ricorrente delle “ballerine a riposo”: vediamo finalmente queste giovani in pose spontanee, lontane e libere da occhi maschili da soddisfare, che si rilassano e si sdraiano, si massaggiano i piedi e le caviglie, sbadigliano estenuate dalle dure ore di allenamento (fig. 4). Lo sguardo del pittore si fa forse complice e comprensivo, e le rare figure maschili, con i loro abiti scuri, sono fuori luogo e persino inquietanti. Gli uomini appaiono “seri in un luogo frivolo”, mostrandosi comunque sicuri di incarnare l’autorità sociale e anche sessuale, come nel caso degli spettatori che si recano dietro le quinte per incontri galanti (fig. 5).

 

Figura 4: E. Degas, Danseuse assise, 1881-1883, pastello su carta, 62x49cm, Parigi, Musée d’Orsay

Figura 5: E. Degas, Deux hommes et deux danseuses, 1880, monotipo, 31×27,5cm, collezione privata

Figura 6: E. Degas, Virginie se faisant admirer devant le marquis Cavalcanti, 1880-1883, monotipo ritoccato a pastello, 20,5×14,9cm, Washington D.C., National Gallery of Art

 

Si apre qui il tema, ben trattato nella mostra, della contiguità tra il mondo della danza e quello della prostituzione: capitava spesso, infatti, che le giovani ballerine finissero a lavorare in un bordello, se escluse dalle scritturazioni. Espressione degli strati più umili della società (commoventi le rappresentazioni delle madri, popolane che accompagnano speranzose le figlie al primo esame), le danseuses sono, in ottica di classe, proletarie che vendono la loro forza lavoro, impiegando il loro corpo. La danza si presenta come una possibilità, un sogno di una carriera sulle orme di poche, grandi dive: una carriera di cui fa parte anche la disponibilità all’intimità con alcuni importanti spettatori, che possono fare la fortuna o la sfortuna di una ballerina.

L’Opera, che pareva essere un “mondo a sé” separato dalla realtà, lo è quindi di certo, ma non nel senso di un “mondo alla rovescia” di maggior dignità femminile: al contrario, il dominio maschile qui si esprime con evidenza e si estremizza, senza i freni (seppur pochi e illusori) imposti nella vita reale dalle regole sociali. La supremazia di genere all’Opera si combina alla distanza socioeconomica tra spettatori e ballerine, e all’istituzionalizzazione dell’esposizione del corpo femminile: cade ogni forma di “decenza”, che mai, nella vita reale, avrebbe permesso a un aristocratico di guardare come una bestia da fiera una sua pari rango (fig. 6). Non che Degas fosse consapevole di tutto ciò, e da uomo ottocentesco di certo non lo avrebbe sottoscritto: ma questo è il mondo che traspare dai suoi capolavori. A noi spettatori rimane solo il senso di profonda malinconia che emerge da alcune delle sue danseuses: una forma
forse di inconscia empatia con il soggetto che lo ammaliò per una intera vita?

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