Chi ha ucciso Alessandro Magno? Le principali teorie sulla sua morte

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Federica Bottino, Torino –

I libri di storia ne cantano le imprese, la memoria collettiva ne esalta la personalità forte ed irascibile, ma al contempo geniale. Per secoli si è cercata la sua tomba e si sono formulate le ipotesi più bizzarre attorno a dove possa essere stato sepolto il corpo del più grande condottiero del mondo antico.

Alessandro Magno è riuscito così ad affascinare a 360 gradi gli studiosi appartenenti alle sfere più variegate del sapere umano e, tra questi, rientrano anche i medici.

I dottori in medicina si sono interessati alla sua morte a partire dal XVII, ma com’è morto Alessandro Magno? Chi l’ha ucciso? O cosa ne ha provocato la sua morte?

È probabile che Alessandro Magno, morto a Babilonia nel mese di Daiso del 323 a.C., sia stato la vittima militare più illustre di tifo addominale dopo una malattia febbrile durata tredici giorni.

Del decorso clinico della malattia fatale che colpì grande sovrano fu compilata una dettagliata descrizione su base giornaliera nei Diari Reali, quotidianamente eretti da Eumene di Cardia, primo segretario di Alessandro Magno e dal suo assistente Diodoto d’Eritrea. Sebbene queste Effemeridi siano andate perse, così come tutti i testi storici contemporanei ad Alessandro, ce ne sono pervenuti alcuni frammenti attraverso le opere degli autori successivi. In particolare, la descrizione quotidiana della malattia del monarca proviene da Plutarco (ca 46-1207127 d.C.) e Arriano di Nicomedia (ca 95-175 d.C.).

La letteratura scientifica medica dei secoli XX e XXI, tuttavia, pur occupandosi ampiamente della morte del grande condottiero, ha spesso preferito tracciare strade diverse, dando poco peso alle descrizioni di Plutarco ed Arriano e creando una letteratura fornita ma pur sempre caotica.

L’origine di tutta questa confusione può essere ricercata tra le seguenti cause:

  • assembramento delle fonti: sono state prese in considerazione fonti antiche che si contraddicono tra loro senza aver effettuato un’adeguata analisi preliminare.
  • l’utilizzo di un linguaggio medico moderno/ contemporaneo.
  • I medici specialisti hanno fornito le ipotesi di morte più bizzarre poiché hanno tenuto in considerazione solo il loro campo disciplinare (ipotesi di morte per cause neurologiche formulata da neurologi, ecc.)

 

 

Plutarco e Arriano ci vengono in soccorso: una possibile ipotesi diagnostica

Tra tutte le fonti che ci sono giunte, quelle su cui basarsi per formulare una possibile ipotesi diagnostica sono proprio gli scritti di Plutarco e Arriano.
Questi scritti sono interscambiabili tra loro, denunciano le loro fonti (ovvero i Diari Reali) e forniscono una dettagliata descrizione degli eventi in chiave medica.

Confrontando le due narrazioni ci rendiamo conto che sono perfettamente comparabili e si riesce così ad estrapolare un’ipotesi diagnostica seria.

Il sintomo chiave è la febbre, non si registrano sintomatologie inerenti alla tosse, espettorato o vomito.

La malattia dura quindici giorni e inizia con una febbricola notturna. Nella prima settimana la febbre ascende lentamente in modo ingravescente, poi diventa continua per tutta la giornata.

Dalla decima giornata diventa molto alta. Le oscillazioni della febbre ricordano la curva di Wulderlich (curve di andamento per la febbre tifoidea).

L’alterazione dello stato di coscienza domina il quadro clinico nell’undicesima giornata. Tra le truppe si diffonde la voce che il re sia morto, per dimostrare l’infondatezza della notizia, i soldati vengono fatti sfilare davanti al letto del re, il quale pur essendo rimasto senza voce, li riconosce e risponde con i moti del capo e degli occhi.

Lo stupor è un’alterazione dello stato di coscienza in cui il soggetto è obnubilato in uno stato crepuscolare del sensorio da cui può essere recuperato attraverso gli stimoli. Lo stupore è tipico dei pazienti tifosi e proprio da questa alterazione dei sensi la malattia ne prende il nome. In greco antico tuphos indica il fumo, vapore denso e in senso figurato significa offuscare, istupidire.

