“Una fantasia e le sue conseguenze”: la caccia alle streghe in età moderna

caccia alle streghe, fanatismo religioso, storia popolare, folklore, storia moderna

Mara Caron – Venezia

Nel 1975 lo storico e saggista britannico Norman Cohn (1915-2007) pubblicava un saggio dal titolo Europe’s Inner Demons: An Enquiry Inspired by the Great Witch-Hunt (pubblicato in Italia col titolo I demoni dentro), in cui si riprometteva di indagare la nascita e lo sviluppo di “una fantasia e le sue conseguenze”: con questa espressione egli faceva riferimento a uno stereotipo dell’élite europea destinato a varcare i confini della letteratura entro cui era sorto e a influire drammaticamente sulla vita reale delle persone.

 

Streghe: dalla tradizione letteraria ai tribunali

Tale stereotipo – che includeva infanticidio e cannibalismo rituali, orge promiscue e incestuose, adorazioni sacrileghe di divinità zoomorfe – fu dapprima utilizzato dalle autorità romane nei confronti delle prime comunità cristiane per evidenziarne la natura disumana e bestiale e per giustificarne così l’annientamento; nei secoli successivi furono le stesse istituzioni ecclesiastiche a farne uso per perseguitare piccole comunità cristiane marginali ed eretiche, come quelle dei valdesi e dei fraticelli. Ma furono in particolare alcune personalità tanto carismatiche quanto ossessionate – come quelle degli inquisitori Corrado di Marburgo e Giovanni da Capestrano – a integrare in un quadro coerente questo paradigma stereotipato con la letteratura demonologica e satanica e a dare corpo a una fantasia allucinata e inquietante ma capace di imporsi come reale nell’immaginario delle élites europee.

Il passaggio cruciale che permise alle autorità laiche ed ecclesiastiche di avviare persecuzioni di massa è individuabile a partire dal XV secolo nella confluenza di frammenti della cultura popolare nell’immaginario delle élites: elementi tipici della cultura contadina quali la credenza plurisecolare nelle streghe della notte e nell’universo dei maleficia (pratiche magico-rituali e cerimoniali) furono utilizzati dalle classi colte per convincersi della reale esistenza della stregoneria e dei raduni sabbatici. A partire da elementi puramente letterari, vescovi, inquisitori, magistrati laici e avvocati avevano sviluppato un’immagine demoniaca delle streghe, ritenute membri di una società segreta diretta da Satana e votata alla distruzione dell’umanità; per i contadini invece la strega era una persona che praticava la magia per nuocere ai propri vicini e agli altri abitanti di un villaggio: l’elemento demoniaco e satanico, inizialmente assente nei sistemi di credenze popolari, ne divenne ben presto parte integrante nella misura in cui poté essere utilizzato per eliminare figure marginali e socialmente ingombranti, molto spesso donne anziane e nubili.

Le persecuzioni di massa che sarebbero seguite furono dunque originate dalla potenza dell’immaginazione umana, capace di costruire uno stereotipo a partire da travisamenti letterari, notizie false e ossessioni individuali e di dargli consistenza reale. Il risultato fu un potente strumento di oppressione e persecuzione che ebbe effetti dirompenti sulla vita di individui e comunità marginali e che venne di volta in volta piegato agli scopi contingenti di chi ne faceva uso.

 

streghe

 

Una fantasia delle élites

La credenza nella stregoneria e nei sabba è frutto del tentativo da parte delle élites di comprendere realtà marginali ed eversive senza entrarvi direttamente in contatto e costituisce perciò un esempio della tendenza umana a dare significato alle realtà ignote partendo da elementi culturali noti. Le confessioni estorte agli accusati con metodi inquisitori nei tribunali e riportate nelle trascrizioni dei processi rispecchiano una commistione di elementi della tradizione letteraria colta (quali il volo notturno, il sabba, l’elemento demoniaco/satanico e l’infanticidio cannibalistico) e concezioni distorte della magia rituale e cerimoniale (che comprendeva invece il potere di far ammalare o far morire uomini e bestie, di rendere impotenti o sterili e di distruggere raccolti). I giudici, posti di fronte a dichiarazioni che non erano sempre in grado di comprendere, cercarono così di ricondurre quelle nozioni oscure al proprio universo culturale contribuendo in questo modo a plasmare lo stereotipo che alimentò la caccia alle streghe.

