“Melior de cinere surgo”: Catania e la Sicilia dopo il tragico terremoto del 1693

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Vanessa Genova, Catania –

Due eventi naturali di grande rilevanza segnano la storia della Sicilia centro-orientale in epoca moderna: l’eruzione dell’Etna del 1669 e il successivo terremoto del 1693. Quest’ultimo rappresenta uno degli esempi storici più eclatanti della storia sismica non solo della Sicilia, ma dell’intero territorio italiano. Secondo il Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani 2015 dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), il terremoto del 1693 si stima essere il più forte evento sismico avvenuto nell’ultimo millennio in area mediterranea, registrando una magnitudo momento pari a 7.4 Mw. Inoltre, in base alla vastità dell’area colpita, numero di vittime e danni urbani, è ricordato tra i maggiori disastri naturali della storia sismica italiana.

Benché generalmente si parli dell’evento al singolare, sarebbe opportuno, invece, riferirsi ad esso al plurale, parlando di terremoti, poiché si trattò di un lungo sciame sismico che colpì in più riprese, con due violente scosse distinte tra loro, avvenute a distanza di due giorni l’una dall’altra.

La prima si verificò il 9 gennaio 1693, raggiungendo un’intensità valutabile tra i gradi 8 e 9 della Scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS), fino ad arrivare anche al dodicesimo grado in alcune zone dell’entroterra siciliano. I danni furono gravissimi in centri come Augusta, Avola, Noto, Floridia e Melilli, dove si registrò il crollo di diversi edifici. Gravi danni interessarono anche le zone di Catania e Lentini. In particolare la città di Catania, già seriamente danneggiata dalla distruttiva eruzione dell’Etna del 1669, vide numerosi palazzi storici, abitazioni, chiese e monumenti – tra cui una parte delle antiche porte della cinta muraria – subire lesioni diffuse o, ancor peggio, crollare su se stesse. A Siracusa molti edifici furono lesionati, ma nel complesso i danni furono meno gravi rispetto quelli subiti da Catania. La scossa, poi, fu avvertita distintamente, senza registrare danni, anche nelle città di Messina e Palermo, fino a raggiungere Malta.

La scossa del 9 gennaio e i punti maggiormente colpiti

La seconda scossa avvenne l’11 gennaio 1693 ed ebbe effetti ancor più catastrofici della prima; un evento che registrò una magnitudo elevata, con effetti pari al grado 9 della Scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS). Stavolta l’enorme gravità di tali effetti fu dovuta al fatto che questi andarono a sovrapporsi a quelli già subiti nella precedente scossa del 9 gennaio. L’area gravemente colpita interessò, infatti, una superficie pari a 14.000 kmq: in sostanza, l’intera zona della Sicilia centro-orientale fu gravemente devastata. E non solo. Crolli e danni gravi si ebbero fino a Messina e alla costa tirrenica, colpendo in parte le isole Eolie e alcuni centri urbani della Calabria centro-meridionale, mentre in direzione sud il terremoto arrivò a danneggiare anche Malta.

Le distruzioni più gravi si ebbero nella zona sud-orientale della Sicilia, nei territori corrispondenti alle attuali province di Catania, Siracusa e Ragusa, devastando tutti i centri di grande importanza economica e culturale dell’area etnea, che furono quasi interamente distrutti.

Ad essi si aggiungono i centri della Val di Noto: tra questi, citandone alcuni, si ricordano Noto, Siracusa, Ragusa, Modica e Augusta.

Il terremoto causò gravi impatti sull’ambiente naturale dell’isola: varie testimonianze parlano di lunghe fenditure che si aprirono nel terreno, accompagnate da fuoriuscite di gas e acque calde, oltre che da un’intensa attività vulcanica dell’Etna. Le frane e gli smottamenti, conseguiti al terremoto, ostruirono diversi corsi d’acqua del territorio ibleo, provocando ulteriori inondazioni nelle vicine zone urbane. Infine, i testimoni parlarono di grandi ondate di tsunami che investirono le località costiere della Sicilia orientale, da Messina fino a Siracusa, registrando onde che raggiunsero anche i 15 metri.

