Che cos’è il terrorismo? Un atlante per spiegare le dinamiche del terrore: il nuovo libro di Guido Olimpio

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Veronica Bortolussi, Venezia –

Che cos’è il terrorismo e quali sono le sue forme e manifestazioni? Se alla prima domanda ci aiuta a rispondere l’Enciclopedia Treccani, che definisce il terrorismo come

 

«l’uso di violenza illegittima, finalizzata a incutere terrore nei membri di una collettività organizzata e a destabilizzarne o restaurarne l’ordine, mediante azioni quali attentati, rapimenti, dirottamenti di aerei e simili»

 

alla seconda risponde il lungo, interessante saggio di Guido Olimpio, Terrorismi. Atlante mondiale del terrore, edito da La Nave di Teseo.

 

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L’autore, già giornalista per Il Corriere della Sera e Il Tempo ed esperto proprio di terrorismo internazionale, affronta la questione comparando l’azione terroristica storica, in particolare quella palestinese – per la quale sfrutta il bagaglio di conoscenze acquisite facendo il corrispondente da Israele – e quella della Fazione armata dell’Armata rossa giapponese, con quella odierna, spaziando dal terrorismo di matrice islamica a quello dei cosiddetti «lupi solitari» e dei «mass shooter», fino alla violenza dei Narcos colombiani.

È proprio la ricchissima molteplicità di esempi proposti dal giornalista a dimostrare, agevolmente, come sia più appropriato parlare di «terrorismi», al plurale. L’autore, tuttavia, partendo da questa constatazione, cerca di ricostruire delle «linee guida» dell’azione terroristica, linee che spesso rimbalzano da una parte all’altra del mondo grazie ai mezzi di comunicazione di massa, tra i quali un ruolo di primo piano spetta a Internet e alla televisione, creando un legame anche tra forme di terrore apparentemente lontane, come possono essere gli attentati di matrice jihadista e quelli perpetrati nelle scuole americane, entrambi risposte, in un certo senso, all’ “alienazione di settori delle nostre società”.

 

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Strage di Bologna, 2 agosto 1980

 

Tra i tratti comuni individuati e che trovano più spazio all’interno del saggio, degno di nota è senz’altro il rapporto tra criminalità e terrore, sodalizio già stretto, per esempio, in Italia tra anni Sessanta e Settanta e passato alla storia come “fronte delle carceri”, ma riproposto dagli anni Novanta dai primi jihadisti, in particolare in Francia, dove numerosi combattenti legati all’estremismo algerino, allora interno al Gruppo islamico armato, furono reclutati proprio tra rapinatori, spacciatori e contrabbandieri.

Questo legame, secondo Olimpio, è reso possibile dalla capacità dei leader dei gruppi terroristici di “usare lo stesso individuo, con le sue caratteristiche criminali, mutandone le motivazioni”: “il furto”, quindi, diventa “legale e costituisce un dovere in quanto rappresenta un modo per colpire l’economia degli avversari. Un riadattamento […] dell’esproprio proletario”, senza contare il vantaggio di poter sfruttare un individuo, il criminale, “già pronto mentalmente alla violenza”.

 

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Agguato di Via Fani, 16 marzo 1978. Rapimento di Aldo Moro

 

Anche le tecniche utilizzate per seminare il terrore rimbalzano, grazie ai mass media, tra i diversi terrorismi. Ne è un esempio la “tecnica del taglia-erba”, ovvero il veicolo lanciato contro la folla: nata a fine anni Ottanta a Nablus, nel cui campo profughi un palestinese investì due soldati israeliani, è stata riproposta fino ai giorni nostri mietendo, dal 2006 a oggi, quasi duecento vittime.

Lo stesso tipo di attacco, però, è stato compiuto anche negli Stati Uniti, da uomini che, con il terrorismo islamico, non c’entravano nulla: è il caso dell’ex soldato Shawn Nelson che, rubato un carro armato a San Diego, travolse e distrusse tutto ciò che incontrava sul suo cammino, fino a quando non venne ucciso dalle forze dell’ordine.

Neanche l’Italia è stata esentata da questo “travaso del modus operandi”: a Sondrio, nel 2017, un italiano ubriaco lanciò la sua auto contro un mercatino, tentando di uccidere quante più persone possibile (per fortuna, fallendo). Secondo Olimpio, la fortuna di questo metodo è dovuta a una serie di ragioni:

 

«1) È un metodo «facile», che non richiede una logistica particolare; 2) offre la possibilità a chiunque di partecipare alla lotta […]; 3) per attuarlo si spende poco ma è enorme per il movimento il ritorno propagandistico; 4) emulazione: in tanti si accodano e ripetono copiando quanto visto; 5) il loro [dei terroristi] braccio violento non era abbastanza lungo, in altre parole non avevano a disposizione gruppi di fuoco a sufficienza.»

 

Il lavoro di Olimpio è degno di nota poiché, oltre a fornire una mole impressionante di esempi, è anche ricco di dati. Analizzando i dati del bilancio 2017 relativo al terrorismo nell’Unione europea del Centre d’analyse du terrorisme, il giornalista ha individuato una serie di costanti, che si ripropongono anche in altri attacchi, non legati alla matrice islamica: il “background” (di cui abbiamo già parlato, quindi da interpretarsi come il periodo di detenzione in carcere, più o meno lungo), gli “strumenti d’offesa” (pistole, esplosivo, coltelli e veicoli), i “target civili” (metropolitana, ristoranti, centri commerciali,  locali notturni, concerti ed eventi sportivi, ma anche luoghi di culto, siano esse chiese o moschee) e la “presenza di minori” (si vedano, in questo caso, non solo i bambini kamikaze ma anche i killer nelle scuole americane).

 

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Attentato di Nizza, luglio 2016

 

L’autore dedica grande attenzione a tutti i fenomeni analizzati, non lasciandone nessuno in secondo piano, poiché tutti, ugualmente, pericolosi e problematici, spaziando anche all’analisi delle misure di sicurezza, non sempre adeguate, e che, anzi, rischiano di aggravare la situazione, visto che spesso la prevenzione – necessaria e irrinunciabile – assume il carattere della repressione» e «tutti gli oppositori diventano per definizione ‘terroristi’ ”.

Uno dei maggiori problemi, però, resta l’individuazione delle minacce all’interno di quella che Olimpio chiama l’ “area grigia […] a metà strada tra il terrorismo e la faccenda strettamente personale”.

 

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Attentato di Parigi, novembre 2015

 

Il saggio ha, tra i suoi pregi, oltre al permetterci di ampliare le nostre conoscenze su fenomeni terroristici dimenticati o solitamente tralasciati, anche quello di ricordarci, ancora una volta, che gli avvenimenti di oggi hanno le proprie radici nella storia, più o meno recente, e i terrorismi, con le loro forme e i loro protagonisti, non fanno affatto eccezione.

 

G. Olimpio,
Terrorismi. Atlante mondiale del terrore,
La Nave di Teseo, Milano, 2018
pp. 389