«Che goder potesse il rifugiato l’immunità ecclesiastica». L’asilo ecclesiastico in età moderna

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Capitello all’interno della chiesa di Saint-Nectare, a Puy-De-Dome (Francia)

Roberta Falcetta, Bari –

“Rifugio”, “accoglienza”, “diritto d’asilo”: parole che sono parte della nostra quotidianità, talvolta filtrate dai media o dai discorsi politici. Negli ultimi anni, l’incremento del fenomeno dell’immigrazione e la centralità che esso ha acquisito nel dibattito politico hanno fatto dell’asilo un tema molto interessante, anche dal punto di vista storico: lo studio delle sue radici può aiutarci a comprendere quel “lungo incontro tra gli uomini” di cui scriveva Bloch, scoprendo l’originalità di tutte le dimensioni con cui questa pratica si interseca.

Parlare di asilo significa, inevitabilmente, prendere in considerazione delle nozioni giuridiche: quella che riguarda l’istituto dell’asilo ecclesiastico e che possiamo definire di tipo interno; un’altra che concerne il tipo “esterno”, ovvero l’asilo politico, che assume una dimensione transnazionale ed è l’istituto ancora oggi in vigore. I due asili, al contrario di quanto si possa pensare, non sono due istituti consequenziali, perché l’asilo politico non si presenta come l’evoluzione contemporanea dell’asilo religioso: entrambi sviluppano un percorso parallelo legato a due dimensioni differenti, quella della sacralità dei luoghi e quella dei rapporti interstatali che, sebbene possano trovare alcuni punti di incontro, rimangono ancorate ad ambiti differenti.

Mentre l’asilo politico è solitamente oggetto di studio degli storici contemporaneisti e degli esperti di diritto internazionale, meno approfondito risulta il tema dell’asilo ecclesiastico, inteso come la possibilità – da parte di un individuo – di ottenere il rifugio in un luogo sacro e, successivamente, una protezione giuridica. La storia dell’asilo sacro cominciò quando nella Grecia antica viene definita una vera e propria costellazione di luoghi, santuari regionali o panellenici ritenuti importanti dall’opinione pubblica e quindi considerati sacri ed inviolabili: prosegue poi nel medioevo e in età moderna, quando si configura come vera e propria immunità.

In quest’ epoca, infatti, il rifugiato è solitamente un cristiano che ha commesso un reato o quantomeno ne è accusato: spera di esserne esonerato dalla giustizia civile in quanto momentaneamente rifugiato in un “luogo nel luogo” che assume – agli occhi del cristiano comune – una vera e propria caratteristica di extraterritorialità. La questione teorica della dignità e del rispetto del luogo sacro, la quale impone agli ecclesiastici di misurare l’ingresso e il rifugio in chiesa sulla base di criteri mutevoli, deve quindi fare i conti con un problema molto più concreto, che riguarda il conflitto per la competenza giurisdizionale dei casi di “confugio” e violazione dell’immunitas loci sacri.

Il fenomeno è quanto mai intricato e dinamico in età moderna, perché all’evoluzione dello stato moderno si affianca quella del diritto criminale e la nascita del diritto pubblico. Il diritto canonico, d’altra parte, si allontana dalle dinamiche della christianitas medievale per appropriarsi di quelle della riforma tridentina e divenirne uno degli elementi centrali.

Parlare di asilo ecclesiastico significa quindi avventurarsi nel terreno impervio dei rapporti Stato-Chiesa: un’avventura assai complessa se teniamo conto del pluralismo dei fori, elemento che diviene particolarmente problematico nel caso dell’asilo ecclesiastico moderno; si pensi al caso dell’individuo rifugiato che ha commesso un crimine in territorio laico, ma pretende il privilegio dell’immunità in un territorio sacro di competenza ecclesiastica. La difesa del privilegio è, difatti, il leitmotiv di questa disputa, che nel momento in cui si apre, riguarda non il singolo rifugiato, ma tutto l’apparato ecclesiastico responsabile dell’immunità del rifugio.

 

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Anello del diritto d’asilo, portale della Vergine della Cattedrale di Notre Dame, Parigi

 

Il problema si acuisce quando, dopo il Concilio di Trento, la Chiesa cerca di “disciplinare” e regolamentare tale fenomeno, pur di poter mantenere il privilegio. Tuttavia, i tentativi fatti con la promulgazione di bolle papali, come la Cum alias di Gregorio XIV del 1591 non ottengono i risultati sperati, perché queste bolle risulteranno spesso non recepite dai territori e la gestione del rifugio sacro continuerà ad essere legata alla consuetudine, ai rapporti tra il potere centrale e le autorità locali, agli equilibri sociali.