La scossa dell’11 gennaio

I costi umani causati dal terremoto furono talmente elevati che in molte località la popolazione fu ridotta drasticamente, come nel caso della città di Catania, dove furono registrate circa 16.000 vittime (una cifra che si stima essere pari al 63% della popolazione catanese della fine del XVII secolo).

La statistica ufficiale, redatta nel maggio 1693, riporta circa 54.000 morti. L’elevato numero di vittime fu registrato nei centri urbani, come Catania, ma non fu un caso: la maggior parte delle vittime si ebbe nelle strade cittadine, troppo strette e tortuose per offrire una via di salvezza dal crollo degli edifici. E questo sarà un dato importante nel processo di ricostruzione post-terremoto della città.

Il periodo sismico non si limitò alle due date del gennaio 1693, ma fu lungo e intenso, con forti riprese avvertite per oltre 3 anni, fino all’aprile 1696. La stessa opera di ricostruzione urbana ne risentì, complicandone la progettazione e impegnando il regio governo e le amministrazioni locali per molti decenni. Eppure il complicato processo di ricostruzione riveste, oggi, una grande importanza storica, appunto perché riuscì ad operare una radicale modifica della rete insediativa di buona parte della Sicilia orientale e a risollevare le sorti economiche e sociali dell’isola.

Alla fine del Seicento il regno di Sicilia, sotto il dominio della monarchia di Carlo II di Spagna, era suddiviso in tre “valli”, cioè province amministrative, introdotte già in epoca normanna sulla base degli antichi confini arabi e rimaste invariate fino alla riforma amministrativa del 1817: il Val Demone (zona nord-orientale), il Val di Noto (zona sud-orientale) e il Val di Mazara (zona occidentale). Le zone maggiormente danneggiate dal terremoto del 1693 erano comprese proprio tra Val Demone e Val di Noto, che racchiudevano i più importanti centri economici e culturali dell’isola. Il terremoto provocò, in tal modo, un grave danno economico e sociale all’isola, aggiungendosi alle condizioni già precarie della Sicilia dovute alla recessione internazionale del mercato di esportazione granaria di metà Seicento e alla crisi politica scoppiata alla morte senza eredi di Carlo II nel 1700.

 

Eppure, la ricostruzione avviata dopo il terremoto del 1693 è divenuta nella storia moderna della Sicilia un simbolo di rilancio economico. Infatti, superato il primo periodo di emergenza, l’economia siciliana iniziò a riprendersi in seguito alla vasta attività edilizia attuata nell’area colpita, che richiamò molta manodopera nell’isola, riattivandone l’intero ciclo produttivo.

Un esempio di ricostruzione è costituito dalla città di Catania, il cui progetto venne affidata a una squadra di esperti formato da noti architetti come Sebastiano Ittar, Stefano Battaglia e Giovanni Battista Vaccarini. La città fu ripensata secondo logiche pratiche e ideali di ispirazione illuminista, tipiche del contesto europeo dell’epoca.

La città di Catania si avvicinò, in tal modo, ai sistemi urbani europei, rinnovando il proprio tessuto economico e sociale: il progetto comportò un nuovo assetto viario della città, molto più schematico e pratico, accompagnato dall’allargamento delle strade e da un addensamento di simboli e ornamenti del tardo-barocco sparsi per tutta la città, soprattutto nelle piazze e negli assi viari principali.

Un’epigrafe, collocata in Via Antonino di San Giuliano, che ricorda il terremoto del 1693

A tal proposito, uno dei simboli più interessanti, che richiama l’evento sismico del 1693 e la successiva opera di ricostruzione, è la celebre iscrizione che si trova sulla Porta Ferdinandea, realizzata a Catania nel 1768 su disegni degli architetti Ittar e Battaglia per celebrare il matrimonio di Ferdinando IV di Borbone, sovrano di Sicilia, con Carolina d’Austria. Una frase che cita: “Melior de cinere surgo”, tradotta dal latino come “Rinasco migliore dalle ceneri”. Sono parole, queste, dedicate alla dignità di una popolazione instancabile, che continua a risorgere dalle proprie macerie come una fenice.

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