Libertà e guerra: come i Greci vinsero le guerre persiane

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Wilhelm von Kaulbach, La battaglia di Salamina, 1868

Lorenzo Domenis, Verona –

Le guerre persiane sono state un vero e proprio punto di svolta nella storia occidentale, un’impresa titanica che ha permesso alla cultura greca di continuare a fiorire, influenzando tutto il bacino del Mediterraneo nei secoli a venire.
Quale fu il segreto della città-stato dell’Ellade? Perché i persiani, numericamente ed economicamente più forti, furono ripetutamente sconfitti?

Lo storico militare Victor Davis Hanson (docente presso l’università della California) propone un’interessante interpretazione che fa della libertà e del sistema economico greco i perni della vittoria ellenica contro le schiere “illimitate” di Dario e Serse.

 

Eleutheria: i liberi greci

Sin dalla prima guerra persiana, i soldati e i marinai della Grecia si scagliarono contro il nemico in nome della libertà (eleutheria) come se essa fosse a tutti gli effetti la chiave per ottenere la vittoria. La libertà, credevano, avrebbe reso i loro guerrieri dei combattenti qualitativamente migliori rispetto ai barbari persiani – o di qualunque altra tribù, popolo o stato non libero dell’occidente o dell’oriente – infondendo una superiore forza d’animo e una maggiore determinazione a uccidere il nemico.

Eschilo ed Erodoto sono molto chiari a tal proposito. Proprio Erodoto trae un insegnamento inequivocabile dalle guerre persiane: i liberi cittadini sono guerrieri migliori, in quanto combattono per sé stessi, le proprie famiglie e i propri beni, non in nome di qualche dinasta, degli aristocratici o dei sacerdoti; accettano una maggiore disciplina rispetto ai soldati di ventura e ai coscritti.

Erodoto arriva a sostenere che gli ateniesi vinsero la battaglia di Maratona, che li contrappose alle schiere persiane di Dati e Artaferne nel 480 a.C., perché la tirannide di Pisistrato era stata archiviata, sostituita da un regime democratico e apertamente ostile a qualsiasi forma di dispotismo.

Risulta quindi evidente quanto il concetto di libertà fosse sentito in tutta la penisola greca, ragion per cui è necessario definire cosa incarnasse concretamente l’idea di eleutheria.

 

 

Libertà di parola

Immaginiamo di interpellare un soldato poco prima della decisiva battaglia di Salamina (in cui i greci sbaragliarono la potente e numericamente superiore flotta persiana) e di chiedergli: “Cos’è mai questa libertà per la quale stai remando?”.

Il soldato ci avrebbe risposto che, in primis, combatteva per la libertà di parola che si traduceva nella pratica di discutere insieme riguardo le decisioni più importanti. Come afferma Sofocle: “Gli uomini liberi hanno lingue libere”.

Gli ateniesi discussero a lungo con i peloponnesiaci riguardo il luogo dove affrontare la flotta di Serse, se scegliere l’istmo di Corinto oppure l’area di Salamina. Spesso questi confronti sfociavano in vere e proprie “guerre di parole”, come le definì Erodoto, ma erano fondamentali per evidenziare i punti di fora le debolezze dei vari piani di battaglia. Il confronto continuo può risultare davvero provvidenziale sul campo di battaglia così come può essere nocivo un ordine granitico da seguire a tutti i costi.

 

 

I greci conferivano un’importanza notevole al concetto di libertà di parola, tanto da chiamare alcuni triremi proprio con il nome di Parrhesia. L’idea che una nave persiana potesse chiamarsi libertà di parola è inconcepibile, la volontà del sovrano era l’unica legge.

Torniamo alla domanda con cui abbiamo aperto questo paragrafo: “Cos’è mai questa libertà per la quale stai remando?”. Il nostro soldato di fiducia avrebbe aggiunto che, oltre alla libertà di parola, combatteva per il proprio comandante, posizionato in prima linea esattamente come i suoi sottoposti.

Temistocle affrontò la battaglia di Salamina guidando la sua trireme posta al ntro delle forze navali ateniesi, mentre Serse osservava il tutto dalle retrovie, comodamente seduto su un lussuoso trono decorato. Il fattore leadership era praticamente assente nelle schiere persiane, i soldati combattevano spinti dalla paura di essere puniti, piuttosto che con l’ardore di lottare insieme al proprio comandante.

