Dalle carte processuali al mito letterario: lo scandalo della Badessa di Castro ricostruito in un nuovo libro di Lisa Roscioni

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Vanessa Genova, Catania –

 

Si tiene per certo che la badessa di Castro ha parturito uno putto, dicesi il padre esser il vescovo.”

 

È con queste parole, contenute in una lettera inviata da Roma il 9 settembre 1573, che un agente della famiglia Farnese informa il duca Ottavio dello scandalo che in quei giorni si stava consumando a Castro, la capitale del ducato farnesiano vicino allo Stato pontificio, e che coinvolgeva la badessa e il vescovo della città.

Siamo nella seconda metà del XVI secolo: la nobile Porzia, figlia del conte Giovan Francesco Orsini e cugina della famiglia Farnese, entrò in convento nel 1557 e prese i voti l’anno successivo, adottando il nome di Elena. È l’inizio della drammatica vicenda che, circa un ventennio dopo, avrebbe coinvolto la giovane Orsini: una relazione proibita, la nascita di un bambino, lo scandalo, gli interrogatori e un processo, i cui atti originali degli interrogatori ispirarono, un secolo dopo, una serie di cronache anonime, circolate dopo la demolizione della città di Castro nel 1649 per ordine di papa Innocenzo X.

Fu, probabilmente, una di queste cronache a finire nelle mani dello scrittore francese Marie-Henri Beyle, noto come Stendhal, durante il suo soggiorno romano nel 1833. Successivamente, la lettura della cronaca avrebbe ispirato il noto romanzo storico di Stendhal, LAbbesse de Castro, pubblicato nel 1839 per la “Revue des Deux Mondes” ed entrato a far parte della postuma raccolta Cronache italiane.

Stendhal presentò la vicenda come una traduzione tratta da tre manoscritti antichi: uno “fiorentino” in cui si narrerebbero le vicende precedenti alla monacazione di Elena; uno “romano” che narrava gli eventi accaduti all’interno del monastero di Castro; infine, gli “otto volumi in-folio” contenenti gli atti del processo, ritrovati in una biblioteca di cui l’autore non poteva rendere pubblico il nome.

Oggi è noto che il contenuto della prefazione di Stendhal fu solo un espediente letterario tipico del romanzo storico ottocentesco, che utilizza il motivo ricorrente del “manoscritto ritrovato” per dare alla storia un’illusione di verità. In realtà, tra questi manoscritti, solo uno è stato ritenuto veritiero dalla critica: il manoscritto “romano”, identificato con una piccola cronaca seicentesca intitolata Successo occorso in Castro città del duca di Parma nel monastero della Visitazione fra l’abbadessa del medesmo e il vescovo di detta città, trovata da Stendhal nella biblioteca di palazzo Caetani.

È probabile che anche gli altri due manoscritti citati dall’autore, quello “fiorentino” e gli “otto volumi in-folio”, possano essere stati ispirati sempre dalla lettura del Successo occorso. Si tratta, dunque, di una storia ampiamente circolata già prima dell’epoca di Stendhal.

 

Com’è nato il mito di Castro? In esso, cosa è “veritiero” e cosa è “verosimile”?

Nel saggio La badessa di Castro. Storia di uno scandalo, pubblicato dal Mulino lo scorso novembre, la storica Lisa Roscioni, docente di Storia moderna presso l’Università di Parma, ha ricostruito il complesso delle vicende di Castro – dal processo celebrato nel 1573-74 presso il tribunale romano dell’Auditor Camerae, fino alla pubblicazione del romanzo di Stendhal nel 1839 – partendo dal ritrovamento del codice di tale processo, intitolato Inquisitionis Processus contra Elenam Orsini Abbatissam de Castro, pro fornicatione cum Episcopo Castrensi e conservato nella British Library di Londra dal 1859.

 

 

Lisa Roscioni è riuscita, infatti, a individuare il manoscritto originale del processo cinquecentesco nella biblioteca nazionale del Regno Unito, rimasto sepolto per centocinquant’anni nei depositi della British Library, ancora inedito. Secondo la ricostruzione dell’autrice, il codice arrivò a Londra nel 1859 all’interno della collezione del bibliofilo Guglielmo Libri, un ex patriota italiano che aveva vissuto per molto tempo in Francia.

Accusato di aver sottratto illecitamente centinaia di libri e codici manoscritti, Libri fuggì a Londra, dove riuscì a rifarsi una reputazione nel mercato antiquario inglese. A causa di sopraggiunti problemi economici, Libri fu costretto a mettere all’asta una parte della sua collezione, curando personalmente il catalogo della vendita.

L’asta ebbe un discreto clamore: collezionisti, librai e agenti letterari giunsero da tutta Europa per accaparrarsi una parte della collezione. Tra questi, era presente anche un agente della British Library, che riuscì ad aggiudicarsi il codice del processo di Castro.

Nel catalogo, il codice era stato descritto da Libri come il manoscritto originale del processo intentato dal tribunale del Sant’Uffizio tra il 1573 e il 1574 contro la badessa del monastero di Castro, Elena Orsini, accusata di aver intrattenuto rapporti illeciti con il vescovo di quella città, Francesco Cittadini.

