Perchè l’Urss collassò: la politica di Gorbačëv e l’inesorabile declino di una Superpotenza

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Caterina Mongardini, Venezia –

“Gorbavciov correva, l’Est Europa rimpiangeva ancora Stalin.”

Con questa frase pronunciata nel corso di un’intervista a Matteo Tacconi per il giornale “Europa, Vittorio Strada, slavista veneziano e ex-direttore dell’Istituto Italiano di cultura a Mosca, riuscì a descrivere, sintetizzandolo, il difficile momento di trapasso che la classe politica dell’URSS stava per affrontare nel 1985. Conservatori e riformisti si contendevano i vertici dell’establishment sovietico senza rendersi conto che il “tira e molla” a cui stavano giocando avrebbe contribuito alla caduta del sistema istituzionale a loro caro.

Infatti, il 25 dicembre 1991 in una conferenza stampa, dopo i tragici mesi seguiti al fallito golpe di agosto” (19 agosto 1991) e le successive proclamazioni d’indipendenza degli ex-territori sovietici, Michail Gorbačëv, già dimissionario dalla Segreteria del Partito, non poté fare altro che dimettersi anche dalla presidenza di un’Unione che, con gli accordi di Minsk dell’8 dicembre di quell’anno, di fatto non esisteva più. Lo stesso giorno, sul Cremlino venne ammainata la bandiera rossa e fu innalzato il tricolore orizzontale della Repubblica Russa.

Per entrare più consapevolmente nel vivo dei meccanismi politici sovietici, è necessario farsi largo tra una miriade di termini tecnici e sigle che spesso sembrano essere tutte uguali. Quello che mi preme descrivere in questo momento è come e perché l’URSS collassò, motivo per il quale i termini da sapere saranno pochi e i meccanismi da capire saranno sostanzialmente due e cercherò di renderli il più chiari possibile, semplificandoli senza banalizzarli.

23 agosto 1991. In una seduta del Parlamento, Eltsin consegna a Gorbaciov le carte che contenevano le proclamazioni di indipenza degli stati della Federazione, intimandogli di leggerle in pubblico. Si tratta dell’inizio dello sgretolamento totale dell’URSS.


Uno Stato, un Partito

Il primo meccanismo da capire è come era gestito il potere nell’URSS e chi erano i soggetti attivi. Il 30 dicembre 1922 venne fondata l’URSS sulle ceneri dell’autocrazia zarista: i soggetti politici attivi erano i Soviet (associazioni spontanee di operai, contadini o soldati nate principalmente nei centri industrializzati della Russia) e il Partito Comunista Russo (nel 1952 ridenominato Partito Comunista dell’Unione Sovietica).

Nel momento in cui la Russia dovette rifondare ex-novo il proprio apparato istituzionale, il Partito prese il sopravvento sull’apparato democratico dei Soviet, di fatto inglobandoli. È utile immaginare una piramide in cui al vertice vi è il Partito e alla base i Soviet: dal momento in cui il dogma del partito unico fu il solo possibile, ai Soviet ebbero accesso solamente gli iscritti al Partito di provata fiducia capaci di attuare le direttive che provenivano direttamente dal Partito stesso.

In questo modo, è comprensibile che la pluralità e la democrazia di cui godevano i primi consigli di fabbrica era stata sacrificata a favore della gerarchia partitica del nuovo Stato-Partito.

 

 

La struttura dello Stato-Partito

Il secondo meccanismo che proverò a spiegare è chi all’interno del Partito era il detentore del potere e come questo potere veniva esercitato. Gli organi più importanti del Partito erano: il Presidium (o Poljtburo), la Segreteria Generale e l’Orgbjuro i cui direttori o membri venivano eletti dal Comitato Centrale (CC).

I membri del Poljtburo (il cui numero è variato nel tempo da 5 a 25 membri) erano i rappresentanti più importanti del CC – tra essi era presente anche il Segretario Generale – che decidevano le linee guida da imprimere al Partito e quindi allo Stato. Il Segretario Generale era la più alta carica amministrativa e uno dei compiti più importanti da esso svolti era la selezione dei quadri di partito: ossia sceglieva personalmente a chi affidare un certo incarico fosse esso nei Soviet o nel CC.

L’Orgbjuro, formato da 3 o 5 membri, inizialmente aveva il compito di organizzare i quadri del Partito ma nel momento in cui la Segreteria si arrogò tale diritto venne progressivamente svuotato del proprio potere.

A questo punto, la domanda che sorge spontanea sarebbe: e chi eleggeva il Comitato Centrale? La risposta, ossia il Congresso dei Soviet, potrebbe apparire contraddittoria rispetto al “sacrificio della pluralità” di cui sopra, ma in realtà bisogna considerare che coloro che facevano parte del Congresso dei Soviet, erano le stesse persone che componevano i Soviet: esse erano di “provata fiducia” perché scelte per ricoprire quel preciso incarico.