 

 

Libertà di vendita

Gli opliti greci che schiacciarono gli asiatici nella grande battaglia di Platea, avevano un’altra libertà oltre a quelle già elencate, ossia la libertà di vendere e di comprare dei beni.

Possedere un bene, e deciderne il suo destino, comportano un maggior senso di responsabilità e attaccamento verso di esso, spingendo un soldato a difenderlo con le unghie e con i denti. Un soldato persiano comune non possedeva nessun bene degno di nota, spesso lavorava in grandi appezzamenti di terreno gestiti dai membri della ricca aristocrazia persiana. Il senso di attaccamento verso questo tipo di “proprietà” è pressoché nullo.

In sintesi, gli uomini combattono meglio quando sono convinti che la guerra salvaguarderà la loro proprietà, non quella di qualcun altro. Questa dinamica avrà un ruolo centrale anche durante l’espansione dei domini romani, quando il soldato-contadino combatterà sì in nome di Roma, ma soprattutto per mantenere o far prosperare il proprio terreno, fulcro dell’economia dell’Urbe per molti anni durante la fase di conquista della penisola italica e del bacino del Mediterraneo.

Il modo in cui i greci si armavano per scendere sul campo di battaglia era direttamente influenzato dalla struttura economica della Grecia. L’oplita, dotato di una pesante armatura di metallo nonché di lancia e scudo di forma circolare, era nato in una società agricola, in cui la difesa del territorio era il fulcro delle operazioni belliche.

La falange, uno schieramento compatto e basata sulla coordinazione, nacque con l’obiettivo di contenere il più possibile le perdite, garantendo allo stesso tempo una resistenza efficace sul campo di battaglia. Le forze del Re dei Re, invece, erano così numerose da poter sopportare anche perdite notevoli, continuando comunque a condurre una campagna efficace.

La protezione del soldato era un fattore trascurabile per i re e i generali persiani. Le poleis greche non potevano tollerare migliaia di morti, l’oplita doveva essere protetto dato che, in caso di morte prematura, il suo prezioso terreno sarebbe rimasto incolto.

Quando il modello greco e quello persiano entrarono in contatto sul campo di battaglia, l’equipaggiamento greco studiato per resistere e salvaguardare garantì un netto vantaggio sulle formazioni asiatiche.
In sintesi, gli uomini combattono meglio quando sono convinti che la guerra salvaguarderà la loro proprietà, non quella di qualcun altro.

 

 

Il lascito delle guerre persiane

Le guerre persiane furono gravide di conseguenze: la più importante fu che per diversi secoli, i liberi cittadini di Grecia non dovettero più affrontare un esercito invasore. Nessun re persiano avrebbe mai più messo piede in Grecia, anzi ben presto sarebbero stati gli eserciti greci a invadere i domini persiani.

Un’altra conseguenza della vittoria greca fu il consolidarsi della democrazia ateniese, modello di governo che avrebbe esercitato una certa influenza su tutta la cultura occidentale. Certo, non tutti gli ateniesi furono soddisfatti di questa svolta democratica (Platone riteneva nociva la democrazia, dato che consegnava il potere politico nelle mani di chiunque) e, pochi anni dopo, Atene sarebbe diventato il leader dispotico – e ben poco democratico – di un impero marittimo destinato a scontrarsi con la rivale Sparta.

In ogni caso, la vittoria greca nelle guerre persiane garantì la sopravvivenza del primomodello occidentale” politico, economico e sociale, seminando alcuni concetti e ideali destinati a germogliare nei secoli successivi.

 

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1 thought on “Libertà e guerra: come i Greci vinsero le guerre persiane

  • Complimenti. Ottimo articolo sintesi di storia economica, storia politica e tecnica militare.
    Il greco è un uomo libero, è un cittadino in armi, portatore di diritti politici ed economici che difenderà ad oltranza.
    Dispone delle migliori armi possibili, non viene mandato allo sbaraglio, ha ottime probabilità di non essere colpito.

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