 

 

streghe

 

I complessi rapporti tra classi colte e classi popolari

La fantasia sulle streghe e sui sabba fu dunque un prodotto confezionato dalle classi colte anche a partire da elementi folkloristici, travisati e compresi entro l’universo culturale delle élites; ma è bene notare che lo stesso processo di acquisizione e riadattamento di elementi culturali estranei fu operato dalle classi popolari, che utilizzarono parte di questo stereotipo nella risoluzione di conflitti sociali interni ai villaggi. Le fake news sulla stregoneria furono originariamente diffuse fra le élites e vennero inquadrate in un sistema coerente dagli intellettuali europei, ma attecchirono anche fra i ceti popolari nella misura in cui essi poterono ricavarne elementi da adattare funzionalmente ai propri sistemi di credenze. È chiaro dunque che non si trattò di mera imposizione di uno stereotipo da parte della classe dirigente sul popolo, bensì di una creazione plurilaterale che si arricchì via via di nuovi elementi a seconda del gruppo sociale che recepiva e rimodellava tale pregiudizio secondo le proprie esigenze.

Come ha messo in luce lo storico italiano Carlo Ginzburg nel suo celeberrimo Il formaggio e i vermi, non è proficuo pensare ai rapporti tra “cultura alta” e “cultura bassa” nei termini di imposizione e ricezione passiva, in quanto essi sembrano piuttosto caratterizzati da una complessa trama di influssi reciproci e circolari: il caso della credenza nelle streghe e nei sabba ne è una dimostrazione.

 

 

 

Fanatismo religioso e totalitarismi novecenteschi

Attraverso la ricostruzione di questo processo di demonizzazione Cohn svelò molteplici similitudini tra fenomeni di fanatismo nell’Europa medievale e moderna da una parte e totalitarismi novecenteschi dall’altra: il ruolo di singole personalità carismatiche e ossessionate, lo stereotipo disumanizzante e demonizzante per eliminare nemici politici e per annientare categorie umane accusate di cospirare contro l’umanità o parte di essa, le persecuzioni di massa fomentate da stereotipi infondati. I costanti rimandi alla situazione novecentesca non sono casuali: nel secondo dopoguerra Cohn fu membro dei servizi segreti britannici e, inviato a Vienna per interrogare i prigionieri nazisti, ebbe modo di ascoltare le testimonianze di alcuni rifugiati sovietici che fuggivano dalle persecuzioni staliniane. Questa esperienza lo segnò a tal punto da dedicare la sua carriera accademica allo studio del fanatismo religioso nell’Europa medievale e moderna, nella convinzione che i totalitarismi novecenteschi vi fossero in qualche modo connessi. Nella Prefazione a I demoni dentro egli afferma che il fenomeno indagato in alcuni suoi saggi – cioè l’esigenza di purificare il mondo annientando alcune categorie umane giudicate corrotte e demoniache – non appartiene solamente al passato, bensì

 

“è ancora tra noi; e questo libro […] spingerà alcuni lettori a riflettere non solo sul lontano passato, ma anche su alcuni aspetti della storia del XX secolo”.

 

Il saggio di Cohn, pur essendo così strettamente connesso al contesto storico del suo autore, non smette per questo di dialogare con la nostra contemporaneità. Nell’epoca di internet e delle fake news le riflessioni sulla potenza dell’immaginazione umana e sulla sua capacità di influire sulla realtà appaiono estremamente attuali e feconde, come anche le considerazioni sull’efficacia degli stereotipi costruiti e condivisi da più parti sociali: oggi come allora, la capacità umana di costruire la propria realtà al di là della sua dimensione oggettiva continua a dispiegare tutta la sua potenza, anche nei suoi risvolti più oscuri.

 

Letture consigliate:

N. Cohn, I demoni dentro. Le origini del sabba e la grande caccia alle streghe, Milano, Unicopli, 1994 (ed. or., 1975)

C. Ginzburg, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ‘500, Torino, Einaudi, 1976

P. Burke, Cultura popolare nell’Europa moderna, Milano, Mondadori, 1980 (ed. or., 1978)