“Genti furono ribattezzate, chiese profanate, altari divelti…”. Un eresia del XII secolo: il caso dei Petrobrusiani

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Vincenzo Roberto Cassaro, Bologna –

 

La Chiesa cattolica nell’XI secolo, tra istanze di rinnovamento e movimenti eretici

Nel corso dell’XI secolo, la Chiesa omana stava vivendo molteplici cambiamenti che, per effetto di una profonda ondata riformatrice, trasformarono significativamente il Cristianesimo occidentale.
Il moto riformatore, nato dall’esigenza di porre fine (o comunque contrastare il più possibile) alla corruzione dilagante tra le fila del clero, si prefisse l’obiettivo di neutralizzare alcune pratiche, quali la simonia e il concubinato, molto diffuse tra i chierici e avvertite come i mali maggiori della Chiesa.

L’esigenza di rinnovamento era sentita fortemente dalle masse dei fedeli, che sempre meno tolleravano l’esistenza di una gerarchia ecclesiastica corrotta, ignorante, propensa unicamente a difendere il proprio rango sociale, come ad esempio la lotta che, propria allora, contrapponeva la Chiesa, desiderosa a difendere la libertas ecclesiae, ai poteri regi e signorili. La figura del Pontefice, d’altro canto, si presentava sempre più come il titolare di un potere monarchico e accentrato, che poco tollerava le forme religiose di carattere autonomo.

Le idee riformatrici, che nel corso dell’XI avevano conquistato ampi strati della popolazione e del clero, dovevano passare per il riconoscimento papale, altrimenti sarebbero state considerate come eretiche. Questo genere di accentramento, tuttavia, non inficiò lo sviluppo di nuove correnti, che nei secoli successivi, andarono incontro ad una generale diffusione.

La situazione, potenzialmente esplosiva, necessitava di un punto d’incontro tra queste due spinte, cosa che a volte non fu possibile o che non si volle fare, come, ad esempio, con le eresie sorte lungo il XIII secolo. Queste ultime si muovevano soprattutto su un piano etico e, a differenza di quanto riscontrabile in precedenza, solo in un secondo tempo e in modo poco vigoroso u un piano dottrinale. Si trattava di movimenti ereticali il cui pensiero continuava a trarre spunto soprattutto dalle idee della patristica, specialmente agostiniana. Nonostante ciò, questi movimenti erano considerati eretici perché ogni forma di non conformismo veniva interpretata come una disobbedienza al Papa, che era ritenuto l’unico vero depositario del messaggio evangelico.

 

Un momento della lotta alle eresie: il rogo

 

La lotta alle eresie

A partire dal 1199, attraverso la decretale Vergentis in senium emanata dal pontefice Innocenzo III, la disobbedienza al Pontefice iniziò ad essere equiparata al crimen lesae maiestatis. Vale a dire ad un crimine contro la maestà, divina e umana, del successore di Pietro.

L’eretico veniva dunque considerato un criminale, in quanto trasgressore di quell’ordinamento, cioè la Chiesa con il suo vertice incarnato dal Papa, che conduce l’uomo alla Salvezza eterna. Contro l’eresia saranno utilizzate forme di repressione molto violente, che desteranno naturalmente riflessioni sull’opportunità di utilizzare dei mezzi brutali e distanti dalla carità cristiana. La stessa Carità che, invece, prospettava un atteggiamento diverso nei confronti dell’eretico.

Quest’ultimo non doveva essere eliminato fisicamente, bensì convertito tramite gli strumenti dell’auctoritas e della ratio. A questo genere di riflessioni si avvicinò negli anni trenta del XII secolo l’abate del monastero di Cluny, Pietro Il Venerabile, il quale fu spinto a tali considerazioni per la diffusione in quegli anni di una nuova eresia nata dalle idee di un chierico originario delle Hautes-Alpes: Pietro di Bruis.

Per il Venerabile, l’uso della forza per la soppressione degli eretici doveva avvenire solo in caso di necessità ed era il caso dei Petrobrusiani, cioè i seguaci di Pietro di Bruis, qualificato come eretico dalla Santa Sede, contro i quali si doveva agire con violenza coercitiva.

 

Pietro di Bruis

 

I “Petrobrusiani”, origine e natura di una eresia.

