Le radici ottocentesche del mondo di oggi. Cemil Aydin e una storia globale del secolo XIX

 

Michele Magri, Padova –

Le origini dell’attuale equilibrio mondiale, policentrico e interconnesso, si troverebbero nelle dinamiche storiche del “lungo Ottocento”: così suggerisce Cemil Aydin, studioso di origini turche e docente alla University of North Carolina at Chapel Hill, che pubblica con Einaudi la traduzione italiana di Il lungo Ottocento. Una storia politica internazionale (Einaudi, 2019), un contributo già apparso nel volume collettaneo Geschichte der Welt. 1750-1870. Wege zur modernen Welt (C.H. Beck, Monaco di Baviera, 2016) curato da Sebastian Conrad e Jürgen Osterhammel.

Con questo saggio, l’autore intende fornire un approccio nuovo al modo di pensare la storia politica internazionale dell’Ottocento che, accantonando la logica eurocentrica, spieghi l’origine pienamente ottocentesca di tendenze e configurazioni geopolitiche del XX e XXI secolo.

 

«Quelle che oggi gli storici descrivono quali regioni e civiltà, lungi dal preesistere, emersero alla fine del XIX secolo come risultato di immaginari geopolitici: il mondo bianco e occidentale, il mondo musulmano, la “razza gialla” asiatica e la “razza nera” africana» (p. IX).

 

L’interazione e la sovrimposizione di identità geopolitiche nuove a logiche regionali già esistenti si inserisce in quel processo che già Christopher Bayly aveva definito “nascita del mondo moderno” (C. A. Bayly, La nascita del mondo moderno 1780-1914, Einaudi, Torino, 2007). L’autore fa qui ricorso ai concetti di “regione” e di “impero”, che egli ritiene unità essenziali per la ricostruzione di un puzzle complesso quanto in costante evoluzione. Anche la scelta della periodizzazione si inserisce in una logica di provincializzazione dell’Europa ed è perciò volta a non privilegiare nessuna area geografica specifica: il “lungo Ottocento”, periodo ponte tra l’antico regime e la modernità come rilevava lo storico siciliano Salvatore Lupo (S. Lupo, Il passato del nostro presente. Il lungo Ottocento 1776-1913, Roma-Bari, Laterza, 2010) è un ampio arco di tempo il cui avvio può essere identificato con le prime tendenze verso nuove dinamiche globali negli anni 1770 e che giunge, attraverso una graduale diffusione e un rafforzamento delle interconnessioni globali e dell’affermazione dell’ordine mondiale imperiale, alla china declinante degli imperi e all’apertura di una nuova fase negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale.

 

 

Secondo Aydin, le prime mosse della nuova configurazione mondiale possono essere individuate all’incirca nell’ultimo quarto del Settecento, quando il mondo appariva suddiviso in tre macro-ordini regionali: l’Asia orientale, il mondo islamico e l’area cristiano-europea. Ciascuno di questi si presentava come un «sistema aperto» poroso e influenzabile dai rapporti con contesti diversi. Tale status quo mostrava già una tendenza alla globalizzazione, sull’onda della fine dell’età delle scoperte, di un nuovo vigore delle idee di universalismo imperiale e da un generale consolidamento politico accompagnato da un accentramento del potere.

Fu in seguito al Congresso di Vienna che si aprì una fase di assestamento imperiale che si protrasse fino al 1870-1880: in quest’epoca si impose il principio dell’“inter-imperialità”, definito dalla studiosa americana Laura Doyle, a cui lo stesso Aydin fa riferimento, come

 

«un insieme di condizioni politiche e storiche create dalle violente interazioni tra imperi e dall’interazione tra persone in movimento tra e contro gli imperi»
(L. Doyle, Inter-imperiality. Dialectics in a Postcolonial World History, in “Interventions. International Journal of Postcolonial Studies”, XVI, n.2, 2014, pp. 159-196).

 

Al contempo, gli imperi rafforzavano il proprio potere ricorrendo a nuove tecniche di governo, a nuovi repertori di legittimità e, nel caso degli imperi europei, espandendosi geograficamente. Ciò determinò un riorientamento progressivo delle connessioni regionali esistenti e gli ordini regionali settecenteschi si ritrovarono così presto incorporati in un nuovo ordine globale eurocentrico. Progressivamente, e a ulteriore conferma di questo sistema, si fece strada una «logica eurocentrica globalizzata che ragionava in termini di gerarchie di civiltà» (p. 97), mentre gli imperi europei avviavano un processo di nazionalizzazione, con cui quella logica veicolava una narrazione geopolitica volta al rafforzamento degli stati e a mobilitare la popolazione. Tuttavia, l’estensione progressiva del dominio imperiale europeo finì per agevolare la nascita di nuove reti e circuiti di scambio nelle società extraeuropee, che, sostiene Aydin, si sarebbero rivelati in seguito estremamente importanti.