Alessandro muore nella tredicesima giornata di malattia, sul fare della sera.

 

 

Un argomento che è stato utilizzato per confutare la diagnosi di tifo addominale è la mancanza di sintomi intestinali, cioè la diarrea emorragica. Questa affermazione però ignora la patogenesi immunopatologica del danno intestinale, le cui lesioni necrotizzanti si manifestano nel corso della terza settimana quando, invece, Alessandro morì alla fine della tredicesima giornata.

Qual è stata perciò la causa immediata della morte del Macedone? I pazienti affetti da tifo addominale muoiono prima della comparsa delle lesioni intestinali per “shock endotossico” (o settico). Questo è compatibile con la descrizione del quadro clinico dominato da febbre e dalla progressiva ingravescenza.

C’è tuttavia un’osservazione, che aggiunge valore a quest’ipotesi. Plutarco, per sostenere la tesi che il re non era stato avvelenato si basò sull’osservazione che il corpo di Alessandro non presentava segni di decomposizione. Questo punto viene evidenziato anche da Curzio Rufo, il quale scrive che il corpo giaceva ormai da sei giorni abbandonato nel sarcofago, quando gli Egizi e Caldei ne videro la salma.

L’osservazione di Plutarco può essere definita come la prima questione di medicina forense nella storia della medicina, ma è chiaro che l’argomentazione riportata dello storico ha per la medicina moderna un valore relativo, poiché i valori che incidono sulla putrefazione, accelerandola o rallentandola, sono altri e cioè la temperatura, il grado di umidità e la presenza di acido.

 

 

L’avvelenamento come diagnosi differenziale

Nella letteratura storica e medica sono state avanzate diverse diagnosi differenti tra cui quella dell’avvelenamento. Storicamente questa è stata l’unica spiegazione alla morte di Alessandro Magno fino al XV sec., infatti l’unico testo circolante sulla morte del sovrano era il Romanzo di Alessandro, in cui Alessandro moriva avvelenato, a seguito di una congiura ordita da Antipatro.

L’ipotesi di avvelenamento è funzionale in ottica di una morte dallo stile romantico degna di un eroe e di un grande condottiero.

Analizzando le fonti antiche, se Alessandro fosse stato avvelenato la sintomatologia sarebbe stata diversa rispetto a quella descritta da Plutarco e Arriano.

L’avvelenamento porta a vomito con bruciori gastrici. Presenti sarebbero stati i fenomeni diarroici e a causa di ciò per la rapita disidratazione avrebbe avuto una sete incontrollata. La morte sarebbe giunta per uno shock ipovolemico causato dalla disidratazione conseguente al vomito e alla diarrea, proprio come nel colera.

 

 

La malaria che inganna: un’altra ipotesi molto gettonata

Come abbiamo accennato all’inizio il sintomo chiave della malattia di Alessandro Magno è stata la febbre. Una febbre altalenante, mai costante che verso il tredicesimo giorno ha portato alla perdita di coscienza.

Tale sintomatologia ha tratto in inganno molti autori riconducendo tutto ciò ad un possibile contatto con la malaria.

In letteratura un buon numero di lavori sostiene che sia stata la malaria la causa di morte per Alessandro: se tale ipotesi fosse vera, dati i sintomi, il luogo e la stagione in cui è morto il sovrano macedone, ci si riferirebbe in particolare alla malaria perniciosa, la più pericolosa per l’uomo.

In realtà, non è possibile raccogliere dati certi sulla morte del grande condottiero macedone, soprattutto perché ci mancano le possibilità di effettuare perizie medico-legali accurate.

Le fonti antiche che ci sono pervenute, però, possono offrirci un ottimo inizio per escludere ciò che in realtà non ha ucciso il sovrano, scartando in primo luogo morti romantiche come l’avvelenamento e altre cause imputabili più alla tradizione che agli eventi storici.

 

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  • E. Damiani, La piccola morte di Alessandro Magno, Venezia, Marsilio Editori, 2012
  • C. Mossè, Alessandro. Il mito e la realtà, Bari, Laterza, 2011