La bolla Cum alias, in particolare, è la prima disposizione strutturata dell’asilo ecclesiastico e si focalizza su due tematiche pregnanti: i “casi eccettuati” e la violazione dell’asilo sacro. L’elencazione dei “casi eccettuati”, ovvero quei casi in cui non si può godere dell’asilo ecclesiastico, rendono l’asilo un privilegio d’età moderna e rappresentano un tentativo, da parte della Chiesa, di regolamentare l’ingresso in chiesa dei criminali.

Gli storici si interrogano tutt’ora sui criteri utilizzati per la scelta dei casi “eccettuati”, perché sia le disposizioni laiche ed ecclesiastiche sia gli atti processuali ci mostrano come sia permesso il rifugio per alcuni tipi di omicidio, paradossalmente vietato invece ad eretici, ladri di strada o devastatori di campi. A tal proposito uno dei territori particolarmente problematici è il Regno di Napoli, in cui la bolla Cum alias risulta teoricamente non recepita, cioè non accettata formalmente dalle autorità territoriali (sebbene è spesso presa come modello nei casi di violazione d’asilo): di conseguenza, tra Sei e Settecento il fenomeno diviene più o meno problematico in relazione al viceré che detiene il potere e ai suoi rapporti con le élite locali.

Nella Napoli di fine Seicento, dove il dramma sacro (e profano!) di Masaniello mostra il carattere controverso della napoletanità e in cui ogni isolato ha la sua chiesa, l’alto tasso di criminalità ospitato nei luoghi sacri diventa un serio problema di ordine pubblico. Gli atti processuali conservati negli archivi diocesani ci testimoniano infatti come era molto frequente che i rifugiati approfittassero della loro posizione di immuni per compiere atti illeciti o immorali sia all’interno che all’esterno dei luoghi sacri – come piccoli furti o vendette private – così come anche i carteggi epistolari tra la curia napoletana e quella romana denunciano l’ingresso frequente di prostitute nelle chiese, un atto immorale che testimonia la difficoltà da parte della Chiesa napoletana, nel controllare le situazioni di rifugio sacro.

Se oggi l’asilo ecclesiastico non è più possibile, la discussione tra giuristi laici ed ecclesiastici ci testimonia come – in età moderna – la questione fosse molto dibattuta. Il proliferare di libretti e di autentici trattati sul tema dell’immunità locale tra Sei e Settecento ci consegna un ampio repertorio di testimonianze che si pone generalmente a favore dell’asilo ecclesiastico ma anche in maniera nettamente contraria. Giuristi e intellettuali si oppongono all’idea che la Chiesa, pur di difendere un privilegio, permetta l’ingresso nelle chiese di criminali di ogni sorta, trasformandole in vere e proprie “spelonche di ladri”, definizione di matrice evangelica utilizzata da Paolo Sarpi nel suo De iure asylorum (1622) per indicare, appunto, i luoghi sacri corrotti dai criminali rifugiati.

 

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I trattati del giurista toscano Pompeo Neri e dell’abate Pistorozzi erano i più noti e maggiormente circolanti in Italia sul tema dell’asilo sacro

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L’asilo ecclesiastico è stato formalmente abolito al termine del XVIII secolo, sebbene in alcuni territori la pratica fosse da tempo passata in disuso o addirittura vietata dall’autorità politica. Con il proliferare della legislazione successiva alla Rivoluzione francese (ad esempio le Leggi Siccardi del 1850 promulgate nel Regno di Sardegna ed estese al Regno d’Italia dopo l’Unità) la dimensione del sacro lascia spazio alla precarietà del diritto alla mobilità e la figura del “criminale privilegiato” viene sostituita dall’altra e contraria dell’asilo politico, quella dell’emigrante rifugiato.

Per quanto la dimensione internazionale dell’asilo si sia sviluppata già in età moderna, quando le guerre di religione in Francia e la Pace di Augusta del 1555 costrinsero le confessioni minoritarie a emigrare per cercare un luogo in cui poter professare liberamente il proprio credo, è con la Rivoluzione Francese che il diritto d’asilo ha assunto definitivamente un carattere istituzionale.

La Costituzione giacobina del 24 giugno 1793, pur non essendo mai entrata in vigore, è diventata storicamente centrale, perché è il primo atto ufficiale che associa esplicitamente il diritto d’asilo al concetto di “patria”. Dichiarando che “il popolo francese dà asilo agli stranieri banditi dalla loro patria per la ricerca della libertà, ma la rifiuta ai tiranni”, l’articolo 120 mette al centro il binomio “libertà- tirannia”, superando definitivamente l’accostamento “sacro- profano”.

L’esperienza dell’esilio, “passaggio obbligato per gli oppositori” secondo Carlo Cattaneo, diviene quindi centrale per i militanti politici, rivoluzionari o controrivoluzionari, che a partire dal primo Ottocento prendono parte ai processi di costruzione degli Stati-nazione in Europa e ancora per tutto il Novecento e sino ai nostri giorni i temi dell’esilio e dell’asilo legano il destino dell’“umanità in fuga” ai delicati equilibri tra i paesi membri dell’Unione europea.

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