Cortocircuiti a 5 stelle: dite addio all’umanitarismo

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Caterina Mongardini, Venezia –

La “democrazia diretta” del Movimento 5 Stelle si è espressa contro l’autorizzazione a procedere per il processo contro il vicepremier Salvini, chiamato a rispondere sul “caso Diciotti”. La “democrazia diretta” ha vinto, i 5s hanno perso, almeno in credibilità. Non vale la pena ricordare le dichiarazioni contraddittorie di Salvini che sfidavano la magistratura, senza rispetto alcuno per le istituzioni, incoraggiando la messa in piedi di un processo: si sa che il leader della Lega (ex, ma ancora molto Nord) altro modo non sa e non ha di fare politica se non a slogan e a colpi di scena non edificanti. Giova invece ricordare le parole dell’altro vicepremier, suo pari solo nella carica non nella tattica, che fino a qualche anno fa – prendiamo ad esempio i post su Facebook, immediati nel linguaggio e facili da cercare – inveiva con i suoi accoliti contro le immunità. Nel suo post del 4 Agosto 2014 scriveva:

 

“Questa maggioranza a guida Pd ha appena confermato l’immunità parlamentare per Deputati e Senatori. Bene hanno fatto i nostri ad uscire dall’Aula. Le riforme costituzionali se le facciano tra indagati, delinquenti e immuni. Noi stiamo tra la gente normale.”

 

Sembrava già chiaro che la campagna contro le “immunità” era solo un modo per raccogliere il diffuso malcontento sociale, acuitosi nel tempo anche grazie alla caccia alle streghe post-tangentopoli che – lungi dall’essere finita lì – ancora lasciava – e lascia tutt’ora – la sua più grande eredità: la diffidenza verso una classe politica corrotta o sempre pronta a lasciarsi corrompere. Non innocenti fino a prova contraria; ma colpevoli fino a prova contraria. Il M5S non ha inventato nulla da questo punto di vista. Ha affondato il coltello nella piaga ancora aperta degli anni ’90, andando troppo a fondo e, come succede in una politica orfana di una qualsivoglia cultura (di destra o di sinistra), non solo si è sporcato le mani ma ha tradito il 40% del proprio elettorato. Il 40% della “gente normale”: anzi no. Il 40% dei votanti che si sono espressi in merito. Quindi una percentuale di una percentuale che influisce su una decisione governativa (!).

E si potrebbe contestare: ma nel 2014 stavano difendendo la Costituzione! La stessa Costituzione che all’art.2 recita:

 

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

 

Se già la difesa costituzionale era una foglia di fico dinanzi alla rincorsa a chi era “meno puro”, adesso con il “caso Diciotti” si palesa la totale mancanza non solo di coerenza ma anche di avvedutezza. Chi difende la Costituzione come può permettere che 170 persone in mezzo al mare in condizioni precarie – igienico-sanitarie e psicologiche – non solo siano lasciate lì per essere strumentalizzate da un Ministro dell’Interno che alle sue spalle lasciava entrare altri migranti da altre porte; ma che vengano valutate così poco da poter essere messe all’asta su un referendum on-line tra i sostenitori della “volontà di potenza” – forti della posizione governativa che temono di poter perdere – e i paladini della difesa della gente comune contro “la razza della casta” (di cui Salvini fa parte). Ho sottolineato quel passaggio dell’art.2 perché si renda chiaro che Di Maio e il M5s con quel referendum non si sono lavati le mani di Salvini, ma dell’umanitarismo e della Costituzione. Nell’introduzione alla votazione on-line sulla piattaforma Rousseau si legge:

 

“Martedì 19 febbraio, la Giunta per le autorizzazioni sarà chiamata a decidere se il ritardo dello sbarco dei migranti dalla nave Diciotti sia stato deciso “per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo. […]”

 

La tutela di esseri umani, disperati, naufraghi, in balia prima della miseria, poi degli scafisti ed infine delle onde, mi sembra costituzionalmente rilevante già di per sé; ma è stato addirittura necessario specificare se fosse nell’interesse pubblico far rispettare la costituzione, chiedendo – nelle domande successive – che ci si esprimesse non sulle condizioni in cui si sono trovati i naufraghi della Diciotti a causa di Salvini, ma se il Ministro dell’Interno abbia agito nell’interesse dello Stato. In un colpo solo i naufraghi sono diventati un oggetto, la mela della discordia, e il web si è espresso contro “l’autorizzazione a procedere” sostenendo di fatto che non era nell’interesse pubblico rispettare l’art.2 della Costituzione. Un corto circuito.

Se con un po’ di buon senso all’interno dei vertici del Movimento (che, inutile negarlo, ha dei vertici: magari irresponsabili, ma ce li ha) avessero fatto un bilancio, avrebbero capito che la partita era persa a prescindere, sia che si votasse “a favore” che si votasse “contro”. Da una parte l’alleato di governo, dall’altro il proprio elettorato. Perso per perso, una cosa rimaneva da fare: prendere una decisione responsabile. Non lasciare “la responsabilità” alla rete. La rete che ha espresso, tra l’altro, una maggioranza relativa.

 

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Questo evento lontano dalle coste, svoltosi tra i “palazzi” e i salotti casalinghi dei votanti è emblematico: se finora in televisione o sui social o sui giornali le immagini erano di navigli, porti, mare aperto, naufraghi e profughi, questa votazione si è svolta il più lontano possibile da tutto ciò. La decisione è stata lasciata al “popolo” di Rousseau, ma non solo dal Movimento – che ha perso un’occasione di responsabilità, magari con la possibilità di immolarsi eroicamente – ma anche dalle altre forze politiche che non vedevano l’ora che i pentastellati facessero un passo falso. Nessuno si è schierato contro la strumentalizzazione: questi esseri umani sono stati disumanizzati, diventando il coltello con cui Salvini ha minacciato metaforicamente l’alleato di governo e il cappio che l’opposizione non vedeva l’ora di stringere attorno al collo di almeno uno dei rappresentanti del governo giallo-verde.

Se alcuni valori cardine di una società democratica sono andati in frantumi, e il caso Diciotti è emblematico, non è colpa del M5s che si è buttato in un’arena già pronta, ma del crollo della cultura politica che ha caratterizzato gli anni Ottanta: se l’umanitarismo, adesso, non conta nulla è perché il baluardo che avrebbe dovuto difenderlo, ossia la sinistra, non è stata capace di farlo. Che l’umanitarismo, insieme ad altre pratiche volte all’assistenza e alla tutela dei più deboli, fosse uno dei pilastri della sinistra novecentesca rimane un merito immenso, condiviso con alcune formazioni più moderate e cattoliche; a destra, invece, l’umanitarismo non sembra aver mai fatto presa più di tanto. Ma quella politica, compromessa dallo scandalo Mani-Pulite, ha tirato con sé nel baratro non solo le bandiere, ma anche i valori. La nuova sinistra, per esempio, nel tentativo di ricostruirsi una identità ormai danneggiata dalla scomparsa dell’Urss e dallo scandalo che aveva coinvolto il PSI, ha cercato di riappropriarsi di alcuni di questi valori, sfruttandone però solamente le manifestazioni esteriori, senza elaborare una politica originale che li riscattasse. Questo è successo con l’umanitarismo. Ha perso di appeal questo valore, perché svuotato dalla strumentalizzazione politica che l’ha ridotto ad un eterno referendum pro-contro migranti. E questo non solo in Italia.