 

Stendhal

 

Libri concluse la propria presentazione descrivendo il manoscritto come la fonte di ispirazione di un recente romanzo francese, alludendo alla pubblicazione de La Badessa di Castro di Stendhal. Ma Roscioni fa notare come “tutti questi elementi, abilmente evidenziati nel catalogo, erano stati pensati per attrarre bibliofili e collezionisti”: la presenza della formula Inquisitionis Processus nel titolo presentato da Libri, il riferimento alla pubblicazione di Stendhal e la presentazione del codice come un “manoscritto ritrovato”, erano tutti elementi di forte attrazione per gli amanti del lato oscuro del Cinquecento italiano, della Renaissance corrotta e dei pastiches letterari a «effetto Scott».

 

“In realtà – fa notare Roscioni – già nella prima pagina del manoscritto si menzionava il vero tribunale dell’Auditor Camerae e, fino a oggi, non si ha la certezza che Stendhal si sia basato proprio su questo manoscritto per il romanzo, sebbene sia un’ipotesi da non escludere a priori. Tali elementi, pensati per rendere il codice “inedito” e prezioso, portarono dunque – come abbiamo visto – alla sua acquisizione da parte della British Library nel 1859“.

 

Dai verbali originali del processo, ai transunti circolati dopo la distruzione di Castro, fino alla trasfigurazione stendhaliana, la storia della badessa di Castro si muove costantemente sul sottile confine tra verità e verosimiglianza.

 

“Il confronto tra quanto narrato durante il processo […] e quanto rielaborato nei racconti successivi può permettere non soltanto di ricostruire una verità plausibile, ma anche di evidenziare come quest’ultima, o pretesa tale, sia stata di volta in volta piegata a scopi di ordine diverso – difensivi, polemici o letterari.”

 

L’analisi filologica e comparativa effettuata da Roscioni sul codice recuperato nella British Library, ha permesso di rilevare non poche differenze tra questo e la rielaborazione romanzesca di Stendhal: ad esempio, lo scrittore francese usò il nome inventato della badessa, Elena di Campi Reale, contenuto nella cronaca seicentesca del Successo occorso.

Inoltre dedicò al processo solo l’ultima parte del racconto, tessendo attorno alla storia dello scandalo una serie di ricostruzioni fantasiose della vita della giovane Elena prima del monastero e cambiando l’esito delle vicende giudiziarie. Un esito che, in realtà, non esiste nelle carte processuali originarie.

Solo una cronaca settecentesca sembra avvicinarsi a ciò che realmente avvenne alla fine del processo: si tratta della Relatione distinta del successo occorso in Castro, conservata nella Biblioteca Vaticana. Il finale della vicenda proposto dalla Relatione distinta è talmente ricco di dettagli e dati da far supporre che il suo autore deve aver avuto accesso a una documentazione più ampia rispetto alle sole carte processuali, attingendo forse anche dai documenti farnesiani.

 

Guglielmo Libri

 

Oggi, anche grazie al riscontro con altre fonti epistolari dell’epoca, si sa che il vescovo Cittadini riuscì ad evitare di essere imprigionato e a riprendere l’attività pastorale. La badessa, invece, si sarebbe dovuto trasferire in un monastero di Piacenza, ma la famiglia tentò prima una mediazione per riparare allo scandalo.

Elena avrebbe dovuto lasciare il monastero e contrarre matrimonio con Ottaviano Cittadini, fratello del vescovo. La morte, però, la colse prematuramente a causa di una febbre, forse scatenata dalle forte pressioni e rimorsi in cui viveva la nobile badessa. Nel complesso, secondo Roscioni, questa risulta essere la versione più attendibile dell’esito dello scandalo di Castro. Alcuni indizi, inoltre, inducono la storica a pensare che lo stesso Stendhal possa aver attinto anche alla Relatione distinta, accedendo ai documenti conservati nella Biblioteca Vaticana.

La differenza tra il romanzo storico e la cronaca settecentesca sta, soprattutto, nella modifica del finale: dipingendo Elena come un’eroina romantica dedita al sacrificio, per Stendhal la sua morte non poteva avvenire banalmente all’interno di una cella; la sua fine doveva essere tragica, dovuta a un amore infelice.

Così, per accontentare il gusto dei suoi lettori, costruì la storia di Elena e Giulio Branciforte, un amore che portò la giovane a uccidersi con una daga nel cuore. L’obiettivo di Stendhal – fa notare Roscioni – non era quello di trasformare il suo racconto in un manifesto contro la corruzione della Chiesa o le monacazioni forzate; la vicenda era “un’occasione poetica per indagare sulle pieghe più recondite dell’animo umano e per risalire alle origini di quell’italianità, di quel “popolo nervoso” dal carattere passionale”.

Le carte processuali dello scandalo di Castro del 1573-74 e l’elaborazione delle cronache in epoche successive, insieme alla scoperta dei manoscritti italiani nel 1833 e alla rielaborazione romanzesca di Stendhal nel 1839, fino a giungere alla vendita delle carte processuali alla British Library nel 1859; la ricostruzione storiografica del mito di Castro ha permesso a Lisa Roscioni di individuare una chiave di lettura che vede in tale percorso un importante tassello del processo di costruzione del concetto rinascimentale di “italianità”. Un concetto nato agli albori del sogno di un’Italia risorgimentale.

 

“Tra le righe del manoscritto si possono intercettare frammenti di vita vissuta, tracce di esistenze che riemergono per un istante per l. essere poi di nuovo inghiottite nell’oscurità da cui sono venute.”

 

L. Roscioni
La Badessa di Castro. Storia di uno scandalo
Bologna, Mulino, 2017
pp. 250