L’abito femminile, storia di mode ed emancipazione: l’ultimo capolavoro di Georges Vigarello

 

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Sara Cavatton, Verona –

 

“L’originalità sta nell’atteggiamento: dare assoluta priorità alla sensazione interiore, allertare i sensi per vivere meglio il tessuto e il suo contatto. La conseguenza principale è che l’interiorità sarebbe altrettanto importante dell’esteriorità, se non di più”.

 

È questa una delle conclusioni cui ci conduce un nuovo studio sul rapporto donne-abbigliamento. Dopo essersi occupato di corpi, igiene e bellezza dal periodo medievale a quello contemporaneo, lo storico Georges Vigarello ricostruisce all’interno del volume L’abito femminile. Una storia culturale (Einaudi) un preciso e curioso spaccato relativo alla storia dei costumi indossati da donne di ogni epoca, nazionalità ed estrazione sociale.

L’evoluzione del vestiario femminile è, infatti, inestricabilmente legata al contesto socioculturale di ogni periodo: il ruolo e lo status di una donna sono da sempre evidenti nel look e nel portamento, il suo aspetto ha storicamente rappresentato ciò che ci si aspettava da lei – una figura statica, passiva, artificiale e poi via via più naturale, armoniosa e libera. Qualsiasi accessorio o copertura corporale si è inserito in un sistema di idee fortemente organizzato e consacrato dalla società. Ciò è valso in particolar modo per i secoli passati: grazie a una profonda riflessione sulla storia dell’abito e del corpo femminile questo libro dimostra come, attraverso stasi, evoluzioni e progressive rivoluzioni, le norme e le forme degli abiti abbiano influenzato la modernità e trasformato il ruolo della donna nella società.

 

 

Di interesse prevalentemente europeo con focus approfonditi sulla moda di Francia e Inghilterra, il volume si apre comunque alla storia complessiva del mondo femminile, proponendo riferimenti anche ai costumi e agli stili introdotti dagli Stati Uniti negli anni più recenti. Offre per di più un ricco ed esaustivo apparato iconografico: proponendo quadri e opere d’arte raffiguranti soggetti di genere con abiti di epoche passate, ci permette così di osservare direttamente forme, fogge ed eccessi di determinati vestiti. Inoltre, grazie alle riproduzioni di testi a stampa e alle illustrazioni più originali di alcune riviste otto-novecentesche, abbiamo a disposizione una sintesi grafica di quelle che sono state delle vere e proprie rivoluzioni nel campo della moda femminile.

Per quanto il linguaggio si presenti a tratti sconnesso, è evidente come i contenuti siano fortemente sostenuti da una lunga e accurata ricerca bibliografica e da studi d’archivio: si tratta di una storia globale dell’universo femminile che affronta più o meno indirettamente anche i temi delle emozioni e della famiglia, quelli dell’educazione e del codificato comportamento in società. In tal senso, miniature ed arazzi medievali veicolavano un’importante implicazione culturale: l’abito maschile corto contrapposto alla veste femminile lunga sottolineava, da un lato, l’appartenenza dell’uomo al mondo lavorativo (funzionalità-dinamismo), dall’altro la posizione strettamente decorativa e statica che la donna era obbligata a ricoprire (estetica-immobilità).

 

Arazzo con scena di caccia nel Devonshire, 1425-30 (Victoria and Albert Museum)

 

Di certo, con la fine del XVI secolo il corsetto divenne un elemento indispensabile della moda femminile per dimostrare ancora una volta l’aspetto controllato e una nuova forma del corpo: il busto sempre più assottigliato rappresentava uno stelo installato sulla parte inferiore dell’abito, il quale aveva la funzione di piedistallo per un viso che incarnava un bocciolo. La donna fu quindi assimilata all’estetica del mazzo di fiori, simbolo assoluto di bellezza con funzione ornamentale. Tale sembianza veniva garantita dalla rigidità del materiale che costringeva il tronco in pose innaturali e spesso sofferenti: i corsetti in ferro erano strutture inflessibili in grado anche di trasformarsi in veri e propri strumenti di tortura. Nei casi più estremi contribuirono alla morte, come riferì il chirurgo francese Ambroise Parè (1585):

 

“Ricordo di aver eseguito l’autopsia di una dama della nostra corte la quale, per l’ambizione di mostrare un corpo bello ed esile, si faceva stringere così forte che le false costole (del corsetto) si erano accavallate le une sopra le altre”.

 

Meno tragici, ci furono molti altri episodi in cui lo stesso corsetto ma anche le gonne voluminose e gli accessori tanto immensi (si pensi alle acconciature e alle parrucche, autentiche torri di capelli) crearono non pochi fastidi alle donne: spesso erano ostacolate nel passeggiare, passare dalle porte o salire/scendere dalla carrozza. Sembra poi che il futuro Enrico IV si sarebbe nascosto sotto il verdugale di Margherita di Valois per sfuggire alla strage di san Bartolomeo: tale strumento, imponendo a colei che lo indossava una posa immobile e ieratica, era formato da una serie di cerchi rigidi fatti di vimini finissimi inseriti nella stoffa della gonna per allargarla ai limiti del possibile. Nel Settecento francese fu chiamato panier – ne abbiamo una rappresentazione nell’incisione che ne assimila forma e ingombro alle gerle adibite al trasporto delle mercanzie.

 

Il mercato dei panier e dei cerchi, incisione, 1719 (Bibliothèque Nationale de France)

 

Di contro, Rivoluzione francese e spirito illuministico contribuirono a un progressivo ma lento stravolgimento delle linee in favore dell’anatomia: si fece strada una visione più empirica e scientifica anche nel campo dell’abbigliamento femminile, tessuti più morbidi e leggeri permisero alle donne di godere di un’appropriata libertà. Tuttavia, soltanto dall’Ottocento comparve una reale e maggiore naturalezza con l’accentuazione delle forme fisiche e la definizione di una silhouette più fluida: scomparsi bustini, panier e sellini, le gambe divennero il fulcro della figura. Gli inizi del Novecento videro finalmente la fine del corsetto a favore di abiti slanciati e leggeri, permettendo libertà e autonomia – nella vita quotidiana ma anche nello sport: per coloro che utilizzavano la bicicletta fu ideato un indumento biforcato e più comodo, la gonna-pantalone. Nacque così la tendenza dell’abito tailleur formato da giacca, gonna e una blusa lunga fino alla vita di taglio maschile. Riviste e periodici di moda contribuirono a diffondere modelli, materiali e atteggiamenti, permettendo anche il successo di grandiosi creatori di moda come Gabrielle Chanel.

Grazie a questo libro assistiamo dunque, pagina dopo pagina, all’elaborazione concettuale delle tipologie di abiti femminili che il mondo occidentale ha maturato nei secoli: dal trionfo dell’artificio a quello dell’anatomia, ciò che spicca oggi è il primato della sensibilità e delle emozioni, ovvero di libertà, autonomia ed emancipazione. Non solo per le donne.

 

G. Vigarello
L’abito femminile. Una storia culturale
Torino, Einaudi, 2018
pp. 314

 

LE ALTRE LETTURE CONSIGLIATE:

  • A.Fukai, La moda: storia della moda dal XVIII al XX secolo, Taschen, 2017
  • C. Vecellio, Habiti antichi et moderni: la moda nel Rinascimento. Europa, Asia, Africa, America, a cura di Margaret F. Rosenthal e Ann Rosalind Jones, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2010
  • R. Sarti, Vita di casa: abitare, mangiare, vestire nell’Europa moderna, Roma-Bari, Laterza, 1999