L’abate di Cluny scrisse anche un trattato contro questa eresia, intitolato “Contra Petrobrusianos hereticos e diffuso nelle arcidiocesi di Arles ed Embrun, nonché nelle diocesi di Die e Gap, in modo tale che il clero di queste zone potesse comprendere meglio e quindi combattere in modo più efficace i Petrobrusiani. Nel trattato Pietro Il Venerabile riassume i cardini del pensiero di Bruis in cinque capitoli:

  • negazione del battesimo agli infanti, in quanto per poter abbracciare la fede cristiana ci deve essere la piena consapevolezza da parte dell’individuo, cosa che un bambino non può avere data la sua tenera età;
  • negazione della sacralità della croce, poiché questa è stata lo strumento di sofferenza e tortura per Cristo, quindi non può in alcun modo essere oggetto di culto;
  • negazione degli edifici sacri, in quanto Dio ascolta tutti coloro che si rivolgono a lui senza tener conto del luogo in cui i fedeli lo invocano;
  • negazione della celebrazione dell’eucarestia: il corpo e il sangue di Cristo furono consacrati un’unica volta nell’ambito dell’Ultima Cena, quindi la gerarchia ecclesiastica non ha alcun diritto di riproporre un atto che è unico e irripetibile;
  • negazione dell’efficacia delle pratiche in favore dei defunti. Nessuna elemosina, preghiera e opera buona poteva determinare la Salvezza o la condanna dell’anima di chi è già morto, poiché ognuno è responsabile individualmente nei confronti di Dio e ogni destino è determinato dalle azioni commesse in vita.

Pietro il Venerabile, inoltre, ci descrive il comportamento dei Petrobrusiani con queste parole:

 

Genti furono ribattezzate, chiese profanate, altari divelti, croci date alle fiamme, carni mangiate pubblicamente il giorno stesso della Passione del Signore, sacerdoti percossi, monaci incatenati e costretti a prender moglie con minacce e tormenti”.

 

Ma limitare l’esperienza dei Petrobrusiani solo a queste azioni violente e sacrileghe (senza scordare la faziosità della fonte), non spiegherebbe il successo che la predicazione di Bruis mantenne per circa una ventina d’anni. I petrobrusiani seppero diffondere il loro pensiero con risultati rilevanti, un successo che può essere probabilmente spiegato in quanto i seguaci di Bruis prospettavano ai propri ascoltatori la possibilità di avere un rapporto diretto con Dio, senza alcuna intermediazione da parte della gerarchia ecclesiastica. Il Bruis affermava, infatti, l’inutilità del ruolo clericale.

 

Pietro il Venerabile

 

Era, per l’epoca, una posizione rivoluzionaria, che affascinava e faceva breccia nelle coscienze di molti poiché le persone vedevano la possibilità di vivere la propria religiosità con maggiore libertà non dovendo più rapportarsi con chierici e prelati, spesso protagonisti di comportamenti prepotenti nei confronti degli strati umili della popolazione medievale.

Naturalmente, non dobbiamo dimenticare che il trattato del Venerabile si pone lo scopo di attaccare, screditare e contraddire le affermazioni e le azioni eretiche del movimento petrobrusiano. Idee che, tra gli anni dieci e gli anni trenta del XII secolo, si espansero in una fascia territoriale ampia: dalle Alpi del Delfinato alla Provenza, fino addirittura alla Guascogna, riuscendo a fare proseliti non soltanto tra le popolazioni più isolate e meno acculturate delle Alpi (che vivendo in luoghi difficili da raggiungere avevano meno contatti con l’esterno e quindi potevano rimanere più facilmente affascinate dalle idee di un predicatore) ma anche tra gli abitanti dei centri urbani della Francia meridionale.

Pietro di Bruis fu arso sul rogo in una data compresa tra il 1132 e il 1139 nei pressi di Saint-Gilles, una località a nord-ovest del delta del Rodano grazie – come tramandato da Pietro il Venerabile – allo “zelo dei fedeli”. L’espressione dell’abate di Cluny fu soprattutto interpretata inizialmente in questo modo. Pietro di Bruis mentre predicava sarebbe stato aggredito dai fedeli, in quanto adirati dalle parole pronunciate dal predicatore poiché quest’ultime colpivano i dogmi e le certezze della loro fede.

Ma oggi si ritiene che sia preferibile interpretare lo “zelo” come volontà di accogliere la richiesta delle autorità ecclesiastiche nell’uso della forza armata contro l’eretico di Bruis.

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