L’ultimo quarto del XIX secolo fu caratterizzato dal successo del sistema imperiale eurocentrico, tale per cui «l’egemonia militare, economica e politica degli imperi europei cominciò a essere concepita come ascesa storica dell’Occidente» (p. 119). Se ciò fu possibile anche grazie alle nuove tecnologie di comunicazione, di trasporto e di governo, quegli stessi strumenti crearono spazi di mescolanza fra sudditi diversi e permisero una ancor maggiore interconnessione tra regioni asiatica, islamica e africana dando luogo a idee e progetti politici di solidarietà tendenti alla riforma regionalista dell’ordine mondiale. In tale contesto, si assisté inoltre a una progressiva riconfigurazione del sistema mondiale in spazi regionali identificabili razzialmente: Aydin suggerisce come le cause di tale processo vadano rintracciate nell’intensificazione dei fenomeni di mobilità, nel globalizzarsi delle categorizzazioni ed etichettature eurocentriche intorno a razza, religione, etnia, e nelle prime avvisaglie di perdita di legittimità imperiale generate dall’incapacità di fornire adeguate soluzioni alle istanze di partecipazione e uguaglianza. A proposito di tali circolazioni, spiega chiaramente Aydin che

 

«Una delle cause fondamentali del regionalismo che nutriva l’immaginario politico internazionale fu la crescente asimmetria e disuguaglianza delle relazioni di potere fra gli imperi di una piccola area geografica europea […] e le altre realtà statali e politiche del pianeta. La divisione del mondo interconnesso non solo in formazioni politiche imperiali, ma anche in gruppi razziali e religiosi si attuò, paradossalmente, proprio nel momento in cui le rivendicazioni universaliste della regione europea venivano accolte, discusse e riviste da una nuova generazione di riformisti politici e cittadini extraeuropei istruiti.» (p. 109)

 

Con l’avvio del XX secolo, gli imperi europei, pur controllando ancora una vasta porzione del globo e popolazioni differenti grazie a un’articolata macchina statale e militare, persero gradualmente legittimità, via via che si identificavano con una nazionalità e una razza specifica: il nazionalismo, mirando a produrre maggioranze etniche in singoli stati, forniva ormai una nuova visione dell’ordine mondiale, pur coabitando in un primo momento con l’eterogeneità dei sudditi e cittadini imperiali. Nel 1905, la vittoria giapponese nella guerra contro la Russia funse da detonatore per le società extraeuropee poiché interruppe bruscamente l’idea dell’inesorabilità storica del dominio dell’Occidente e le concezioni regionaliste panislamista, panasiatista e panafricanista strutturarono nuovi progetti politici che sfidavano apertamente il sistema imperiale eurocentrico.

 

 

Fu la Prima Guerra Mondiale a provocare l’affermazione definitiva del principio nazionale che sarebbe poi perdurato nel XX secolo, pur, osserva Aydin, non collidendo necessariamente con l’imperialismo: «ben più rilevante, nel momento in cui vari imperi si dissolvevano nel contesto della Grande guerra, fu che a emergere come unica alternativa fosse il nazionalismo.» (p. 227), anche se va evitato l’errore di credere che esso fornisse un quadro politico inevitabile, dal momento che «anche le identità religiose, razziali e culturali ebbero un peso nella mappa concettuale delle alternative politiche» (p. 229) e che gli avvenimenti rivoluzionari russi del 1917 avevano promosso un’ulteriore possibile alternativa.

In tal senso, è opportuno sottolineare la rilevanza, anche nel Novecento, del coagularsi di forme di identificazione ed elaborazioni politiche intorno a etnie, religioni e spazi regionali e culturali, che, non necessariamente sospinte da un nazionalismo di matrice eurocentrica, si opposero all’ordine imperiale o propugnarono logiche imperiali contrarie all’egemonia europea. Questo tipo di analisi, conclude Aydin, permette non solo di ripensare il ruolo del nazionalismo come motore storico del XIX secolo e sua unità di misura politica, ma anche di comprendere l’emergere di nuove durature logiche globali:

 

«le rivendicazioni politiche avanzate in nome di una regione, di un’unità geopolitica, di una civiltà o razza contribuirono ad articolare o a rendere universali certi valori, che influenzarono la formazione di norme globali grazie alla forza collettiva di popolazioni numerose ed eterogenee che abitavano una certa regione» (p. 234).

 

Il presente saggio corre a tratti il rischio di indulgere ad alcuni di quelli che già lo storico tedesco Sebastian Conrad (S. Conrad, Storia globale. Un’introduzione, Carocci, Roma, 2015) individuava come vizi ricorrenti della prospettiva della storia globale, ossia una propensione a rovesciare l’antieurocentrismo e la generica sopravvalutazione dei fattori e delle dinamiche esterne rispetto alle vicende e alle concause locali, accompagnato da una certa tendenza a trascurare gli apporti metodologici e contenutistici di altri approcci storiografici come la storia culturale o sociale. Nondimeno, Cemil Aydin ha senza dubbio il merito di porre in luce con grande competenza lo sviluppo di dinamiche e connessioni extraeuropee troppo spesso accantonate nell’analisi politica del “lungo Ottocento”, sottolineando come gli esiti degli equilibri regionali e di potere, delle visioni del mondo, delle forme di identificazione collettiva e della progettualità politica di allora abbiano orientato gli sviluppi novecenteschi e siano, per certi versi, ancora attuali.

 

Cemil Aydin
Il lungo Ottocento. Una storia politica internazionale
Torino, Einaudi, 2019
pp. 303