Chi sceglieva e organizzava i quadri del partito aveva il potere di influenzare intere carriere e l’ascesa o meno a posizioni di rilievo all’interno del PCUS. Da ciò ne consegue che il Segretario Generale – che aveva il potere di scegliere i quadri del Partito – aveva tutte le armi a disposizione per crearsi il consenso all’interno dell’assemblea dei Soviet o del CC e tutte le persone da lui reclutate avrebbero votato e appoggiato le sue decisioni.

Per fare un esempio: Stalin sconfisse Trockij nella lotta per la guida del Partito perché era Segretario Generale, creandosi il consenso necessario attraverso questo meccanismo. Quindi il vero “capo di Stato” sovietico è il Segretario Generale.

 

Gorbaciov ed Eltsin il giorno della proclamazione di Gorbaciov a Segretario del PCUS

 

L’URSS alla fine degli anni ’80

Nel 1985, nel momento in cui Michail Gorbačëv si insediò come Segretario Generale del Partito (l’11 marzo 1985, all’età di 54 anni) a seguito della morte di Jurii Andropov e Kostantin Černenko, la struttura del PCUS era sempre la stessa.

Era il più giovane Segretario Generale che il partito avesse mai avuto dai tempi di Stalin. Diplomato in legge e membro del Partito dal 1970, era entrato a far parte del Poljtburo e del Comitato Centrale del PCUS nel 1979 con il benestare di Jurij Andropov (ex-capo del KGB e Segretario Generale) che lo aveva già indicato come un possibile successore al vertice del Partito.

Gorbačëv inaugurò un periodo all’insegna delle riforme che avrebbero dovuto sciogliere i nodi più problematici del sistema sovietico. Dal punto di vista politico, Gorbačëv si era reso conto che la svolta conservatrice di Brèžnev – che per quasi vent’anni era stato a capo dell’URSS – aveva creato una stagnazione politica in cui il riformismo era stato pressoché bandito: in quegli anni infatti si era ormai rinunciato alla critica allo stalinismo inaugurata da Chruščëv nel 1956 e il dissenso veniva represso in modo meno appariscente ma ugualmente pervasivo.

Il controllo del dissenso, tra gli anni ’60 e ’70, ormai aveva assunto una forma strisciante e consisteva nel “contattare” le persone sospettate – per avvertirle della posizione scomoda che stavano occupando nei confronti dello stato – e contemporaneamente spiarle nei loro più intimi momenti di vita anche minacciando amici e familiari.

Il film Le vite degli altri (2006) del regista Florian Henckel von Donnersmarck, ambientato nella DDR nel 1984, descrive bene il clima di estrema diffidenza in cui vivevano le persone comuni e il ferreo controllo operato dai partiti comunisti al potere nell’Est Europa. Inoltre uno dei frutti più evidenti della stagnazione politica era stata la nascita della cosiddetta nomenklatura.

 

Eltsin parla alla folla durante il golpe del 19 agosto 1991

 

Questa era formata da una schiera – perlopiù corrotta – di burocrati e funzionari al servizio del Partito e dell’esercito: essa con i suoi privilegi e le sue leggi incideva pesantemente non solo sulla politica, ma anche sull’economia statale ormai portata allo stremo.

Infatti, il sistema industriale di ispirazione fordista –  messo al servizio dello stato nel momento in cui esso divenne il detentore dei mezzi di produzione – anche se aveva garantito all’URSS la possibilità di assurgere a Grande Potenza sullo scacchiere internazionale, era stato applicato sin dal principio ad esclusivo vantaggio dell’industria pesante e militare: più si spendeva per la corsa agli armamenti imposta dalla Seconda Guerra Mondiale prima, ma ancor di più dal bipolarismo della Guerra Fredda poi, minori erano le risorse da destinare all’agricoltura e all’industria dei beni di consumo (come vestiario, alimenti ecc..).

Inoltre mancando in assoluto la concorrenza propria di un mercato libero, i prodotti delle industrie “leggere” oltre ad essere tutti uguali fra loro – per cui esisteva un modello di automobile come un solo modello di spazzolino da denti – spesso non erano sufficientemente all’avanguardia e ciò generava una cronica inefficienza.

Quindi, mancanza di libertà d’espressione e basso tenore di vita della popolazione dovuto allo squilibrio tra investimenti militari e investimenti nell’industria dei beni di consumo erano i due principali problemi ai quali Gorbačëv tentò di porre rimedio, soffiando però sul fuoco delle spinte centrifughe che, iniziate il 4 novembre 1989 con la caduta del muro di Berlino, avrebbero portato allo sfaldamento di quella cintura di stati satelliti che l’URSS si era costruita intorno. [Continua…]

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